“Per il mese di dicembre registriamo un calo di ordinazioni pari all’80%. Le bottiglie invendute le lasciamo in magazzino, ma non possono restare lì per anni, parliamo di alimenti che prima o poi vanno consumati. Le cantine sono appesantite, fra prodotto sfuso e materiale imbottigliato invenduto. Però il mercato resta fermo. Non c’è gioco domanda – offerta e il vino si svaluta”. Emanuele Calaon riassume così la situazione pre natalizia che sta vivendo nella sua azienda vitivinicola con annesso agriturismo a conduzione familiare, Bacco e Arianna. Venti ettari di superficie – quindici a vigneto, due a ulivo, il resto a seminativi – proprio a Vo’, il paese veneto in provincia di Padova fra i primi focolai della pandemia. Vendita diretta ma anche a enoteche e ristoranti. Il Covid ha affossato le ordinazioni di ceste di vino e regali per privati e aziende, interrompendo una lunga consuetudine.
Va meglio ma non troppo a Monopoli, 40 chilometri a sud di Bari. Carlo Barnaba gestisce insieme ai fratelli la Tenuta Chianchizza, un’azienda olivicola con frantoio e agriturismo, chiuso quest’ultimo nei giorni scorsi. Ci si riaggiorna a gennaio, quando si allenteranno le restrizioni. La principale produzione è l’olio extravergine d’oliva, in lattina e in bottiglia. In tutto 150 ettari di terreno, fra proprietà e affitto. Il 90% destinato agli ulivi. Il resto seminativo, carrubi secolari, mandorle. “La campagna olearia comincia a metà ottobre. Nello stesso momento arrivano i primi ordini, finora sempre confermati dall’inizio della nostra attività. Vendiamo ai privati e alla ristorazione: questo secondo settore si è azzerato. Ed è la parte che mancherà all’appello quest’anno, pari al 20 – 30% sul conto finale”, racconta Barnaba. Le bottiglie invendute? “Per legge, dal momento dell’imbottigliamento, si possono mantenere 18 mesi. Speriamo di poterle vendere nel frattempo. La pasta fresca che abbiamo fatto con il nostro grano invece la stiamo regalando. Ha scadenza fra quattro mesi”.
Coldiretti guarda i dati di spesa del 2019 e prevede, per quest’anno, una perdita che riguarderà quasi tutti gli alimenti presenti da sempre sulla nostra tavola. Il nodo sta nelle chiusure: “I prodotti di alto livello, in Italia, sono veicolati in gran parte dalla ristorazione, che al momento è un settore fermo, o quasi. La spesa di Natale, perciò, porterà con sé delle perdite sui prodotti di eccellenza, legati a questo sbocco. Formaggi, salumi, vino, olio”, spiega Lorenzo Bazzana, responsabile economico per Coldiretti. Per lo spumante si registra un calo del 15%, per il panettone del 4%. Al 25 dicembre 2019 si stimava una spesa di 900 milioni di euro per pesce e carni – compresi i salumi – 430 milioni di euro per spumante, vino ed altre bevande, 280 milioni di euro per dolci inclusi panettone, pandoro e panetteria. E poi 480 milioni di euro per ortaggi, conserve, frutta fresca e secca, 180 per pasta e pane e 130 milioni di euro per formaggi e uova (dati Coldiretti/Ixè).
“Circa il 30% dei consumi alimentari nel nostro Paese sono extradomestici, soprattutto nel periodo natalizio. L’impossibilità di mangiare fuori provocherà quindi la perdita di circa un terzo della spesa, che noi abbiamo stimato con 82 euro in meno a famiglia”, prosegue. “La nostra previsione è un calo complessivo della spesa alimentare da parte dei consumatori di circa 30 miliardi di euro su base annua, con un crollo del 12% rispetto al 2019”, continua Bazzana.
Secondo Coldiretti/Fondazione Divulga, dall’inizio della pandemia il volume d’affari della ristorazione si è dimezzato (-48%) e questo calo non è bilanciato dalla più alta spesa per la consumazione domestica, salita del 7% a causa della necessità di stare chiusi in casa. Una dinamica visibile ad esempio nell’esperienza di Roberta Grosso, che gestisce l’agriturismo cascina San Nazario, 120 ettari di terreno per allevamento di bovini e suini nel Torinese. “Il lockdown da un lato ci ha tolto i guadagni provenienti dall’attività di ristorazione, ma d’altra parte ci ha fatto conoscere di più dalle persone del posto, che non potendo allontanarsi troppo si rifornivano da noi”, spiega. “Nei mesi di chiusura abbiamo potenziato la consegna a domicilio e il punto vendita dei nostri prodotti”. Soprattutto carni e salumi della tradizione. “Rispetto all’anno scorso molti più clienti regalano pacchi di alimenti. Confezioni famiglia di carne, cesti con salumi e soprattutto buoni spesa in macelleria: nel 2019 li abbiamo proposti ma senza ottenere grande riscontro. Quest’anno ne avremo venduti dieci volte tanto. Forse perché si preferisce dare importanza a ciò che è essenziale, come il cibo”.
Nel panorama generale a soffrire è tutta la filiera agroalimentare, i cui fornitori – come Bacco e Arianna o la Tenuta Chianchizza – puntano anche sugli acquisti da parte dei ristoranti. Le vendite mancate di cibo e bevande rivolte a questo specifico canale provocheranno, secondo Coldiretti, una perdita pari a 9,6 miliardi. I magazzini pieni pesano sulle attività di 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio. “Detto questo non si può affermare con certezza quale prodotto resisterà meglio di altri. Dipende dalle abitudini e dalle preferenze degli Italiani in cucina. Anche dal territorio: il nostro Paese ha una composizione tale per cui è normale che esistano menù e tradizioni differenti. In linea di massima, resisteranno i prodotti legati alla consuetudine familiare”, chiude Bazzana, “ciò che si consuma in un ambito extradomestico inevitabilmente calerà”.