Lavoro & Precari

Come cambierà il lavoro dopo la pandemia. Logistica, sanità, edilizia green e pubblico impiego. Tra metamorfosi e nuove opportunità

La pandemia ha travolto molti settori, ma i cambiamenti che ha innescato offrono sbocchi a chi dovrà reinventarsi. L'abitudine di fare acquisti online e la possibilità di lavorare da remoto ridurranno la domanda di alcuni servizi ma aumenteranno la necessità di addetti a e-commerce e consegne a domicilio. Il Recovery plan richiederà programmatori, ingegneri energetici, tecnici e permetterà di aprire nuovi asili, aumentando l'occupazione femminile. E dopo l'emergenza la domanda di persone con qualifica professionale sarà superiore all'offerta

Il boom degli acquisti online che fa crescere la richiesta di operatori della logistica. La forte necessità di medici, infermieri e assistenti sanitari per far fronte all’invecchiamento della popolazione. Ma anche le chance che si apriranno nell’edilizia, grazie agli incentivi per le riqualificazioni energetiche di condomini e edifici pubblici. E nel settore pubblico, che dovrà rimpiazzare molti pensionati e gestire i fondi del Next Generation Eu. Davanti al dramma sanitario e sociale della pandemia, che ha scatenato la recessione peggiore da almeno un secolo, parlare di opportunità sembra offensivo. Tanto più se si parla di lavoro, visto che più di 500mila precari e autonomi l’hanno già perso e a fine marzo finirà il blocco dei licenziamenti. Eppure i cambiamenti innescati dal Covid offrono davvero una serie di sbocchi a chi, durante la fase di ripresa, dovrà reinventarsi. Come molti settori peraltro stanno già facendo: dai ristoranti gourmet che gestiscono in proprio le consegne a domicilio al mondo della moda convertito alle sfilate in formato digitale, mentre gli eventi business diventano giocoforza virtuali.

“Nella tragedia di questa crisi, il lato positivo è che la sfida della ricollocazione appare meno impossibile che in passato quando ci interrogavamo sull’impatto dei robot e della digitalizzazione”, conferma Andrea Garnero, economista della Direzione per l’occupazione, il lavoro e gli affari sociali dell’Ocse. Il punto fermo è che il coronavirus ha cambiato strutturalmente il tessuto economico: “Non torneremo al 21 febbraio, prima che si scoprisse il primo caso di Covid in Italia. Ci siamo abituati a fare shopping su internet e questo rimarrà. Abbiamo visto che non è indispensabile essere sempre presenti in ufficio e molti continueranno a lavorare da casa un paio di giorni a settimana”. Novità che ridurranno la domanda di alcuni servizi, dai negozi di quartiere ai bar dei centri direzionali, perché anche un solo giorno di smart working significa un giorno su cinque “perso” per chi faceva la maggior parte del fatturato con le pause pranzo. E non tutti riusciranno a recuperare con il delivery. La maggiore abitudine a fare tutto online, poi, potrebbe segnare la fine delle agenzie di viaggio “fisiche”.

Nuove opportunità in logistica, sanità e assistenza – Ma gli stessi cambiamenti faranno nascere altre esigenze che creeranno posti di lavoro: “Tutte le aziende, anche di medie dimensioni, avranno bisogno di competenze nell’ambito della programmazione dell’e-commerce ma anche della logistica” per le consegne a domicilio, continua Garnero. “Quindi serviranno più trasportatori, e magari chi lavorava in un negozio che chiude perché i clienti comprano di più online potrà trovare lavoro in quel campo“. Altre opportunità accessibili senza dover affrontare anni di riqualificazione si creeranno “nel settore della cura delle persone: serviranno sempre più badanti, infermieri, operatori socio sanitari“.

Il lavoro a distanza richiede coworking e asili nido -“Con la pandemia abbiamo scoperto che un infermiere di quartiere potrebbe salvare più vite di un cardiochirurgo”, commenta Emilio Reyneri, professore emerito di Sociologia del lavoro dell’Università di Milano Bicocca. Che aggiunge un altro tassello: “Gli urbanisti concordano sul fatto che la possibilità del lavoro a distanza, limitando il pendolarismo a pochi giorni a settimana, favorirà i trasferimenti in provincia, soprattutto in centri vicini a una metropolitana o una stazione. Qui potrebbero svilupparsi spazi di coworking, cioè con uffici in affitto e servizi comuni“: un’altra opportunità di business. “Anche al Sud, dove però per rendere possibile il cosiddetto southworking occorre aumentare l’offerta di servizi pubblici. A partire dalla sanità, in cui scontiamo una fortissima carenza di addetti soprattutto nel Mezzogiorno, e dagli asili nido, che danno un doppio vantaggio perché oltre a consentire alle madri di lavorare creano occupazione per le donne”.

