Ogni cigolio lo fa tentennare. Quel fremito simile a due cavi d’acciaio tagliati a metà che sfregano l’uno sull’altro. Per poi premere sulla pelle, stridere, lasciare quei solchi nella carne. “Ne ho tre sulla pancia”, confessa Mudi, ragazzo siriano di 20 anni arrivato a Beirut due anni fa, la voce strozzata e le mani aggrappate alla camicia nera. Quando suo padre, uno Sheikh di Aleppo, ha scoperto che il figlio è omosessuale si è riempito le mani con una mazza di ferro e l’ha massacrato. Prima i colpi sul corpo, poi lo sfregio sul basso ventre. Le grida, le imprecazioni, l’arrivo della madre, la porta che si apre, Mudi nudo a terra, la pozza di sangue. “Mi sono dovuto salvare da solo”. Perché, per la famiglia, lui è “il reietto”. La sconfessione. “Quello da uccidere e ripudiare”.
I suoi fratelli lo costringono a lavorare nell’officina vicino casa, per “rieducarlo”, perché possa imparare a comportarsi “come ogni vero uomo dovrebbe fare”. Ma gli occhi di Mudi, tra motori da riparare e carrozzerie da riverniciare, sono tutti lì, fermi su quelle gambe ben salde laggiù, quella schiena piegata in avanti così vicina a lui, quelle braccia tornite lassù. Come punizione, testa e sopracciglia rasate, e 45 giorni dentro uno scantinato senza mangiare. “Mio fratello maggiore mi ha detto: ‘Potrai uscire solo quando ti saranno ricresciuti i capelli e tutte le sopracciglia’”.
La violenza risveglia la paura. E poi la consapevolezza, la fuga, l’arrivo in Libano dove l’omosessualità, però, è illegale. Dove l’articolo 534 del Codice Penale punisce fino ad un anno di carcere i rapporti sessuali che, come cita il testo, “contraddicono le leggi della natura”.
Dove qualsiasi sospetto di “non conformità” rimane in balia del giudizio dei potenti. Non c’è spazio per il libero arbitrio, tra l’asfalto di Beirut – tutto checkpoint e uomini in divisa – ma controllo, biasimo, condanna. Mormorio tra stralci di vita sospesa. Occhiate. Provocazioni. Domande. Mudi stava tornando a casa quella sera di due anni fa, come sempre a piedi, quando un soldato, tra le vie di Tariq al-Jdideh – quartiere popolare, a maggioranza sunnita, nel sud della città, spesso teatro di scontri armati tra le fazioni rivali della zona – gli ha sbarrato la strada dopo averlo fatto indietreggiare con la canna del fucile appoggiata sul petto. “Mi ha chiesto: ‘Sei siriano?’. E poi, mi ha urlato addosso: ‘Perché porti l’orecchino?’”. Un pendente, color bronzo, sull’orecchio sinistro. “Me l’ha strappato via con forza, fino a farmi sanguinare”. Il lobo lasciato a metà, il dolore, l’umiliazione. “Mi ha colpito in testa più e più volte. Un pugno, poi un altro ancora. Sono caduto a terra, mi ha sputato in faccia e ha detto: ‘Vai a farti fottere nel tuo paese, frocio’”. La maldicenza, la lingua molesta, la repulsione. Perché Mudi, e chi come lui, non è solo omosessuale, ma anche un rifugiato. Gente che porta un doppio fardello, vittima di un duplice stigma, che combatte una doppia discriminazione sistemica. Quella che “ti reputa sbagliato solo per come sei e gongola nel vederti prostrato”.
E poi, il ghigno, la “vittoria”, le manette. L’arresto. Due giorni passati dentro una cella gelida insieme ad altre quaranta persone. Sconosciuti. Occhi vuoti e volti senza nome. Corpi anonimi ammassati l’uno sull’altro in uno spazio ristretto, cupo, angusto, dove trasuda sangue e sudore, e si trascina l’assillo. Al “perché sono qui?”, che rimbomba nella mente di Mudi, risponde avida l’insolenza. La ragione si arrende all’incertezza mentre ogni speranza affoga nell’inquietudine. Perché più volte al giorno, tra sbarre e cemento, si consuma il torto più grande. La tortura. Prima verbale, e poi fisica. Prima le insinuazioni, poi le molestie da parte degli agenti. Prima, i “ti piace succhiare?”, “ma quanto godi nel farti scopare da un uomo?”, “le ragazze non ti eccitano?”. Poi, “le mani addosso, gli schiaffi in faccia”, la sospensione del giudizio, “jeans e mutande tirati giù”, la sopraffazione, il disagio, la prepotenza, “il suo membro dentro di me”. Lo smarrimento e il disagio. L’obbligo e i sensi di colpa. La morte dell’Io nell’affermazione dello stupro. Nell’apnea della vita, sull’orlo della vergogna, c’è tutta la bestialità umana.
