Lo spaesamento provocato dal Covid ha stravolto prospettive e orizzonti di molte categorie professionali, soprattutto quelle che hanno bisogno di un contatto fisico con il pubblico, come l’ambito dello spettacolo, e della live music, che hanno subito grossi traumi. In questo senso, le reazioni sono state le più disparate.
C’è chi si è catapultato sui social per avere uno spiraglio di contatto umano, e chi ha ripreso possesso di certe vocazioni ormai abbandonate da tempo.
È così che Pau, alias Paolo Bruni, cantante e fondatore dei Negrita, ha riscoperto la sua vocazione figurativa, riprendendo in mano tele e pennelli, tornando a dipingere dopo decenni.
“Ero a Parigi con la mia famiglia – mi racconta Pau –, mia figlia Nina doveva comprare strumenti da disegno, e così siamo entrati in un negozio di belle arti: lì, è come se avessi avuto un vento di ritorno. Gli odori della carta, l’inchiostro, toccare certi materiali che non frequentavo da decenni… mi han fatto pensare: quasi quasi, appena torno in Italia, riprendo a disegnare. Una volta a casa, sono andato a frugare nei miei scatoloni, tra colori secchi, tele invecchiate e pennarelli inutilizzabili: è il modo in cui sono riuscito a diradare la nebbia plumbea, che aveva creato dentro me il Covid. Da quel momento in poi ho arricchito i negozi di belle arti di Arezzo, e Amazon, per la gran quantità di materiali acquistati e ho dovuto persino liberare il mio studiolo da tutti gli strumenti musicali e archivi, per riempirlo di tele, quadri appoggiati dovunque, colori che fuoriescono da tutte le parti. Credo di aver avuto fortuna: mi son trovato in piena pandemia a trovarmi a pieno regime in questa mia nuova attività, che è diventata la mia principale valvola di sfogo dal punto di vista creativo”.
Già, ma perché non farlo con la musica… “Probabilmente lo choc traumatico di questo periodo si è insediato così sotto pelle, che ha deformato completamente i piani interiori. È andato tutto fuori fuoco e non ho avuto né voglia, né ispirazione di scrivere nuove canzoni. Perché non ho ancora elaborato il tutto. Questa nuova attività è per me una sorta di sbornia, è come una cotta adolescenziale che ti cambia la vita e ti far fare cose diverse”.
Ed è così che Pau è ripartito. “Poi, da perfetta puttana del rock and roll, ho pensato che avessi bisogno di un palcoscenico e in mio soccorso sono arrivati i social”. Dopo i primi post su Instagram, incoraggiato da più parti, Pau ha aperto il sito – con lo shop dove poter acquistare le sue opere a tiratura limitata – che ha chiamato Pauhaus.it, perché “oltre a essere la mia casa, ricorda sia la scuola d’arte e design Bauhaus di Gropius, sia la band inglese Bauhaus, unendo così gli universi che mi appartengono”.
La sua arte la definisce BipolArt, gioco di parole che ben descrive la sua produzione polivalente, che si snoda tra musica e arte visiva, e che all’interno delle opere stesse prosegue le proprie libere evoluzioni stilistiche. “Avevo bisogno di canalizzare il magma interiore e farlo fuoriuscire sotto questa forma”, mi dice. Del resto, la creatività è come un fiume che non puoi fermare alla fonte: lo puoi deviare, ma prima o poi deve raggiungere il mare.