Spariscono bancari e operai… – Certo parliamo di lavori “spesso duri e difficili”, sottolinea Garnero, “e senza sufficienti riconoscimenti economici: quindi, con l’aumento della domanda, serviranno incentivi alle famiglie perché non scelgano di pagare i collaboratori in nero. E servirà una riflessione sui contratti collettivi e su come tutelare i lavoratori non coperti dalla contrattazione, anche se in Italia sul salario minimo ci sono forti ritrosie”. La questione è cruciale perché il Covid ha accentuato una tendenza in atto da anni: la polarizzazione tra posti ad alta qualifica (e alto stipendio) e impieghi “essenziali” ma di fascia bassa, spesso intermittenti e a orario ridotto, poco pagati. A farne le spese sono i lavori di fascia intermedia, esempi classici lo sportellista in banca e l’operaio specializzato a tempo pieno, che vanno diminuendo. E l’Italia ha una particolarità: “E’ l’unico tra i Paesi sviluppati in cui ad ampliarsi è stata soprattutto la fascia a bassa qualifica”, spiega Reyneri.

…e serviranno più ragazzi con formazione professionale – “Dopo la crisi del 2009”, ricorda il sociologo, “l’occupazione è ripartita grazie a ristorazione, vendita al dettaglio, turismo, servizi alla persona”. Tradotto: camerieri, commessi, addetti di palestre e centri benessere, collaboratori domestici. Tra queste ci sono le attività più affossate dalla pandemia, che sono però destinate a riprendere quota: tanto che la domanda supererà l’offerta. Secondo l’ultimo rapporto di Unioncamere e Anpal sulla previsione dei fabbisogni occupazionali, di qui al 2024 saranno necessarie ogni anno 137mila persone con qualifica professionale da impiegare nei ristoranti, nei centri estetici e sportivi, nella meccanica, nei servizi di vendita e in amministrazione, nell’edilizia, nei servizi logistici. Ma dagli istituti tecnici e professionali ne usciranno solo 85mila.

Il Recovery apre la strada a programmatori e ingegneri energetici – Sul fronte opposto ci sono i lavori ad alta specializzazione. Qui la domanda è destinata ad aumentare soprattutto nei comparti che riceveranno la maggior quota di fondi nell’ambito del Recovery plan italiano: il digitale e la riconversione energetica per arrivare alla neutralità climatica. Gli informatici saranno ovviamente sempre più richiesti. Sempre Unioncamere e Anpal stimano che le imprese avranno bisogno nei prossimi cinque anni di oltre 930mila persone con competenze digitali avanzate – dai programmatori agli ingegneri – e 740mila professionisti ad alta specializzazione con competenze “green”, tra cui ingegneri energetici ma anche tecnici che lavorino nei cantieri. Percorsi che richiedono anni di studio, per cui parliamo di opportunità interessanti soprattutto per i giovani che devono ancora entrare sul mercato. E ancora: la bozza del piano prevede un “piano asili” che, come auspicato da Reyneri, dovrebbe dare lavoro a molte maestre. Saranno poi richieste anche figure con una formazione professionale al passo con i tempi. Idraulici, elettricisti e meccanici per esempio dovranno saper fare i conti con l’Internet delle cose (elettrodomestici connessi alla rete), i sistemi collegati alla produzione di energia rinnovabile, le batterie per auto elettriche.

Alla pubblica amministrazione servono statistici e matematici – Sempre a proposito di Recovery plan, per gestirlo sarà indispensabile assumere nella pubblica amministrazione personale giovane – oggi l’età media è over 50 – e con competenze nuove: il premier Giuseppe Conte ha ricordato che “ci sono ministeri in cui non c’è uno statistico, un ingegnere organizzativo, un matematico, figure senza le quali non si può operare una seria programmazione economica e sociale”. E ha promesso che con i fondi europei queste “lacune” saranno colmate. Anche il settore pubblico quindi avrà bisogno soprattutto di laureati.

Le chance per gli psicologi e la ripartenza della cultura – Le trasformazioni del mercato del lavoro, secondo Reyneri, creeranno chance anche per chi ha specializzazioni che non rientrano nel comparto scientifico e ingegneristico: “Mi immagino per esempio che serviranno psicologi industriali e sociologi per affrontare i problemi legati all’esplosione del lavoro a distanza e facilitare le relazioni interpersonali”. E poi, dulcis in fundo, c’è il settore che il Covid ha colpito forse più duramente di tutti: la cultura. Il sociologo non ha dubbi: “La domanda di beni culturali, teatri, cinema e musei negli ultimi anni era cresciuta molto. Dopo la pandemia ci sarà una ripartenza fortissima”.