Non sono servite a nulla le dichiarazioni dell’Associazione degli Psichiatri libanesi che, per ben due volte, nel 2013 e nel 2016, ha affermato che “l’omosessualità non è un disturbo mentale”. Non sono bastati cinque giudici e la loro opposizione all’articolo 534 del Codice Penale in cinque sentenze. Non è bastata una legge, quella contro la tortura, approvata dal Parlamento libanese nel 2017. Perché, in fondo, “sono solo provvedimenti di facciata – come afferma Rasha Younes, ricercatrice presso la sede di Human Rights Watch di Beirut – mosse strategiche per migliorare l’immagine del Paese agli occhi della comunità internazionale”. Ma la realtà è ben diversa. “Le autorità giudiziarie insistono nell’ignorare le disposizioni di legge – precisa l’analista – e le Forze di Sicurezza, ovvero le Forze di Sicurezza Interna, la Sicurezza Generale e le Forze Armate Libanesi, continuano con l’uso indiscriminato della violenza, torturano e, poi, eliminano documenti, scrivono report fittizi”. L’unico modo che hanno per uscirne “puliti”. Alla bolsa retorica dei piccoli passi avanti, alle vuote astrazioni del “faremo”, vince la prepotenza dello Stato. Che cerca presunti colpevoli da incarcerare, uomini da interrogare, corpi da seviziare. Che umilia, invece di proteggere. “Da vittima, diventi carnefice”, sottolinea Sahar Mandour, portavoce di Amnesty International. “Non puoi denunciare o chiedere protezione – puntualizza – perché esporsi significa rivelare il proprio orientamento sessuale, la propria identità di genere, che equivale ad una condanna garantita”.
Negli ultimi quindici anni non c’è stato giorno in cui non sia avvenuto un raid, un fermo, o un arresto. E, solo nell’ultimo anno, la violenza nei confronti della comunità Lgbtq è aumentata del 300%. “Il pensiero di camminare da solo, per strada, mi terrorizza – ammette Mudi con lo sguardo fisso alla finestra – perché sei, e sempre sarai, il loro bersaglio”. Degli uomini di Stato, della gente che incroci per le vie della città, borghesi, proletari, cristiani, musulmani, giovani, meno giovani, facce sconosciute pronte ad additarti. Perché, nell’anatomia del disonore, non c’è solo la legge a condannarti, ma anche la società patriarcale con le sue giustificazioni morali, lo spettro familiare con le sue verità inoppugnabili e le sue intimidazioni. Ci sono messaggi diretti di morte. C’è il telefono che squilla e Mudi che non risponde, ci sono numeri bloccati, notti insonni e appartamenti cambiati. C’è il timore di essere trovato, l’angoscia di essere preso, il terrore di essere ucciso. Il pianto convulso, il riflesso allo specchio, il disamore. Perché l’insistenza della memoria preme anche ora sul nervo scoperto della sessualità – fedeltà e congruenza – rammentando un passato sempre presente che, seppur lontano dalle pulsioni della coscienza, spinge al tormento. Il cielo è cambiato, il vento è più fresco, la stagione delle piogge è vicina. “Guarda – impreca mentre riempie di vestiti, ancora una volta, la sacca nera appoggiata sul letto – questa è vita?”. Sostare. Lasciare. Ricercare. Il domani – lotta tra determinazione e incertezza – inciampa ancora nel torpore dell’indulgenza.
