Impietose le cifre diffuse oggi dall'Istituto di statistica. Flussi praticamente azzerati in primavera, ripresa parziale in estate ma ora anche la stagione invernale è a forte rischio. Gli operatori del settore lamentano l'insufficienza degli aiuti. Spunta l'ipotesi di un "patentino vaccinale" per accelerare la ripresa degli arrivi
C’era una volta il turismo. A raccontare il dramma del settore ai tempi della pandemia sono ora i numeri che l’Istat ha messo nero su bianco in un apposito rapporto. Nel complesso le presenze risultano dimezzate, ma se si guarda ai soli turisti stranieri la flessione supera il 68%, significa circa 130 milioni di arrivi in meno. I dati si riferiscono ai primi 9 mesi dell’anno ma l’ultimo trimestre, alla luce dei nuovi lockdown, non dovrebbe cambiare in modo significativo il bilancio dell’ hannus horribilis. Se si guarda poi alle sole grandi città d’arte la discesa è ancora più ripida, superando il meno 73%.
Guardando al solo periodo estivo (luglio-settembre) l’Istat segnala una discesa delle presenze del 34% vale a dire 74 milioni di arrivi in meno. Il calo è+, dovuto soprattutto ai pochi arrivi dall’estero, diminuiti del 60%. Praticamente spariti gli statunitensi: – 95% rispetto all’estate 2019. Ha tenuto la clientela tedesca calata comunque di un terzo. Più contenuta la flessione di turisti italiani che sono stati il 14% in meno. I dati relativi ai singoli mesi mostrano un sostanziale azzeramento dei flussi da marzo a maggio e una parziale ripresa a partire da giugno. Il contraccolpo più duro per il settore proviene soprattutto dai viaggi di lavoro che nel 2020 sono in discesa di quasi il 60% mentre quelli per vacanza diminuiscono del 23%. Probabile tuttavia che quest’ultimo dato debba essere ritoccato al ribasso, visto che gli ultimi tre mesi dell’anno sono stati caratterizzati da nuovi blocchi e dallo stop agli impianti sciistici. L’Istat definisce infatti la stagione invernale a forte rischio.
Disastro Lazio e Liguria, si salvano le Marche – A livello territoriale, i dati dei primi nove mesi del 2020, indicano che le flessioni più consistenti delle presenze hanno interessato le Isole (-62,7% rispetto all’anno precedente) e le regioni del Nord-ovest (-61,9%). Il Nord-est registra una variazione che, sebbene anch’essa molto consistente (-45,7%),ma meno ampia della media nazionale (-50,9%). Tra le singole regioni la più penalizzata risulta il Lazio (-73,6%), trascinata al ribasso di dati di Roma. La Campania segna un -72,2% e la Liguria -71,9%. Nessuna regione presenta incrementi. Le flessioni più contenute sono state nelle Marche (-27%), in Molise (-29%), le Province autonome di Bolzano (-29,5%) e Trento (-31,2%).
Gli aiuti che non bastano mai – Nel corso dell’anno il governo è intervenuto in più occasioni a sostegno del settore varando misure nei quattro decreti ristori. Il Recovery Plan allo studio dell’esecutivo destina al settore circa 3 miliardi di euro a cui vanno aggiunte eventuali somme utilizzate per l’ammodernamento degli immobili ricettivi che ricadono sotto un’altra voce. Aiuti per ora giudicati insufficienti dagli operatori del settore. “Siamo sconcertati dal silenzio delle istituzioni e dei media rispetto al dramma che sta vivendo il settore alberghiero in queste settimane”, ha affermato oggi Maria Carmela Colaiacovo, Vice Presidente Confindustria Alberghi.
Per agevolare e velocizzare la ripresa il presidente della Commissione Turismo e Industria alberghiera della Conferenza delle Regioni Daniele D’Amario propone l’introduzione di un “patentino”. “Quella di esibire un certificato vaccinale per partecipare ad alcune attività potrebbe essere un’opportunità e una soluzione almeno per far ripartire il settore del turismo il più presto possibile. Avendo un certificato almeno le persone vaccinate potrebbero ridare ossigeno a queste attività. Ne parlerò alla prossima Conferenza delle Regioni e lancerò una proposta da inviare alla Conferenza alla prossima riunione della Commissione Turismo. E’ una proposta condivisibile, mi auguro che potrà essere applicabile”, ha spiegato D’Amario