Il regime egiziano ingabbia i prigionieri di coscienza dentro la prigione statale di Tora e poi butta via le chiavi. Il livello di civiltà di uno Stato si basa anche sulla qualità della detenzione e in Egitto, soprattutto da un paio di mesi a questa parte, il governo ha deciso di non ascoltare più le richieste di cure urgenti da parte di chi soffre. Lo stesso Patrick Zaki, arrestato il 7 febbraio scorso e in cella nella sezione Scorpio II da inizio marzo, pochi giorni fa ha denunciato di essere “fisicamente e mentalmente esausto”. In un periodo mai così delicato a causa dell’emergenza pandemica (con una curva dei contagi e delle vittime da Covid in netta e costante crescita), il regime ha deciso di abbassare il livello e la frequenza delle cure nei confronti dei carcerati.
Dall’inizio del 2020, stando a quanto riferito da un report del centro anti tortura El Nadim del Cairo, sono stati 68 i detenuti morti per ‘cause naturali’: “La maggior parte di queste persone non aveva ricevuto adeguate cure sanitarie e il deterioramento dei loro quadri clinici ne ha causato la morte. La mancata cura dei detenuti è un crimine paragonabile al tentato omicidio” denuncia Aida Seif Elldawla del centro El Nadim. Nulla di nuovo, in fondo la crudeltà del penitenziario di Tora è sempre stata elevata, anche durante i regimi che hanno preceduto l’epoca di Abdel Fattah al-Sisi. Qualcosa però deve essere accaduto di recente: “Il giro di vite sulle cure ai detenuti da parte delle autorità carcerarie si è notevolmente rafforzato dallo scorso mese di novembre – aggiunge la responsabile di El Nadim -. Non era mai capitato che ci arrivassero così tante denunce da parte delle famiglie e degli avvocati dei detenuti. Nel solo mese di novembre sono state ben 17 e alcune sono davvero urgenti. Soggetti con infarti cardiaci alle spalle, altri che hanno bisogno urgente di interventi chirurgici, diabetici, addirittura un caso di morbo di Parkinson. Ripeto, non so cosa sia successo di recente per scatenare l’irrigidimento delle autorità. In questo momento c’è un caso urgente, in particolare, che ci preoccupa. Si tratta di Hisham Fouad, giornalista e politico, in cella a Tora esattamente da un anno e mezzo. Hisham è una persona molto riservata e difficilmente si lamenta. Stavolta ha lanciato un grido d’aiuto perché sta davvero male. Temiamo per la sua sorte”.
Hisham Fouad – leader del movimento politico ‘Hope’ (speranza) per la corsa alle recenti elezioni parlamentari e giornalista specializzato in lotte sindacali – ha un serio problema vertebrale. Fino ad ottobre la prigione gli consentiva di ricevere trattamenti fisioterapici, d’un tratto interrotti. Stop ad ogni cura anche per una patologia gastrica e quella odontoiatrica. Fouad avrebbe bisogno con urgenza anche di esami radiografici, di analisi del sangue e soprattutto del trasferimento in un centro sanitario. Hazem Hosni, 70 anni, è un noto e stimato professore universitario al Cairo e braccio destro del candidato alle presidenziali del 2018, il generale Sami Anan, ritirato dalla corsa pochi giorni prima della scadenza dei termini e poi fermato e rinchiuso in un carcere militare. Alla fine di settembre del 2019 Hosni è stato arrestato nell’ambito delle retate messe in atto dal regime dopo le proteste di piazza del 20 di quel mese. Attraverso un video aveva accusato al-Sisi di corruzione: pochi giorni e per lui si sono aperte le porte di Tora. Alcuni mesi fa la Procura generale ne aveva annunciato la scarcerazione assieme ad altri studiosi, professionisti ed attivisti, ma poi è arrivata una nuova accusa: “Il professor Hosni rischia di perdere la vista, presenta seri problemi alla cataratta ed ha l’assoluta urgenza di un intervento chirurgico” denuncia Aida Seif Elldawla. Un’alta percentuale di detenuti a Tora è diabetico e nei confronti di alcuni di questi l’autorità penitenziaria ha bloccato la distribuzione di insulina: “Mio padre sta male, ha bisogno di una visita urgente e soprattutto di insulina nei tempi e nelle quantità necessari – denuncia Maryam Amer, figlia di Abdul Menem Amer, giornalista -. Soffre anche di problemi agli occhi a causa di una infezione virale e gli appelli lanciati dal sindacato dei giornalisti non hanno prodotto alcun risultato. Io e la mia famiglia non sappiamo più cosa fare”.