Mondo
Scappato dalla Siria perché gay e massacrato anche in Libano. “Denunciare equivale a una condanna garantita”
IL REPORTAGE - Quando il padre di Mudi ha saputo che il figlio era omosessuale, si è riempito le mani con una mazza di ferro. La famiglia l'ha punito: testa e sopracciglia rasate, e 45 giorni dentro uno scantinato senza mangiare. Lui è scappato a Beirut ma anche qui, dove l'omosessualità è illegale, vive nella paura. Nell’ultimo anno, la violenza nei confronti della comunità Lgbtq è aumentata del 300%. "Il pensiero di camminare da solo, per strada, mi terrorizza"
Ogni cigolio lo fa tentennare. Quel fremito simile a due cavi d’acciaio tagliati a metà che sfregano l’uno sull’altro. Per poi premere sulla pelle, stridere, lasciare quei solchi nella carne. “Ne ho tre sulla pancia”, confessa Mudi, ragazzo siriano di 20 anni arrivato a Beirut due anni fa, la voce strozzata e le mani aggrappate alla camicia nera. Quando suo padre, uno Sheikh di Aleppo, ha scoperto che il figlio è omosessuale si è riempito le mani con una mazza di ferro e l’ha massacrato. Prima i colpi sul corpo, poi lo sfregio sul basso ventre. Le grida, le imprecazioni, l’arrivo della madre, la porta che si apre, Mudi nudo a terra, la pozza di sangue. “Mi sono dovuto salvare da solo”. Perché, per la famiglia, lui è “il reietto”. La sconfessione. “Quello da uccidere e ripudiare”.
I suoi fratelli lo costringono a lavorare nell’officina vicino casa, per “rieducarlo”, perché possa imparare a comportarsi “come ogni vero uomo dovrebbe fare”. Ma gli occhi di Mudi, tra motori da riparare e carrozzerie da riverniciare, sono tutti lì, fermi su quelle gambe ben salde laggiù, quella schiena piegata in avanti così vicina a lui, quelle braccia tornite lassù. Come punizione, testa e sopracciglia rasate, e 45 giorni dentro uno scantinato senza mangiare. “Mio fratello maggiore mi ha detto: ‘Potrai uscire solo quando ti saranno ricresciuti i capelli e tutte le sopracciglia’”.
La violenza risveglia la paura. E poi la consapevolezza, la fuga, l’arrivo in Libano dove l’omosessualità, però, è illegale. Dove l’articolo 534 del Codice Penale punisce fino ad un anno di carcere i rapporti sessuali che, come cita il testo, “contraddicono le leggi della natura”.
Dove qualsiasi sospetto di “non conformità” rimane in balia del giudizio dei potenti. Non c’è spazio per il libero arbitrio, tra l’asfalto di Beirut – tutto checkpoint e uomini in divisa – ma controllo, biasimo, condanna. Mormorio tra stralci di vita sospesa. Occhiate. Provocazioni. Domande. Mudi stava tornando a casa quella sera di due anni fa, come sempre a piedi, quando un soldato, tra le vie di Tariq al-Jdideh – quartiere popolare, a maggioranza sunnita, nel sud della città, spesso teatro di scontri armati tra le fazioni rivali della zona – gli ha sbarrato la strada dopo averlo fatto indietreggiare con la canna del fucile appoggiata sul petto. “Mi ha chiesto: ‘Sei siriano?’. E poi, mi ha urlato addosso: ‘Perché porti l’orecchino?’”. Un pendente, color bronzo, sull’orecchio sinistro. “Me l’ha strappato via con forza, fino a farmi sanguinare”. Il lobo lasciato a metà, il dolore, l’umiliazione. “Mi ha colpito in testa più e più volte. Un pugno, poi un altro ancora. Sono caduto a terra, mi ha sputato in faccia e ha detto: ‘Vai a farti fottere nel tuo paese, frocio’”. La maldicenza, la lingua molesta, la repulsione. Perché Mudi, e chi come lui, non è solo omosessuale, ma anche un rifugiato. Gente che porta un doppio fardello, vittima di un duplice stigma, che combatte una doppia discriminazione sistemica. Quella che “ti reputa sbagliato solo per come sei e gongola nel vederti prostrato”.
