Andrea vive a Zurigo da ormai 5 anni, e anche durante la pandemia, fatta eccezione per un mese di lockdown, ha sempre lavorato. "Mi hanno dato anche un aumento"
“Qui se sai fare il tuo mestiere ti pagano, investono su di te. In Italia non sei considerato una risorsa, ma quasi un peso”. Andrea Fauché viene da Modena, ha 30 anni e da cinque si è trasferito in Svizzera per inseguire il suo sogno: fare il parrucchiere. Tra lavaggi, tagli, colori e pieghe, ha iniziato questo mestiere a 16 anni capendo quasi subito la difficoltà del crescere in Italia dove spesso sei sottopagato e altrettanto spesso “sei in nero, non in regola”. L’amore per questa professione, racconta, “è nato un po’ per gioco”. “Ero diventato riluttante alla scuola, ma volevo dare una soddisfazione a mia madre – spiega Andrea – Così a 16 anni, confrontandomi anche con una mia amica, mi sono iscritto alla scuola per parrucchieri”. Eppure, riflettendoci, Andrea racconta che “la passione per i capelli” l’ha sempre avuta. “Ho avuto sempre i capelli con tagli e colori strani e spesso da piccolo andavo dal barbiere con mio papà o dai parrucchieri e guardavo i tagli nelle riviste”, spiega al fattoquotidiano.it.
Anche nell’anno del Covid, Zurigo è riuscita ad offrire ad Andrea le prospettive che l’Italia, al momento, non è riuscita a dargli. “A febbraio, prima dell’inizio della pandemia, mi hanno dato un aumento”, racconta. Anche lì, come per l’Italia, il lockdown si è fatto sentire: “Abbiamo chiuso un mese, poi siamo andati in lavoro accorciato, il kurzarbeit, una specie di cassa integrazione pagata all’80% nella quale però puoi essere chiamato al lavoro (a stipendio pieno, ndr) se c’è bisogno”, spiega ancora Andrea. Poi il lavoro è ripreso normalmente, mentre con l’arrivo della seconda ondata si è tornati ad utilizzare il kurzarbeit, ma senza richiudere mai. Le attenzioni sono state massime, anche in Svizzera. “Inizialmente abbiamo lavorato con visiera e mascherina – racconta ancora – Ora usiamo solo la mascherina ma disinfettiamo continuamente ogni postazione”. Anche Zurigo, così come le altre città europee, si è dovuta adeguare alle nuove norme, ma la differenza con l’Italia secondo Andrea è palpabile. “Quando sono entrato in un locale in Italia (quando erano aperti, ndr) nessuno ha chiesto i miei dati – racconta -. Qui invece ti chiedono tutto: nome, cognome, numero di telefono. Vieni schedato e contattato nel caso di altri clienti positivi”.
Prima di arrivare nella città svizzera, nel salone dove lavora da agosto del 2019 e che dice essere “il miglior posto dove sia mai stato”, Andrea gira otto diversi negozi. “A 16 anni ho iniziato una scuola privata a Modena, ma durava più anni e io avevo fretta di imparare il mestiere – racconta –. Così dopo pochi mesi ne ho trovata una a Bologna, durava solo un anno”. Per prendere mano con phon, forbici e spazzole, però, non sempre basta la scuola. Così, come molti colleghi in Italia, Andrea decide di lavorare nel weekend in un piccolo salone a Modena, vivendo da pendolare. “Dopo qualche mese ho lasciato la scuola – racconta – Avevo trovato un lavoro a tempo pieno, ma era un salone piccolo, a conduzione familiare”.
Il posto, spiega Andrea, non gli permette di crescere e così, a carriera appena iniziata, il parrucchiere cambia nuovamente salone. “Ho trovato posto in un locale di rilievo con un contratto part-time”. La paga è di 500 euro al mese e così Andrea, per vivere da solo, affitta un piccolo monolocale, “una lavanderia”, come dice lui, al costo di 250 euro al mese. “Ma io ero felice – racconta sorridendo – perché avevo una mia indipendenza”. Per compensare le spese Andrea si rimbocca le maniche. “Con pioggia, vento o sole, se mi chiamavano amici o conoscenti andavo a casa della gente a fare i capelli, inforcavo la bici e andavo – dice –. Prendevo 10 euro ma ero contento”. La stabilità di Andrea dura poco. “Dopo 9 mesi mi hanno messo in cassa integrazione – racconta amareggiato – Così ho dovuto cercare un altro posto”. Le possibilità, anche se part-time, a chiamata e spesso sottopagate, nel mondo dei parrucchieri non mancano. Ma Andrea lavorava tanto guadagnando pochissimo, senza contare la fatica, a volte, per farsi pagare.
