2. Autogenesis degli N to The Power

Band di dieci elementi di Harlem “guidata da Blake Leyh e Tony Jarvis, che basa il repertorio su musica strumentale con fiati, archi, percussioni ed elettronica che, pur non essendo facilmente ascrivibile al jazz, prende proprio da esso le misure per espandersi in soluzioni evolute e di immensa modernità”.

3. Cenizas di Nicolas Jaar percorre la linea di un’elettronica sperimentale che si toglie spesso la soddisfazione di sconfinare in ambiti diversissimi, citando le oscure e lugubri marce di The Velvet Underground (Mud), perlustrando ambiti organici e vibranti (Gocce, Garden) e sperimentando anche una singolare applicazione di evocative musiche etniche.

Chiedere a Joyello come è cambiata in questo periodo la fruizione della musica è un atto dovuto: “Per chi come me – contnua – è nato negli anni ’60, le modalità più che cambiare si sommano. Continuo ad acquistare dischi ma godo delle possibilità offerte dai canali di streaming che, oltretutto, permettono di ascoltare musica appena uscita e di valutarne l’eventuale acquisto”.

4. Magic Oneohtrix Point Never di Oneohtrix Point Never

Scrive: “Omaggio al mondo della radio. Il musicista la ritiene ancora oggi il mezzo di fruizione più rilassante, distensivo e divertente”.

5. The New AbnormalThe Strokes, prodotto da Rick Rubin. “È un magnifico campionario delle possibilità del gruppo con ‘digressioni synt-pop, riff indiavolati, falsetti virtuosistici e perfino una ballad finale da pelle d’oca (Ode to The Mets)’. Disco che offre il fianco alle radio e si configura come efficace colonna sonora per le giornate estive”.

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Joyello Triolo, nove dischi del 2020 sotto l’albero

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