Cancellare il debito come ha proposto il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, formalmente non si può, ma la Banca Centrale Europea di Christine Lagarde potrebbe (se volesse) congelarlo nel suo bilancio – che poi concretamente sarebbe la stessa cosa.

Il rischio legato all’enorme debito pubblico italiano (2600 miliardi, oltre il 160% su Pil) oggi sembra inesistente ma prima o poi esploderà. La Bce attualmente copre il nostro debito pubblico e quindi il governo Conte è fortunato: i mercati finanziari ci stanno premiando. Le banche d’affari addirittura pagano per acquistare i nostri titoli di Stato che fino a 5 anni di scadenza offrono rendimenti sottozero o zero; e pretendono solo rendimenti dello 0,6% per il debito che scadrà tra 10 anni. I mercati sono rassicurati per il fatto che il rapporto tra spesa per interessi e totale delle entrate pubbliche è pari “solo” al 7,6% ed è il più basso da venticinque anni a oggi.

Lo Stato italiano ha sufficienti risorse fiscali per servire il suo debito. Il problema si presenterà invece se partirà l’inflazione in Italia e in Europa a causa delle spese supplementari di 750 miliardi di euro previste con il Recovery Fund. Se ripartisse l’inflazione la Bce non potrebbe più coprire i debiti pubblici dell’eurozona con il pretesto della lotta alla deflazione, sarebbe costretta ad alzare i tassi di interesse e il nostro debito diventerebbe improvvisamente insostenibile!

Per evitare il rischio occorre che il governo italiano spenda bene e rapidamente i 209 miliardi del Recovery Fund, e li spenda soprattutto per investimenti pubblici ad alto moltiplicatore, in modo che per ogni euro di spesa il Pil cresca più di un euro. Non è facile, ma se i soldi verranno investiti bene il Pil crescerà e il debito diminuirà.

Tuttavia l’Italia corre un altro rischio gigantesco, che quasi sempre viene ignorato: i parlamenti di Danimarca, Finlandia, Olanda e Svezia – i Paesi cosiddetti “frugali” che già si erano opposti al Recovery Fund – devono ancora approvare l’accordo faticosamente raggiunto a dicembre tra i 27 Paesi europei, e non è detto che lo faranno. In Olanda a marzo ci saranno le elezioni politiche e il nuovo parlamento potrebbe pure bocciare l’accordo. E’ quindi possibile che il Recovery salti e che l’Italia rimanga completamente all’asciutto, rovinata dalla più grave crisi sanitaria ed economica della sua storia e da una Unione Europea bloccata dai Paesi dell’Est amici di Matteo Salvini e dominata dai Paesi del Nord Europa.

Per combattere la crisi bisognerebbe fare come in Gran Bretagna: la Bank of England (BoE) acquista direttamente dal Tesoro (e non dalle banche) titoli pubblici per miliardi di sterline da spendere subito per affrontare l’emergenza coronavirus. La BoE stampa dal nulla sterline e così “monetizza” il deficit di stato e contribuisce a salvare l’economia britannica – aziende e famiglie – dal disastro. Ma nell’eurozona la monetizzazione dei debiti non è permessa dallo “stupido” Trattato di Maastricht.

Potrebbe però esistere un’altra strada. I governi dei paesi dell’eurozona dovrebbero “obbligare” la Bce a congelare i debiti legati alla crisi del Covid-19. Per quanto riguarda l’Italia, basterebbe che Bce e Banca d’Italia rinnovassero all’infinito l’acquisto dei titoli di debito che hanno già in bilancio per “cancellare” in un colpo solo circa il 20% del debito di stato. A fine settembre, il valore dei titoli pubblici italiani detenuti dalla Bce e Banca d’Italia era di 506 miliardi e, poiché il debito pubblico italiano è pari a circa 2.600 miliardi, se l’Eurosistema si impegnasse a rinnovare sempre gli acquisti di debito nazionale, un quinto del debito pubblico italiano verrebbe praticamente cancellato. Ovviamente la stessa operazione potrebbe essere fatta per gli altri Paesi dell’eurozona.

Ma è molto difficile che la Bce percorra questa strada. Allora esiste un’unica alternativa per l’Italia e i governi dell’eurozona: creare una quasi-moneta complementare all’euro. I governi potrebbero emettere – ovviamente nel rispetto delle regole dell’eurozona, per non provocare la rottura dell’euro e un’altra terribile crisi al buio – dei titoli di stato che fungano da moneta complementare all’euro, come i Titoli di Sconto Fiscale, TSF. I governi potrebbero distribuire TSF in tre anni direttamente a famiglie, imprese e enti pubblici per un importo pari a almeno il 4-5% del Pil.

Questi titoli pubblici danno diritto a una riduzione fiscale, ma solo dopo tre anni dall’emissione, in modo da non creare subito deficit pubblico; alla scadenza, al quarto anno, si ripagherebbero grazie all’aumento del Pil reale e nominale. Come tutti i titoli i TSF saranno negoziabili e convertibili in euro. I soggetti assegnatari – famiglie, imprese ed enti pubblici – saranno felici di ricevere in aggiunta ai loro normali redditi questi titoli debt-free che sono commutabili in soldi veri, in euro da utilizzare subito per l’emergenza sanitaria e poi per aumentare i consumi e gli investimenti. La domanda aggregata trascinerebbe con se l’aumento della produzione, dell’occupazione e del Pil.

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