Stellantis ha un’agenda zeppa di questioni da mettere a punto, fra cui il posizionamento commerciale dei vari brand, gli stessi che dovranno integrarsi il più possibile per ottimizzare economie di scala e profitti. La prima domanda a cui il Gruppo dovrà rispondere è se tutti i marchi di FCA e PSA potranno sopravvivere negli anni a venire.

Quello più solido è Jeep, che potrebbe diventare la locomotiva di Stellantis: è fortissima in America, in crescita in Europa e Asia e dotata di una gamma di suv – i veicoli più richiesti in tutto il mondo – di tutte le taglie. Prima del Covid, Jeep si era stabilizzata su volumi di vendita annui attorno al milione e mezzo di unità, con la prospettiva di potersi spingersi oltre i 2 milioni. Oggi produce in USA, Messico, Italia, Brasile, Cina e India: a questi Paesi, dal 2022, si aggiungerà la Polonia, dove è in programma la produzione di un modello entry-level compatto. Quest’ultimo, insieme a Renegade e Compass, farà buona parte delle vendite della marca, che ha iniziato a dotarsi della tecnologia ibrida plug-in. All’altro capo della gamma figureranno, da metà 2021, le lussuose e mastodontiche Wagoneer e Grand Wagoneer, destinate a Cina e Usa.

Segue Peugeot, l’alfiere di PSA per tecnologia e design: l’offerta di prodotto del costruttore spazia dalle compatte di taglia urbana, come la 208 (proposta pure in edizione 100% elettrica), alle berline, passando per station wagon e Suv. Peugeot ha le potenzialità per superare di slancio il milione di unità prodotte annualmente ma non gode dello stesso appeal di Jeep né della sua internazionalità. Infatti, il grosso del suo business si concentra in Europa dove, come volumi, occupa il terzo gradino del podio dopo Volkswagen e Renault.

Poi c’è Fiat, solida in Europa e America Latina, continenti in cui possiede molteplici stabilimenti. Rispetto a Peugeot ha un posizionamento commerciale meno nobile e mentre la marca francese aspira a tornare negli States, Fiat non fa numeri negli USA (ed ha abbandonato la Cina). Il suo core business sono le auto di taglia ultracompatta, come la 500 e la Panda, ma fanno buoni numeri anche quelle di medie dimensioni, come 500X e la gamma della Tipo. Nebuloso il suo futuro: se da un lato l’ad Fiat, Olivier Francois, ha sottolineato la doppia anima della marca, fatta di un lato pratico (Panda) e di uno trendy (famiglia 500), dall’altro l’ad di FCA, Mike Manley, ha affermato che Fiat abbandonerà il segmento delle utilitarie: il che significherebbe dire addio all’inossidabile Panda. L’ultima parola, comunque, spetta a Tavares. A tenere banco ora è la Fiat 500 elettrica, che potrebbe essere l’ultima Fiat della storia progettata su una piattaforma ingegnerizzata in Italia.

Certo è che il matrimonio coi francesi è non meno che indispensabile per la sopravvivenza di Fiat, dotata di una gamma di modelli ormai obsoleti: del resto, sono anni che il costruttore ha smesso di investire in nuove piattaforme e tecnologie elettrificate, confidando, molto verosimilmente, in un travaso tecnologico derivante dal matrimonio industriale con un’azienda terza; coerentemente con la visione di Sergio Marchionne che, dopo quella con Chrysler che aveva portato alla formazione di FCA, agognava una seconda maxi fusione prima di lasciare il timone al suo successore (impresa in cui non è riuscito solo per motivi di salute). Ne consegue che tutta la gamma Fiat – e parte di quella Alfa Romeo e Jeep – avranno meccaniche e tecnologie transalpine. Ha ancora senso parlare di auto “italiana”, quindi? Un quesito a cui è difficile rispondere, specie quando si parla dei modelli che saranno costruiti al di fuori del nostro Paese.

