Uno dei più noti alpinisti italiani di oggi, in un’intervista televisiva recente, è arrivato a dire che non ha avuto maestri o modelli di riferimento, nemmeno l’inarrivabile Reinhold Messner; aggiungendo che, casomai, dall’uomo che lo ha iniziato ai segreti della montagna, un suo vecchio amico, ha imparato quanto è importante… non esagerare a bere alcolici!
E’ da più di mezzo secolo che nella nostra società fa comodo sapersi scrollare di dosso con disinvoltura gli esempi maggiori (magis, come suggerisce l’etimologia latina di magistro), secondo la linea del celebre slogan del maggio francese “Mai più maestri”. Ai tempi, parliamo del 1969, finirono contestati e derisi persino quelli che, in fondo, erano considerati gli ideologi della rivolta: all’ultimo grande intellettuale neo-marxista Theodor Wiesengrund Adorno, nella sua riverita Scuola di Francoforte, saltarono persino sulla cattedra tre teutoniche contestatrici a seno nudo, lanciando petali di rosa beffeggianti, e dall’aula si levarono le grida “Burattino della reazione”, incitate dal suo allievo prediletto.
In quegli anni tempestosi si è mosso, con consapevolezza critica, ma pure con la consueta leggerezza, un vero maestro di alpinismo, Rolando Canuti, già due volte responsabile nazionale delle scuole del Club Alpino Italiano, già fondatore di una propria scuola (intitolata a due amici caduti in montagna, Bruno e Gualtiero). Canuti s’è spento, la notte tra il 2020 e il ’21, nella sua casa a Cinisello Balsamo.
Il che è già una conquista, come usa dire qualcuno degli ultimi eredi di quella cultura irriverente post-francofortese: “L’alpinista più forte è quello che ha la fortuna di morire anziano nel proprio letto”. In questi giorni gli appassionati di alpinismo trovano qua e là notizie, sempre solidamente ben sponsorizzate, delle assurde rotazioni ai campi alti nel tentativo di conquistare il K2 d’inverno o del settimo tiro d’arrampicata estremo, di grado 9a+ – qualcosa d’inimmaginabile fino a ieri e di impossibile per quasi tutti – , salito dallo stesso formidabile uomo-ragno svizzero.
Ma di un grande come Rolando Canuti, nonostante il nome di battesimo così invitante, difficile che il grande pubblico senta parlare. Dalle sue parti, tra Milano e Brianza, ha conosciuto un attimo la ribalta quando, una decina d’anni fa, gli è stato assegnato il Premio Marcello Meroni come “esempio positivo in ambito montano” e ancora adesso fortunatamente lo ricordano una pagina di testo e una bella testimonianza video su un miracoloso salvataggio di cui fu protagonista.
Eppure, in giro tra i monti, soprattutto in Lombardia, con “il Canuti” era quasi impossibile non trovare qualcuno che lo fermasse, felice di rivederlo sempre sorridente e gioviale: era noto che Rolando, avendo formato generazioni di praticanti degli sport di montagna, dagli anni Settanta, e incrociato tantissimi alpinisti sul campo, non riusciva a ricordare i nomi di tanti, ma li sapeva riconoscere quasi tutti.
Di formazione scoutistica, operaio e militante sindacale dei metalmeccanici Cisl, padre e nonno felice, formidabile conoscitore di montagne e maestro di salite, a suo tempo anche ecologista militante, Canuti era però sempre capace di riportare tutto alla dimensione più semplice, con proverbiale moderazione, e perciò sapeva trasmettere valori autentici a un alpinismo purtroppo già degenerato in prestazione mordi-e-fuggi e in piccoli o grandi egotismi sfrenati, moltiplicati dai media.
Scendendo dal Pizzo Badile, a 73 anni, dopo aver affrontato una via di salita di tutto rispetto, si lasciò sfuggire coi compagni di cordata un certo rammarico per non essere riuscito a raccogliere, in una testimonianza da lasciare, magari ai nipoti, il senso della sua bella avventura di vita. Chissà se poi ha provato a farlo, ma difficilmente le parole e le storie possono restituire quel suo sorridente tocco distintivo. Una risata sempre lieve e finale, insistita, contrappunto perfetto di quel prendersi così sul serio che invece si nota nell’ambiente alpinistico.
Condividere la corda e l’ascesa con Rolando Canuti, magari pure una sola indimenticabile notte stellata all’aperto tra i monti, era un’esperienza prima di tutto umanamente ricca, un privilegio che ha concesso a tanti suoi allievi, anche tra i più “imbranati”, perché la spocchia non sfiora i veri campioni e la capacità d’inclusione è la cifra del maestro. Che siano recordman sul piano sportivo o su quello pedagogico, come Canuti.