C’è forte preoccupazione, inoltre, per le violente crisi respiratorie che stanno mettendo a rischio la vita di Ramy Kamel, attivista copto, arrestato nel 2019 con le solite accuse di appartenenza ad un gruppo terroristico e rinchiuso nella sezione Scorpio II di Tora: “Ne chiediamo l’immediato rilascio – spiegano i responsabili della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf)-. Ramy Kamel soffre di una grave forma di allergia respiratoria e va curato in un ospedale specializzato, al più presto. A Tora ci preoccupano le condizioni di altri due detenuti, gli avvocati e difensori dei diritti umani Mohamed al-Baqer e Ibrahim Metwaly Hegazy, membri della nostra organizzazione. Quest’ultimo, in particolare, soffre di problemi alla prostata, artrite e disfunzioni nervose che gli creano tremori agli arti. Sottoposto a torture, Ibrahim è in prigione a Tora dal 2017 e per due volte è stato emesso nei suoi confronti un ordine di scarcerazione poi reso vano da un nuovo capo d’imputazione. Molti dei detenuti che rappresentiamo, in caso di infezione da Covid-19, corrono il rischio di morire. Il discorso vale per i politici e attivisti Zyad el-Elaimy, Mohamed el-Qassass ed altri”.
Il regime, come già visto con Hazem Hosni, non ha riguardo per i detenuti più anziani. Nel caso di Abdel Moneim Abou el-Fotouh, candidato alle Presidenziali del 2014, 69 anni, oltre all’età il regime non ha avuto riguardo neppure per i due attacchi cardiaci che hanno rischiato di ucciderlo: il primo nella cella d’isolamento della sezione Mazraa del carcere di Tora, il secondo davanti ad alcuni ufficiali della Sicurezza nazionale dopo che era stato spostato nella sezione Scorpio II. Prima dell’arresto, avvenuto nel 2018, el-Fotouh era in attesa di un intervento chirurgico alla prostata, mai effettuato. Fino a qui alcuni dei casi principali di negligenza sanitaria nei confronti di detenuti di coscienza reclusi nella prigione di Tora. Le cose non vanno meglio per la parte femminile, in particolare le difficili condizioni offerte dal carcere di al-Qanater, alla periferia nord-occidentale del Cairo.
Abbiamo scelto due casi emblematici per riassumere il concetto di barbarie nei confronti delle detenute. In primo luogo le pessime condizioni di salute dell’avvocatessa Hoda Abdel Moneim, difensore dei diritti umani ed ex membro del Consiglio nazionale per i diritti umani: “Hoda patisce gravissimi disturbi renali che nelle ultime 4-5 settimane sono peggiorati. Il direttore del carcere femminile non le ha concesso una visita specialistica e in occasione dell’ultima udienza è stata trasferita in tribunale in ambulanza e portata nell’aula del processo in barella”, afferma Aida Seif Elldawla.
Un’ultima storia infine, quella della giovane Nazli Mustafa Karim, arrestata pochi mesi fa e da allora reclusa ad al-Qanater. La giovane è finita, suo malgrado, nel gorgo di uno dei casi di cronaca esplosi di recente che hanno colpito l’opinione pubblica egiziana, avvenuto all’interno del lussuoso Hotel Fairmont lungo la riva orientale del Nilo. Il fatto risale ad alcuni anni fa, il dramma di una ragazza stuprata per tutta la notte dentro una delle stanze dell’albergo da un gruppo di rampolli della buona società cairota, ma la denuncia dell’episodio è dell’estate scorsa. Denuncia innescata proprio da alcune testimonianze, tra cui quella di Nazli che per aver svelato cosa successe al Fairmont Hotel è stata arrestata: “Un trauma difficile da superare per lei – conclude la responsabile di El Nadim -. Nazli non soffre di problemi di salute fisici, ma psicologici. Il suo avvocato ha richiesto un consulto psichiatrico, specie dopo che la ragazza ha tentato il suicidio in carcere, domanda rifiutata. Nazli soffre di profonda depressione e manifesta intenti suicidi, va protetta e curata in una struttura idonea. Non può restare in quella cella”.