Un intero reparto da 24 letti chiuso e 37 positivi in poche settimane: è il paradosso del Sant'Andrea, struttura che secondo la Regione guidata da Giovanni Toti dovrebbe accogliere i pazienti con patologie diverse dal coronavirus. La denuncia: "Ai nuovi arrivati si fa il tampone all’accesso, ma in assenza di sintomi specifici non è previsto il richiamo. Così dopo qualche giorno si positivizzano e contagiano noi, che a nostra volta non ce ne accorgiamo, perché nessuno ci testa. L’ultimo tampone me l’hanno fatto a marzo, nove mesi fa"
Trentasette sanitari contagiati in poche settimane, un intero reparto da 24 letti chiuso per mancanza di personale. Quelli dell’ospedale Sant’Andrea di La Spezia sono numeri da prima ondata: da metà dicembre il Sars-CoV-2 ha agganciato 28 infermieri, 3 medici e 6 operatori socio-sanitari (oss). Un paradosso macroscopico, perché secondo Asl 5 – l’azienda sanitaria del Levante ligure – quella spezzina dovrebbe essere la struttura “Covid-free” in cui erogare le prestazioni standard, mentre i pazienti positivi sono dirottati in massa al San Bartolomeo di Sarzana. Insomma, qui del virus non dovrebbe esserci l’ombra.
E invece, mentre in provincia il personale a contatto con il Covid è protetto da screening settimanali, nell’ospedale “pulito” del capoluogo i controlli latitano e il contagio dilaga. “Sono infermiera di terapia intensiva neonatale, vado al lavoro ogni giorno, eppure non faccio un tampone dallo scorso aprile”, denuncia Assunta Chiocca, segretaria provinciale del sindacato NurSind. Già, perché il protocollo stilato da Alisa (l’agenzia regionale della sanità ligure) prevede che il personale delle strutture non-Covid venga testato solo se presenta sintomi o dopo un contatto a rischio: nessun accertamento periodico. “Ma ormai considerare il Sant’Andrea pulito è pura finzione”, dice Assunta. “Chiediamo con urgenza di poter essere testati regolarmente e valutiamo di rivolgerci alla magistratura per tutelare la nostra sicurezza”.
Il primo reparto a cedere è stato Medicina interna, dove si sono contagiati in 12 (10 infermieri e 2 oss). Poi è toccato a Ortopedia (5 infermieri, 2 oss) e Neurologia (3 infermieri, 2 oss), mentre 10 infermieri e 3 medici contraevano il virus in Pronto soccorso. Senza contare le decine di pazienti: “Viaggiamo al ritmo di 2-3 nuovi positivi al giorno – dice Vincenzo Muratore, oss e sindacalista Usb –, non male per essere Covid-free. Ai nuovi arrivati si fa il tampone all’accesso, ma in assenza di sintomi specifici non è previsto il richiamo. Così dopo qualche giorno si positivizzano e contagiano noi, che a nostra volta non ce ne accorgiamo, perché nessuno ci testa. L’ultimo tampone me l’hanno fatto a marzo, nove mesi fa”. Muratore lavora al Sant’Andrea da vent’anni, ma non è dipendente dell’Asl bensì di una cooperativa che gestisce 158 oss in appalto: “Per noi esternalizzati è ancora peggio, perché non esiste un protocollo chiaro”, spiega. “Capita che non ci testino nemmeno se siamo stati a contatto con un positivo. Ora pretendiamo una bonifica completa dell’ospedale – con l’intervento dei Nas – e di essere dotati dei dispositivi di protezione previsti per chi lavora nei reparti Covid”.
Infatti, da indicazioni regionali, chi opera in strutture “sporche” ha diritto all’equipaggiamento da “rischio alto”: camice impermeabile, maschera FFP3, visiera, doppi guanti sterili e calzari. Mentre per i lavoratori a “rischio basso” – quelli degli ospedali Covid-free – basta una semplice mascherina chirurgica. “Addirittura, nel reparto di Medicina, il capo area infermieristico ha vietato ai colleghi di indossare protezioni ulteriori rispetto alla mascherina FFP2”, dice Assunta. “Ha detto che così si creava “allarmismo”, perché agli occhi dell’utenza quello deve sembrare un reparto pulito, mentre ci sono stati 12 casi solo tra il personale. Eppure non è mai stato chiuso per la sanificazione totale: il modus operandi è sempre quello, trasferimento dei pazienti, una pulita veloce e si ricomincia”. Le defezioni da contagio invece hanno costretto a chiudere il reparto di Ortopedia/Traumatologia, rimasto senza infermieri. “Questo è il frutto delle assunzioni che non sono state fatte in tempo di pace”, denuncia l’Usb.
Sul caso spezzino il Movimento 5 Stelle ha presentato un’interrogazione in Consiglio regionale. “Il quadro descritto dal Nursind fa venire i brividi”, dice il consigliere pentastellato Paolo Ugolini. “Moltissimi infermieri e operatori sanitari si sono ammalati, tutti gli altri sono allo stremo, vittime di stress e burn-out. La direzione dell’Asl5 procede in ordine sparso senza alcuna programmazione, che è di fatto inesistente. Come inesistenti sono le azioni informative indirizzate alle organizzazioni sindacali. Errori, immobilismo, chiusure e contestuali contaminazioni di reparti vitali, mancate misure di sicurezza e protezione, mancate assunzioni per far fronte all’emergenza: la lista delle inadempienze è lunga. Siamo vicini agli infermieri e al personale sanitario dell’Asl5, ancora una volta ignorati dall’amministrazione regionale, che così facendo gioca con la pelle degli operatori e non garantisce una sistema sanitario efficiente tanto per i cittadini quanto per i lavoratori”.