E poi, il ghigno, la “vittoria”, le manette. L’arresto. Due giorni passati dentro una cella gelida insieme ad altre quaranta persone. Sconosciuti. Occhi vuoti e volti senza nome. Corpi anonimi ammassati l’uno sull’altro in uno spazio ristretto, cupo, angusto, dove trasuda sangue e sudore, e si trascina l’assillo. Al “perché sono qui?”, che rimbomba nella mente di Mudi, risponde avida l’insolenza. La ragione si arrende all’incertezza mentre ogni speranza affoga nell’inquietudine. Perché più volte al giorno, tra sbarre e cemento, si consuma il torto più grande. La tortura. Prima verbale, e poi fisica. Prima le insinuazioni, poi le molestie da parte degli agenti. Prima, i “ti piace succhiare?”, “ma quanto godi nel farti scopare da un uomo?”, “le ragazze non ti eccitano?”. Poi, “le mani addosso, gli schiaffi in faccia”, la sospensione del giudizio, “jeans e mutande tirati giù”, la sopraffazione, il disagio, la prepotenza, “il suo membro dentro di me”. Lo smarrimento e il disagio. L’obbligo e i sensi di colpa. La morte dell’Io nell’affermazione dello stupro. Nell’apnea della vita, sull’orlo della vergogna, c’è tutta la bestialità umana.
Non sono servite a nulla le dichiarazioni dell’Associazione degli Psichiatri libanesi che, per ben due volte, nel 2013 e nel 2016, ha affermato che “l’omosessualità non è un disturbo mentale”. Non sono bastati cinque giudici e la loro opposizione all’articolo 534 del Codice Penale in cinque sentenze. Non è bastata una legge, quella contro la tortura, approvata dal Parlamento libanese nel 2017. Perché, in fondo, “sono solo provvedimenti di facciata – come afferma Rasha Younes, ricercatrice presso la sede di Human Rights Watch di Beirut – mosse strategiche per migliorare l’immagine del Paese agli occhi della comunità internazionale”. Ma la realtà è ben diversa. “Le autorità giudiziarie insistono nell’ignorare le disposizioni di legge – precisa l’analista – e le Forze di Sicurezza, ovvero le Forze di Sicurezza Interna, la Sicurezza Generale e le Forze Armate Libanesi, continuano con l’uso indiscriminato della violenza, torturano e, poi, eliminano documenti, scrivono report fittizi”. L’unico modo che hanno per uscirne “puliti”. Alla bolsa retorica dei piccoli passi avanti, alle vuote astrazioni del “faremo”, vince la prepotenza dello Stato. Che cerca presunti colpevoli da incarcerare, uomini da interrogare, corpi da seviziare. Che umilia, invece di proteggere. “Da vittima, diventi carnefice”, sottolinea Sahar Mandour, portavoce di Amnesty International. “Non puoi denunciare o chiedere protezione – puntualizza – perché esporsi significa rivelare il proprio orientamento sessuale, la propria identità di genere, che equivale ad una condanna garantita”.
Negli ultimi quindici anni non c’è stato giorno in cui non sia avvenuto un raid, un fermo, o un arresto. E, solo nell’ultimo anno, la violenza nei confronti della comunità Lgbtq è aumentata del 300%. “Il pensiero di camminare da solo, per strada, mi terrorizza – ammette Mudi con lo sguardo fisso alla finestra – perché sei, e sempre sarai, il loro bersaglio”. Degli uomini di Stato, della gente che incroci per le vie della città, borghesi, proletari, cristiani, musulmani, giovani, meno giovani, facce sconosciute pronte ad additarti. Perché, nell’anatomia del disonore, non c’è solo la legge a condannarti, ma anche la società patriarcale con le sue giustificazioni morali, lo spettro familiare con le sue verità inoppugnabili e le sue intimidazioni. Ci sono messaggi diretti di morte. C’è il telefono che squilla e Mudi che non risponde, ci sono numeri bloccati, notti insonni e appartamenti cambiati. C’è il timore di essere trovato, l’angoscia di essere preso, il terrore di essere ucciso. Il pianto convulso, il riflesso allo specchio, il disamore. Perché l’insistenza della memoria preme anche ora sul nervo scoperto della sessualità – fedeltà e congruenza – rammentando un passato sempre presente che, seppur lontano dalle pulsioni della coscienza, spinge al tormento. Il cielo è cambiato, il vento è più fresco, la stagione delle piogge è vicina. “Guarda – impreca mentre riempie di vestiti, ancora una volta, la sacca nera appoggiata sul letto – questa è vita?”. Sostare. Lasciare. Ricercare. Il domani – lotta tra determinazione e incertezza – inciampa ancora nel torpore dell’indulgenza.
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Roma, 7 gen (Adnkronos) - "A due mesi dal 12 novembre, quando per la prima volta siamo intervenuti per chiedere una informativa urgente della presidente Meloni, torniamo a chiedere di informare il Parlamento dello stato dell'arte della trattativa con Musk". Lo ha detto il deputato del Pd Andrea Casu in aula alla Camera.
