Collocare l’onorevole Matteo Renzi nella tragedia o nella farsa è un’operazione onestamente difficile. “Sul Recovery vogliamo un dibattito vero – ha sentenziato sui media l’ex premier – non faremo polemiche pretestuose né ideologiche, ma da una discussione di merito non si scappa”. Sarebbe bello ovviamente che alle parole seguissero i fatti. Perché lo spettacolo che va in scena in questo giorni sembra essere la coda finale di una gigantesca presa in giro di cui il politico fiorentino è stato non il solo, ma uno dei principali mattatori.
Che si voglia discutere oggi di dove allocare la pioggia di miliardi provenienti dall’Europa è naturalmente un bene. Se non altro per dare all’opinione pubblica qualche argomento diverso su cui riflettere rispetto a quello della pandemia che ha monopolizzato in modo asfissiante l’informazione negli ultimi dieci mesi. Ma quando poi Renzi aggiunge che “noi inchioderemo il presidente del consiglio ai contenuti”, si dimentica quello che, nei tre anni che è stato al governo, un uomo politico credibile avrebbe dovuto imparare.
In primo luogo, l’insegnamento che un uomo che ha guidato il governo italiano in prima persona avrebbe dovuto trarre è che per spendere bene i soldi dell’Unione europea è necessario vigilare sul loro corretto uso. Ogni volta che un qualche partner europeo ha sussurrato qualcosa in merito all’onestà degli italiani nell’utilizzare risorse pubbliche, si sono alzate inorridite voci di difesa dell’immacolato spirito nazionale. Quasi che il Belpaese non fosse la terra della mafia, delle tangenti e della corruzione diffusa, diventata ormai cancro capillarmente insediatosi a ogni livello della vita pubblica.
Gli ultimi mesi di emergenza Covid hanno dato solo un assaggio della insaziabile fame di quattrini che le varie corporazioni, cricche e mediatori di ogni ordine e grado manifestano anche di fronte alle peggiori tragedie nazionali. Implicati negli scandali sono stati come al solito politici e ex politici, funzionari e membri dello Stato, affaristi e criminali. Probabilmente non si saprà mai quante risorse dell’emergenza sono finite illecitamente nelle tasche di truffatori e corruttori e le inchieste in atto segnalano solo la punta dell’iceberg del malaffare.
Con l’arrivo dei 209 miliardi dell’Europa, il quadro che si prospetta dovrebbe però fare rabbrividire. Chi è impegnato a dibattere sulla destinazione della spesa miliardaria prima di parlare forse dovrebbe interrogarsi se l’Italia è uno Stato in grado di gestire onestamente una così grande quota di risorse e la risposta che si deve dare è al netto della legislazione e della cultura vigente purtroppo negativa.
Per correre ai ripari dovrebbe essere messa in agenda una radicale riforma della giustizia che nessun partito però oggi desidera, men che meno quello dell’ex premier, giustamente impegnato a gridare al giustizialismo per difendere sé e i suoi famigliari dalle inchieste in corso.
In secondo luogo, un qualsiasi politico serio dovrebbe chiedersi come è possibile fare ripartire una nazione martoriata dalla crisi e da venti anni di stallo economico in presenza di una legislazione e di burocrazia asfissianti come quelle che generazioni di politici irresponsabili hanno fatto lievitare fino a assumere dimensioni senza pari nei paesi occidentali. I Renzi di turno dovrebbero sapere che non basta immettere risorse in un sistema per farlo funzionare, ma è necessario che gli ingranaggi interni alla macchina siano oliati e movimentabili. Oggi, chiunque voglia fare partire onestamente un’impresa per creare reddito e occupazione dopo una settimana è costretto a rinunciare a causa del assurdo sovraccarico di norme da rispettare.
Perché l’Italia ha il record del numero di leggi, articoli di legge e circolari in Europa e di conseguenza la struttura amministrativa più mortifera del continente? La regola aurea del diritto è che più si legifera, più si è costretti a legiferare: per chiarire contraddizioni, sanare dubbi, normare le eccezioni. La ragione sostanziale della situazione attuale è che il parlamento è diventato nel tempo il mediatore di infinite lobby particolaristiche, fornendo benefits agli onorevoli proponenti e creando condizioni di consenso poi difficili da modificare. In oltre 150 anni dall’unificazione del paese, il numero di norme prodotte ha continuato così a superare così quelle abrogate, portando alla paralisi interi settori economici e disincentivando l’avvio di qualsiasi investimento produttivo.
Si sta agendo per ridurre gli ostacoli agli investimenti e all’accesso alle risorse pubbliche? Oppure con i voti dei diversi partiti al governo, Italia Viva compresa, si sta ancora oggi operando per rendere il tutto ancora più macchinoso di quanto non sia già? E come sarà possibile in questo quadro accedere e usare le risorse del Recovery Fund per chi ancora ha la voglia e il coraggio di intraprendere un progetto imprenditoriale?
Infine, prima di parlare dei cosiddetti contenuti delle decisioni di spesa, una considerazione andrebbe fatta sul dibattito pubblico che si auspica accompagni la futura discussione. Renzi giustamente chiede che i cittadini possano essere informati e resi in grado di capire le scelte che avranno ricadute enormi sul paese per almeno il prossimo decennio. Ma l’impressione è che il politico toscano non sappia proprio cosa voglia dire ‘dibattito pubblico’.
L’Italia è il Paese in cui da trenta anni esiste uno dei peggiori conflitti di interesse dei paesi occidentali. Pochissime famiglie controllano in modo abnorme l’informazione e costruiscono i dibattiti pubblici per tutelare i propri interessi. Un’opinione pubblica così debole, così frastornata, così assecondante non esiste in nessun altro paese della vecchia Europa. Il risultato è tanto, troppo simile a quello che George Orwell profetizzava essere diventata la vita moderna, caratterizzata non solo dalla sua crudeltà, né dal generale senso di insicurezza che si avvertiva, quanto da “quel vuoto, quell’apatia incolore”.
Fanno bene i Renzi a reclamare dibattiti pubblici, ma i loro appelli sarebbero meno tristi se, quando ne hanno avuto la possibilità, avessero lavorato per costruire le basi per una vera discussione fondata su argomentazioni trasparenti e democratiche.