Un anno fa, il 3 gennaio 2020 il generale Soleimani veniva assassinato su ordine dell’allora presidente in carica Donald Trump. Per scoprire cosa accadde e farci raccontare l’Iran, torniamo lì con Alessandro Di Battista e il suo documentario ‘Sentieri persiani’.
‘Sentieri Persiani’ è il reportage in tre puntate che ho realizzato sull’Iran disponibile in esclusiva su sito, app e smart tv di TvLoft (www.tvloft.it) un reportage che creerà polemiche perché non ricalca la consueta narrazione che viene fatta della Persia. L’Iran è un grande Paese abitato da grandi popoli. Sì, popoli, perché sebbene i persiani siano la maggioranza, in Iran vivono arabi, azeri, turcomanni, beluci, curdi. Ognuno ha la sua lingua, ognuno ha le sue tradizioni, alcuni sono sunniti sebbene l’Iran sia un paese sciita.
Siamo abituati a far coincidere l’Islam con la violenza così come pensare all’Islam come un monolite. Non è così. L’Islam non è un blocco omogeneo di principi o convinzioni religiose e politiche. L’Islam è un universo variegato che abbraccia centinaia di milioni di uomini e donne diversissimi tra loro e spesso in contrasto. Il 90% degli iraniani sono sciiti; i sauditi sono sunniti; i talebani sono sunniti anche se in Afghanistan ci sono molti sciiti. Hezbollah, la forza politica libanese che sostiene la causa palestinese è un partito sciita eppure i palestinesi sono sunniti. L’Isis è un’organizzazione terrorista sunnita radicale tant’è i suoi militanti hanno esultato per l’assassinio di Soleimani, comandante dei pasdaran iraniani, ucciso su ordine di Trump.
La visione sbagliata dell’islam monolitico
Sarebbe corretto parlare di diversi Islam così come di diversi Iran. All’informazione mainstream l’approfondimento importa poco. In Iran ho visto giornalisti arrivare, chiudersi in un hotel di Teheran nord (la parte ricca della città), parlare con un paio di tassisti che conoscono l’inglese o qualche ristoratore della “Persia da bere” e scrivere in fretta e furia un pezzo prendendo spunto dalle breaking news della BBC. Non voglio generalizzare, ma spesso il sistema mediatico tradizionale premia il giornalismo più ignavo. Io non sono un giornalista, amo osservare il mondo e sono portato a prendere posizione. Sebbene ‘Sentieri Persiani’ sia un lavoro piuttosto laico solo il fatto di non raccontare l’Iran come viene raccontato abitualmente è già una presa di posizione. Credo nel dialogo, nel superamento dei conflitti, credo nei popoli e nella loro naturale inclinazione alla pace. Credo che parlare di Iran citando solo le sue contraddizioni o i suoi limiti e non le sue incredibili qualità sia profondamente sbagliato. E non si tratta di un torto fatto solo ai persiani. L’Italia, per esempio, per anni è stato il primo partner commerciale europeo dell’Iran. Poi Trump ha imposto nuove sanzioni a Teheran e l’Europa si è piegata ai diktat di Washington perdendo opportunità commerciali ed economiche fondamentali ancor di più in tempi di post-Covid. Oltretutto perché l’iranofobia spingerà inevitabilmente Teheran sempre più tra le braccia di Pechino e considerando che l’Iran detiene la quarta riserva di petrolio al mondo, non mi sembra una strategia vincente per il Vecchio Continente.
La miopia Occidentale lascia spazio ai cinesi
Nei prossimi mesi tutto ciò che non si allineerà a quella melassa del politicamente corretto tanto cara al Neo-conservatorismo, ovvero a quel movimento liberal-conservatore che ha a cuore il mantenimento dello status quo, sarà discriminato. Ho realizzato ‘Sentieri Persiani’ proprio per non discriminare un’altra parte della verità. Ho realizzato ‘Sentieri Persiani’ per sfidare il pensiero dominante consapevole delle conseguenze che questo comporta e che potrebbe comportare anche alla mia vita politica. Ho realizzato ‘Sentieri Persiani’ per dare un altro punto di vista sulla geopolitica in un momento in cui, data la crisi economica globale, il rischio che i conflitti si trasformino in guerre è sempre più alto. Ho girato l’Iran in lungo e in largo muovendomi con i mezzi pubblici. Ho fatto riprese in Khuzestan, la provincia che si affaccia sul Golfo Persico invasa dagli iracheni nel 1980 e che, probabilmente, in tempi recenti, sarebbe stata invasa anche dai miliziani dell’Isis se i pasdaran non avessero affrontato lo Stato islamico sul fronte siriano contribuendo alla sua sconfitta.
Ho visitato Khorramshahr, la Stalingrado di Persia e poi la provincia di Fars, dove Dario il Grande fondava Persepoli quando Roma era ancora una piccola città. Ho filmato Arg-e Bam – dove Pasolini girò Il fiore delle Mille e una notte – il Santuario dell’Imam Reza a Mashhad, gli angoli più remoti del Golestan, il cimitero di Kerman dove è sepolto Soleimani e le montagne al confine con l’Iraq dove migliaia di curdi rischiano la vita per portare merci sotto sanzioni in Persia. L’Iran va raccontato tutto quanto, non solo quello che fa più comodo all’establishment occidentale. Legge islamica, veli, chador, contrasto del dissenso, manifestazioni anti-governative non consentite. In Occidente se si parla di Iran si parla solo di questo. Cose vere, ma che non devono nascondere le motivazioni reali dietro il tentativo di emarginare la Persia, ovvero interessi economici, geopolitica, questione palestinese e soprattutto petrolio.
di Alessandro Di Battista – Da Il Fatto Quotidiano del 14 luglio 2020 (aggiornato il 3 gennaio 2021)