"Rabbrividiamo di fronte al fatto che l'Italia apprenda gli aggiornamenti attraverso fonti giornalistiche d'oltre oceano e le comunicazioni su X di Musk", ha aggiunto Casu sottolineando: "Stiamo parlando di mettere in mani straniere le chiavi della sicurezza e della difesa presente e futura del Paese. Ma l'Italia non si svende".
Roma, 7 gen (Adnkronos) - Pioggia di emendamenti dell'opposizione sulla riforma costituzionale della giustizia che introduce, tra le altre cose, la separazione delle carriere in magistratura. Il provvedimento, che modifica la Costituzione, da domani è all'esame dell'aula della Camera con le pregiudiziali di costituzionalità come primo scoglio da superare.
Il Pd ha depositato 70 emendamenti al testo, un numero inferiore a quello presentato in commissione in ragione del fatto che i tempi in aula saranno contingentati: "Si tratta di questioni tutte di merito, su cui vogliamo concentrare la discussione", fanno sapere dal gruppo dem. Il M5s, da parte sua, che già aveva dato battaglia durante l'esame in commissione, ha sottoscritto oltre 50 emendamenti.
Sono invece 52 le proposte di modifica avanzate dal gruppo di Avs, molte delle quali soppressive a partire da quella sull'articolo 1 della legge che mira a cambiare l'articolo 87 della Costituzione. Nella maggioranza FdI e Lega non hanno presentato emendamenti, mentre Forza Italia ha depositato una modifica per stabilire che i componenti laici del Csm siamo eletti dal Parlamento in seduta comune.
Tel Aviv, 7 gen. (Adnkronos) - Un gruppo di 112 familiari di ostaggi detenuti a Gaza ha presentato una petizione all'Alta Corte di Israele, accusando il governo di aver abbandonato i propri cari, violando due leggi costituzionali. Secondo la petizione, "il governo ha abbandonato gli ostaggi per 459 giorni, violando i loro diritti costituzionali alla vita, all'integrità fisica e alla dignità umana".
I ricorrenti chiedono un'ordinanza provvisoria e condizionale che obblighi lo Stato a giustificare "il perché del suo rifiuto di accettare un accordo per il rilascio degli ostaggi trattenuti a Gaza da Hamas, violando i loro diritti costituzionali, e perché il governo non dovrebbe essere costretto a garantire il loro rilascio, anche accettando di porre fine alla guerra e di ritirarsi da Gaza in cambio della loro libertà".
Roma, 7 gen. (Adnkronos) - Dopo le dimissioni da parlamentare di Andrea Orlando che ha optato per la carica di consigliere regionale in Liguria, è stato proclamato oggi in apertura dei lavori a Montecitorio il subentrante Alberto Pandolfo, primo dei non eletti Pd nell'unico collegio plurinominale ligure.
(Adnkronos) - L'Epifania ha portato via tutte le feste invernali, ma per quanto riguarda i giorni rossi sul calendario l'anno appena iniziato è ottimo per chi vuole programmare viaggi e gite fuori porta. Molte festività infatti cadono in giorni lavorativi permettendo di allungare facilmente i weekend e riposare qualche giorno di seguito in più. Ne abbiamo avuto una prova già nella prima settimana dell'anno: chi ha potuto prendere il 2 e il 3 gennaio di ferie ha staccato dal lavoro per sei giorni consecutivi, dal 1° dell'anno fino all'Epifania.
I primi mesi saranno lunghi e senza pause ma tra fine aprile e inizio maggio sarà possibile prendersi un lungo stop con una manciata di giorni di ferie. I giorni rossi sul calendario sono quelli di Pasqua e Pasquetta, domenica 20 e lunedì 21 aprile, seguiti dal 25 aprile (la Festa della Liberazione quest'anno cade di venerdì) e poi ancora dal 1° maggio, la Festa dei lavoratori, che sarà invece un giovedì.
Per chi vuole e può assentarsi più a lungo dal lavoro, magari per un bel viaggio, potrà prendere 7 giorni di ferie (22, 23, 24, 28, 29, 30 aprile e 2 maggio) per averne 16 di vacanza (da sabato 19 aprile a domenica 4 maggio). In alternativa con 3 giorni di ferie (22, 23 e 24 aprile) si uniscono le feste di Pasqua a quelle della Festa della Liberazione e si riposa 10 giorni (dal 19 al 27 aprile).
