Abbiamo appena archiviato il 2020 e dobbiamo ancora parlare di Matteo Renzi come 20 giorni fa quando ha recapitato al presidente del Consiglio, mentre era impegnato a trattare al Consiglio europeo, a mezzo stampa con una bellicosa intervista a El Pais l’avviso di “essere pronto a far cadere il governo” a cui a tutt’oggi dopo una serie di teatrini e sceneggiate non ha naturalmente dato seguito.

E se non dovesse essere messo finalmente all’angolo come Giuseppe Conte ha dichiarato di voler fare nella conferenza di fine anno, nonostante l’ambiguità del Pd eternamente in bilico tra “rilancio dell’azione di governo” e logoramento del premier, non si sa quante altre volte ci ritroveremmo allo stesso punto di “galleggiamento” ma in una situazione progressivamente ed irreversibilmente compromessa in primis rispetto all’urgenza del Recovery Plan, ma non solo.

Per un banalissimo motivo evidente a tutti e che costituisce obiettivamente un innegabile difetto di origine del Conte 2: il Renzi promotore della nascita del Conte 2 ha avuto sin dall’inizio come solo ed unico scopo tentare di uscire dal cono d’ombra della sua irrilevanza politica e rimettersi al centro della scena con ogni mezzo pur di agguantare una posizione di potere più significativa di quella corrispondente al 2,5% che al 29 dicembre attribuisce al suo partito Euromedia Research.

Dunque, quali che siano le iniziative più o meno inclusive di Conte, qualsiasi apertura al confronto e riscrittura del Recovery venga offerta, anche se le proposte concrete di Italia Viva da opporre al programma “arraffazzonato” del premier si riducono a 13 righe, da parte di Renzi c’è sempre un’ ulteriore obiezione, c’è sempre una critica sprezzante, c’è sempre l’ennesimo “penultimatum” e la “minaccia” del “Ciao” che può diventare “Addio” agitata da Teresa Bellanova.

L’obiettivo per l’ex-rottamatore che ha finito per diventare la caricatura di Jep Gambardella con l’ossessione di voler far fallire i governi presieduti da altri è solo quello di minare la credibilità ed il consenso, che al di là delle appartenenze e preferenze partitiche, Giuseppe Conte si è obiettivamente conquistato anche grazie ad una gestione quanto meno responsabile della pandemia e che mantiene nonostante la criticità della situazione ed il boicottaggio interno alla maggioranza.

Al di là delle percentuali che i maggiori istituti di sondaggio attribuiscono al cosiddetto partito di Conte, approssimativamente una forbice che va dal 9% al 12% secondo le ultime rilevazioni, è il gradimento ancora in aumento a dicembre per il premier, secondo le ultime rilevazioni Ipsos al 57%, e sono i pareri di diversi sondaggisti a dare la misura e la qualità dell’eventuale consenso elettorale di cui godrebbe il presidente del Consiglio.

Nelle analisi rilasciate al Fatto Quotidiano, Antonio Noto osserva che è come se “il partito di Conte fosse già nato nell’immaginario collettivo e ha un bacino elettorale più ampio del perimetro di Pd e M5s” con un corollario non irrilevante: “un leader che sta nascendo, non che sta morendo”.

Per Alessandra Ghisleri, la sondaggista preferita da Berlusconi, il fatto che Conte abbia un gradimento molto superiore al governo non deve far pensare in un automatico consenso per un suo partito e ritiene che per lui sarebbe preferibile mettersi alla guida del M5S.

Secondo Roberto Weber direttore di Ixè, Conte non deve temere la fine di Mario Monti perché “politicamente più intelligente” ed in grado di attrarre consensi anche tra i moderati delusi da Berlusconi, ma soprattutto si deve tener contodell’enorme distonia tra commentatori-giornali ed opinione pubblica: il premier ha un gradimento ancora altissimo e non è mai successo che ci sia un coro di ostilità nei media così marcato”.

E a questo proposito anche il politologo Piero Ignazi sul Domani ha osservato che i partiti più o meno “affannati a rimuovere da Palazzo Chigi il suo attuale inquilino e che non godono di grandissimo credito non dovrebbero sottovalutare il livello di popolarità del capo del governo” e dovrebbero domandarsi come ne usciranno se “spingeranno alla porta il più apprezzato dei politici italiani”.

In particolare dovrebbe domandarselo chi con un misero 11% di consensi, sempre secondo l’ultima rilevazione dell’Ipsos che colloca Conte al primo posto con il 57%, sta ricattando da mesi con l’arroganza e la supponenza che spudoratamente rimprovera al premier il governo di cui fa parte.

E soprattutto lo statista di Rignano prima di twittare giulivo il suo plauso incondizionato alle parole ponderate di Sergio Mattarella nel messaggio di fine anno avrebbe fatto bene, almeno per una volta, a riflettere sull’eloquente monito a “non sprecare energie per inseguire illusori vantaggi di parte”.

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