Il 2020 è passato e se è per questo pure il 2019. Il 2021 per lo sport italiano inizia con il solito problema degli ultimi due anni: risolvere una volta per tutte la questione della governance. Cioè mettere ordine in un sistema che al momento non ha né capo né coda: il vecchio inossidabile, intoccabile Coni di Giovanni Malagò rivuole l’autonomia che il governo gialloverde gli avrebbe tolto creando la società Sport e Salute e per la quale il Cio (il Comitato olimpico internazionale) è pronto addirittura a negare inno e bandiera all’Italia per ingerenze politiche, trattamento riservato solo a dittatori del calibro di Lukashenko.

L’AUTONOMIA “PERDUTA” DEL CONI – Il 2021 potrebbe davvero essere l’anno della sospensione internazionale, figuraccia planetaria senza precedenti per il nostro Paese? Sembra incredibile, esagerato, per certi versi anche strumentale, eppure il rischio appare concreto. Dall’estate 2019 in poi, cioè dalla lettera di minaccia in qualche modo “suggerita” dallo stesso Malagò, il Cio ha dimostrato di essere al fianco del Coni in questa battaglia, contro il tentativo dell’ex sottosegretario Giorgetti di togliergli soldi e potere, ciò che al Foro Italico chiamano “autonomia”: essenzialmente, la questione si riduce al fatto che il personale e i beni del Coni, in passato affidati alla sua società Coni Servizi, con la trasformazione di quest’ultima in Sport e Salute oggi dipendono dal governo. E questo violerebbe l’indipendenza del Comitato.

LA RIFORMA A META’ – Tutto ciò si doveva risolvere con la famosa riforma dello sport, pensata dal governo gialloverde e conclusa da quello giallorosso. Se n’è parlato ininterrottamente per un anno e mezzo e alla fine è stata approvata monca. Ok a lavoro sportivo, professionismo femminile, stadi, sicurezza sulla neve, ma non al “decreto n. 1”, quello sulla governance appunto. Pd e Italia Viva chiedevano di restituire tutto al Coni, il M5s pretendeva almeno una incompatibilità che costringesse Malagò a scegliere fra il suo terzo mandato al Foro Italico e la presidenza delle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026. Non se n’è fatto nulla, e il problema resta.

ORA SERVE UN NUOVO DECRETO – C’è la Spada di Damocle del Cio, che si riunirà il 27 gennaio per discutere il caso italiano. Non c’è però una facile via d’uscita. La legge delega, che richiedeva un semplice decreto attuativo, era l’unico strumento che consentiva di non passare dal Parlamento. Ci sarebbe stata volendo anche la manovra, infilando una norma “pro Coni” in un maxiemendamento blindato: non a caso nelle ultime settimane il pressing di Malagò, tra dichiarazioni e interviste, è stato asfissiante. Ma anche il treno della finanziaria è passato. Ora non rimane che un decreto legge ad hoc, con almeno due grosse incognite: serve un accordo politico in maggioranza, ma se non c’era un mese fa sulla delega non si capisce perché dovrebbe esserci ora. E poi andrà comunque convertito in aula, dove può succedere di tutto.

La prospettiva dell’ennesima norma sullo sport solletica nuovi appetiti, anche perché la presunta autonomia violata non è il solo tema sul tavolo. C’è anche il dipartimento di Palazzo Chigi, che Spadafora vuole ancora più forte. E c’è sempre Sport e Salute, rimasta nel guado della riforma. La partecipata è tra due fuochi, stretta tra Coni (che vorrebbe pure una sua società tutta sua, una “Coni spa” o srl) e il ministero. Il presidente Vito Cozzoli per disinnescare il problema prepara il distacco per il personale Coni, quello che aveva chiesto Malagò un anno fa (ora gli basterà?). Ma deve guardarsi anche dai dubbi sul suo incarico: a ottobre è andato in pensione e il ministero ha chiesto un parere aggiuntivo per capire se può mantenere la carica o meno (qualcuno a Palazzo Chigi si augura di no). I risultati sono attesi a breve. Così la minaccia del Cio e la data del 27 gennaio diventano uno spartiacque: il ministro Spadafora vorrebbe intervenire prima, in Italia è più facile che succeda dopo, quando sarà arrivata la sanzione (una sospensione? una diffida?) e il premier Conte sarà costretto a fare qualcosa. Poi, una volta finito di parlare di poltrone, ci sarà da occuparsi di tutto il resto, e di un movimento devastato dalla pandemia.

Twitter: @lVendemiale

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