Basterà invece chiedere a lavoro un solo giorno, venerdì 2 maggio, per fare tre ponti in tre settimane: 19-20-21 aprile (per Pasqua), 25-26-27 aprile (per la Festa della Liberazione) e infine 1-2-3-4 maggio (per la Festa dei lavoratori).
Anche giugno poi inizia con un ponte: dopo il weekend del 31 maggio e del 1° giugno, la Festa della Repubblica del 2 giugno cade quest'anno di lunedì.
Ponte anche in piena estate: Ferragosto cade infatti di venerdì, permettendo di assentarsi dal lavoro dal 15 al 17 agosto senza chiedere giorni di ferie.
Anche l'ultimo mese dell'anno regalerà bei momenti di riposo senza bisogno di ferie. Si comincia con la Festa dell'Immacolata, che permetterà di allungare il weekend del 6 e del 7 dicembre di un giorno, dal momento che l'8 dicembre è un lunedì.
Lo stesso vale perla fine di dicembre: il giorno di Natale è giovedì e Santo Stefano cade di venerdì, quindi nel pieno delle feste, dal 25 al 28 dicembre, si potrà godere di un ponte di 4 giorni.
Roma, 7 gen. (Adnkronos) - “Regalare un pezzo della nostra sicurezza nazionale ad Elon Musk significa svendere il Paese. Il governo ha il dovere di comunicare al parlamento e al Paese, con la trasparenza che questo caso delicato richiede, in nome di quale accordo si vogliono consegnare ad un’azienda extraeuropea i dati sensibili dei cittadini italiani. Meloni e Salvini si contraddicono mentre evidentemente è stata affidata a Elon Musk la politica estera del nostro Paese. Un pericoloso caso di superficialità, mancanza di strategia e asservimento”. Così in una nota il segretario del Psi, Enzo Maraio.
Roma, 7 gen. (Adnkronos) - A novembre il tasso di disoccupazione è sceso al 5,7% (-0,1 punti), mentre quello giovanile è salito al 19,2% (+1,4 punti). Lo comunica l'Istat. Inoltre, fa sapere l'istituto di statistica, il numero di persone in cerca di lavoro diminuisce (-1,6%, pari a -24mila unità) per le donne e i 25-49enni, mentre aumenta nelle altre classi di età e, seppur lievemente, anche tra gli uomini. Il tasso di inattività sale al 33,7% (+0,1 punti).
A novembre, rispetto al mese precedente, il numero di occupati cala lievemente (-13mila unità), attestandosi a 24 milioni 65mila. La diminuzione coinvolge solamente i dipendenti a termine, che scendono a 2 milioni 652mila; aumentano invece i dipendenti permanenti, che salgono a 16 milioni 264mila, e sono sostanzialmente stabili gli autonomi, pari a 5 milioni 149mila, spiega ancora l'Istat.
L’occupazione è in crescita rispetto a novembre 2023 (+328mila occupati) per l’aumento dei dipendenti permanenti (+500mila) e degli autonomi (+108mila), a fronte del calo dei dipendenti a termine (-280mila). Su base mensile, il tasso di occupazione è stabile al 62,4%, quello di disoccupazione scende al 5,7% e il tasso di inattività sale al 33,7%.
A dicembre, secondo le stime preliminari, l’inflazione è stabile a +1,3%. Nella media 2024, la crescita tendenziale dei prezzi al consumo si attesta all’1,0%, in forte calo rispetto al +5,7% del 2023.
La netta attenuazione dell’inflazione nell’anno appena concluso è per lo più imputabile alla marcata discesa dei prezzi dei Beni energetici (-10,1% da +1,2% del 2023). Anche nel settore alimentare si assiste a un rapido ridimensionamento della dinamica dei prezzi (+2,3% da +9,8%) che tuttavia resta ben al di sopra del tasso di inflazione. Nel 2024, l’inflazione di fondo si ferma a +2,0% (da +5,1% del 2023). A dicembre, il trascinamento dell’inflazione al 2025 è +0,3%.
Quanto al carrello della spesa è in frenata a dicembre: il ritmo di crescita su base annua dei prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona lo scorso mese si è attenuato, passando da +2,3% a +1,9%, mentre è cresciuto quello dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +1,6% a +1,8%), comunica ancora l'Istat nelle sue stime preliminari dell'inflazione di dicembre 2024.