La necessità di una stabilità lavorativa è tanta, soprattutto per pagare l’affitto. Così a 21 anni Andrea cerca un altro salone. “Ho trovato questo posto, in centro a Modena, dove sono stato 3 anni – racconta – Ho provato a farmi valere, a essere parte di qualcosa di bello, anche facendo tante ore a settimana. Ma non c’era mai una gratificazione, era come se ti facessero loro un favore”. Il problema principale, racconta, è la difficoltà di comprensione tra il mondo “adulto” e quello dei “giovani” che si approcciano al lavoro, soprattutto, specifica, per un settore come il suo. “All’inizio è fisiologico procedere per gradi – spiega –. Invece lì, visto che ero bravo in alcuni servizi, come il taglio maschile, mi hanno ‘parcheggiato’, senza farmi crescere, senza investire. In pratica è come se mi avessero detto ‘fai quello, ciao e arrivederci’ e per un giovane è frustrante”. È solo dopo l’ennesimo lavoro part-time, pagato in nero e oltretutto senza degli orari stabiliti, ma “a chiamata”, che Andrea decide di partire: “Ho provato a rimanere, dicendo al datore di lavoro di farmi almeno una parte di contratto, ma mi ha risposto di no”.
Così a quasi 25 anni, con uno zaino in spalla e 150 curriculum in mano, Andrea parte per il Ticino. “Sono stato per un po’ in un ostello. Al mattino mi svegliavo e andavo in giro per saloni. Dopo averli girati quasi tutti però mi hanno chiamato solo in due”. Il lavoro offerto non è stabile, ma solo una sostituzione di una giornata. La ricerca prosegue senza sosta, non solo a Lugano ma anche a Locarno e Bellinzona e l’offerta, dopo poco, arriva. “Mi ha chiamato un signore per un nuovo salone a Tenero”, racconta, sottolineando subito la differenza di trattamento. “Mi ha dato le chiavi del salone dal primo giorno, fidandosi, e mi ha fatto subito un contratto full-time: 3800 franchi lordi, cioè circa 3400 euro. Impensabile in Italia”, spiega, ancora incredulo, raccontando però di un ambiente con una mentalità “provinciale”. “Quando il titolare ha deciso di installare delle telecamere – racconta Andrea –. Non mi sono più sentito a mio agio, e così dopo tre anni me ne sono andato”.
Con il permesso di soggiorno e un anno di lavoro alle spalle, però, “la Svizzera non ti abbandona”. Ma ti aiuta a reinserirti nel lavoro. “In pratica ti danno il 70/80% del tuo stipendio – spiega Andrea –. Hai una specie di tutor che ti segue e ti aiuta e ogni giorno devi portare il curriculum almeno in un negozio. Per dimostrare che ti sei impegnato nella ricerca, per ogni curriculum che porti devi farti fare una specie di timbro e tutti i documenti vanno poi consegnati al coordinatore”. Il sistema, comunque, è efficiente e prevede, nel caso in cui sia impossibile trovare lavoro nel proprio settore, anche una serie di corsi di formazione per tentare in altri campi. Dopo poco Andrea è di nuovo “in pista”. “Mi sono spostato su Zurigo e nel nuovo salone mi hanno assunto subito a tempo pieno. Dopo sei mesi, però, mi hanno detto che non ero in linea con il loro stile”. Ma dopo qualche mese trova un’altra opportunità. “L’ambiente è familiare ma è una catena di quattro saloni. Facciamo shooting, eventi, fashion show e sento che è il mio posto. Va tutto alla grande”. Formazione e crescita personale sono assicurate e anche lo stipendio è in linea con il contratto collettivo nazionale svizzero: circa 4000 franchi lordi, più gli extra in caso di straordinari. L’unico neo? “La lingua, parlo inglese e per loro va bene perché è un ambiente internazionale, ma a Zurigo si parla tedesco e impararlo non è semplice”, racconta.
L’idea di tornare in Italia per ora non è all’orizzonte. Dopo oltre 10 anni di lavoro di cui cinque in Svizzera, Andrea dovrebbe infatti trovare un salone proporzionato alla sua esperienza, e le possibilità sono minime. “In un posto ‘normale’ mi pagherebbero il minimo sindacabile, tipo mille euro. E sarebbe sempre una battaglia”. Certo la speranza di poter tornare, un giorno, c’è sempre, perché, dice “l’Italia è casa mia è il mio stile di vita”. Alla domanda se comunque il rapporto tra il costo della vita e lo stipendio sia vantaggioso, Andrea non ha dubbi. “Pago l’affitto 1000 franchi, ma le bollette, per esempio, sono più basse – spiega –. In ogni caso il gioco in Italia non varrebbe la candela. Guardi l’estero e pensi ‘cosa ci sto a fare in Italia?‘. Il passato? Penso solo di aver sprecato tempo”.