Lo stesso Giuseppe Conte ha detto che se falliamo sul Recovery Fund il governo deve andare a casa con ignominia. Beh, siamo al bivio: se il governo è quello che permette di nuovo le trivellazioni in mare il segno è quello del ritorno allo sciagurato “Sblocca Italia” di Matteo Renzi.

Ripetiamo: i 210 miliardi per l’Italia legati al Recovery Fund dell’Ue sono vincolati in gran parte al Green New Deal e in linea con il Just Transition Fund (JTF) e con il Cohesion Fund (CF) non potranno prevedere né finanziamenti agli inceneritori, né alla produzione di carburanti (come previsto, invece, dal PNRR del governo) da rifiuti e plastiche in omaggio ai progetti Eni come quello di Livorno-Stagno.

Per quanto ci riguarda abbiamo addirittura lanciato un monito politico di fronte a questa unica opportunità di riconversione ecologica promuovendo il movimento politico “Terra-Terra per la Rivoluzione Ecologica” che se le forze politiche esistenti non saranno in grado di comportarsi coerentemente con la sfida della priorità ambientale è pronto a scendere anche in politica elettorale per non permettere che i soldi finiscano nelle mani delle multinazionali del petrolio, del gas e dell’industria sporca. Staremo a vedere pronti a scattare.

Intanto cominciamo a mettere nero su bianco le proposte concordate da Terra-Terra con Zero Waste Italy relative ai progetti da finanziare con il “Next Generation Plan” e riferite all’applicazione dei 10 passi Rifiuti Zero:

1- Passare in tutta Italia con particolare riferimento a tutto il Mezzogiorno ai sistemi di raccolta porta a porta. Non solo per traguardare livelli di raccolta differenziata superiori al 70 per cento ma anche per garantire materie prime-seconde pulite ai comparti economici quali l’agricoltura (con il compost dalla raccolta di flussi puliti di Forsu) e l’industria manifatturiera nell’epoca della “Raw Material Scarcity” (la scarsità delle materie prime). Questo sistema di raccolta dimostra livelli occupazionali altissimi pari ad almeno un nuovo addetto ogni 1200 abitanti serviti. Stiamo parlando di circa 25.000 nuovi posti di lavoro;

2- A questo passaggio si collega poi la progettazione di almeno una piattaforma regionale per il recupero dei RAEE (rifiuti elettrici ed elettronici) ma il provvedimento dovrebbe essere esteso anche ai rifiuti speciali elettromedicali ed in particolare dei metalli preziosi e rari da essi contenuti che al momento non vengono recuperati in modo significativo. Trattasi non solo di oro, argento, rame, alluminio (basti pensare che una lavatrice contiene almeno mezzo kilo di rame e di alluminio al momento scartati) ma anche delle famigerate terre rare (817 elementi della tavola chimica) alla base della guerra commerciale Usa- Cina che detiene il 90% della commercializzazione di questi preziosi elementi posti anche in Occidente alla base della Rivoluzione industriale 4.0;

3- Messa a sistema dell’insieme di esperienze della riparazione-riuso che già oggi, senza alcun aiuto pubblico, rappresentano un indotto di 90.000 addetti che potrebbe triplicare anche attraverso interventi integrati con la digitalizzazione inclusi nel Recovery Plan. Solo Zero Waste Italy ha censito almeno 60 imprese del genere;

4- Riconversione degli attuali obsoleti impianti di trattamento meccanico-biologico finalizzati quasi sempre a produrre combustibile solido secondario in “impianti ponte” denominati “fabbriche dei materiali” in grado di recuperare ancora materiali minimizzando ulteriormente gli smaltimenti da conferire in discarica. Ciò, addirittura in anticipo rispetto alle direttive europee permetterebbe di raggiungere gli obiettivi di conferimento in discarica stabiliti a meno del 10 per cento ben prima del 2035 e senza ricorrere agli inceneritori.

Questi progetti a loro volta hanno bisogno di “riforme strutturali” (a costo zero) in realtà almeno sulla carta molto semplici ed in mano ai ministeri relativi agli acquisti verdi per favorire un mercato protetto a manufatti da materiali riciclati e comunque di seconda vita o alternativi alle plastiche che senza la “mano pubblica” rischiano di rimanere marginali.

In merito dovrebbero essere intensificati e accelerati i CAM (Criteri Minimi Acquisti), l’applicazione dell’ “end of waste” per materiali come ad esempio gli scarti verdi che se raccolti in raccolta differenziata ed inviati a comprovato compostaggio non si capisce perché non possano essere sottratti alla nozione di rifiuto ed inclusi in quella di materia prima. Inoltre, finalmente occorre attuare quel tristemente mitico decreto attuativo (mai arrivato e che sarebbe dovuto arrivare dopo i 6 mesi dall’approvazione del DLGS 152 del 2006) che normi le modalità della preparazione per il riutilizzo per permettere a prodotti conferiti nelle isole e/o stazioni ecologiche di essere riparati e commercializzati come nuovi prodotti. Infine, questo sì, starebbe al Parlamento approvare una normativa che consenta significativi sconti fiscali o crediti d’imposta per chi certifica operazioni di riparazione di beni e prodotti sull’esempio di una già funzionante normativa svedese.

Tutto questo è senza ombra di dubbio nel solco della Economia Circolare riconfermate dalla UE quale asse per gli investimenti per il Recovery Plan.

Su questi punti e non solo vogliamo essere consultati vantando già sinergie pubbliche e private (con i 311 comuni Rifiuti Zero e con aziende e distretti del settore).

Non si ignori questa disponibilità!

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