Fare bene il proprio mestiere, di questi tempi, è la parte più difficile per una giornalista. Anna Maria Selini sa fare il suo mestiere e lo fa con Ritorno in apnea: in attesa di vederlo al cinema o in tv, si possono sostenere le prime proiezioni dal vivo.
Anna Maria vive a Roma da anni, ma è bergamasca e giornalista e torna dove tutto ha avuto inizio e mai fine: riavvolge il nastro di chi era ancora in vita e chi resta dà forma alle domande per dare una dimensione a quello che è accaduto. Perché in Valseriana? Perché a Nembro? Perché in questa valle della bergamasca? Domande a cui nessuno era preparato, come il solco di dolore tra prima e dopo nel quale la comunità è sprofondata.
“In provincia di Bergamo, tra marzo e aprile 2020, sono morte seimila persone a causa del Coronavirus. Il doppio di quelle che risultano dai dati ufficiali. Duemila le vittime nelle sole residenze per anziani” – con queste parole si chiude il documentario di Anna Maria Selini, un viaggio nell’angoscia che non smette di consumarti, come la realtà incompiuta, quella delle risposte, dei dubbi che vanno in metastasi e si divorano la ragione.
Quanto incide che quella valle sia un crocevia del mondo commerciale? Selini va e ascolta il bisogno di raccontare, di buttare fuori lo smarrimento di chi non ha potuto salutare e resta con l’eredità di un senso di colpa forse inguaribile: potevo fare qualcosa per impedire che mio padre… mia madre? Perché noi, perché qui? Chi ha visto andare via un proprio caro (senza potergli nemmeno dare una carezza) resta sospeso come un semaforo lampeggiante a un incrocio che nessuno attraversa più. Senti solo il rumore isocrono della luce che va e viene. Il tempo è fermo in quell’intermittenza vuota.
Perché il focolaio non fu isolato? Quanto costa sacrificare un numero imprecisato di vite per non andare in perdita col “sacrificio” di fermare la produttività? Quanto valeva la vita?
In apnea vai giù per tornare indietro, a galla, dove ti aspetta l’aria per rivivere, ma devi restare lucido, anche quando senti scottare nei polmoni le braci dell’ultimo respiro. Anna Maria Selini inspira, trattiene il fiato, condivide l’apnea dei racconti umani, terapia dello sfogo, umanità affrante che setacciano frantumi di forza per capire chi sei in questo enorme gioco macabro, istruito da un bugiardino fitto di parole, un rovo di lessico buono a confondere, a non fare l’autopsia alle responsabilità, ridotte in cenere, cremate come i corpi.
Un trauma collettivo si è steso sulla valle e raccontare è il primo passo per elaborare il dolore, ma è evidente la solitudine al cammino verso l’ultimo passo: la giustizia, un vaccino ai fatti che per chissà quanto avranno la forma del caos.
Il documentario di Anna Maria Selini è solo un passo, ma è ascolto e aiuta chi è stato lasciato nell’insopportabile convivenza con l’abbandono a non perdere la speranza di tornare in superficie. A respirare.