Alter ego di Jeep è Ram, specializzato in pick-up e truck, particolarmente apprezzati oltreoceano: nel 2019 ha venduto oltre 700 mila macchine – con un margine operativo di oltre il 10% – ed avrebbe le potenzialità per superare il milione di pezzi all’anno. Non potrebbe essere più diversa Citroen, alle prese con un riposizionamento strategico incentrato su comfort, facilità d’uso e originalità: il 2021 sarà l’anno della nuova C4, berlina-crossover che sarà proposta anche in edizione elettrica. Il Double Chevron ha una dimensione prevalentemente europea e sarà necessario assortirlo bene con Fiat per evitare sovrapposizioni. Un discorso valido anche per Opel, il brand tedesco di PSA in piena fase di rilancio: dopo l’arrivo della nuova Corsa (gemella della Peugeot 208, che potrebbe prestare la sua piattaforma anche a un’omologa Fiat), nel 2021 sarà la volta della Mokka – a sua volta sviluppata su base meccanica francese – e della Astra, sorella della nuova Peugeot 308, l’anti VW Golf made in France attesa per fine anno.

Più cupo il destino di Dodge e Chrysler, brand fortemente legati al mercato Usa. Il primo, orientato alla performance, produce modelli ad alto impatto ambientale, con carrozzerie ormai poco richieste dai consumatori. Il secondo offre solo una berlina e due minivan: tutti segmenti in costante contrazione. A rischio pensionamento anche Lancia, che oggi può contare solo sulla Ypsilon: la regionalità del marchio ed i suoi scarsi volumi di vendita non sembrano potergli lasciare scampo. Soprattutto, va detto, a causa della miopia di una dirigenza che non ha mai saputo valorizzare una marca dal bagaglio storico gigante, dal fascino molto elevato e dalle enormi potenzialità. Madornale l’errore fatto qualche anno fa, cercando di spacciare alcuni modelli Chrysler come delle vere e proprie Lancia: un tentativo ampiamente fallito.

L’unica speranza per Lancia, però, potrebbe essere Tavares, che ama le belle auto e che potrebbe provare a compiere un miracolo, rilanciandola e riposizionandola dove dovrebbe stare, ovvero a competere con Audi e Mercedes. Piattaforme e tecnologie ci sarebbero, ma il problema potrebbero essere le risorse, specie perché quelle disponibili sono destinate ai piani di rilancio di Alfa Romeo e Maserati. Piuttosto che far morire Lancia, comunque, sarebbe auspicabile che Stellantis provasse a disfarsene, vendendo il marchio a chi fosse intenzionato a farlo realmente risorgere.

Una magia il manager portoghese dovrebbe farla anche con DS, premium brand nato da una costola di Citroen nel 2014 e che non ha ancora trovato una dimensione commerciale consona alle aspirazioni di PSA. Nel 2019 è stato lanciato il modello compatto DS3 Crossback – proposto anche con motore 100% elettrico – che ha avuto pure la sfortuna di scontrarsi con la pandemia. Non ha invece convinto più di tanto la suv DS7 Crossback, proposta anche con motore plug-in. Ora il marchio ha in programma una berlina compatta, la DS4, e un’ammiraglia concepita per il mercato asiatico, la DS9. Tuttavia i numeri di vendita gennaio-settembre 2020 sono pressappoco quelli di Lancia: attorno alle 30 mila unità.

Infine, due diamanti allo stato grezzo, Alfa Romeo e Maserati: il Biscione viene da sfortunati tentativi di rilancio (nonostante uno degli ultimi abbia prodotto Giulia e Stelvio, due auto dai contenuti tecnici invidiabili e dall’eccezionale guidabilità) che, secondo i piani originali, avrebbero dovuto garantire vendite per oltre 400 mila macchine l’anno; mentre in realtà, complice il Covid, il computo ammonta a quasi un decimo. Heritage e appeal non si discutono, ma c’è bisogno di una gamma più articolata: perciò sono in arrivo gli aggiornamenti di Giulia e Stelvio, un uuv di dimensioni compatte denominato Tonale (sarà presentato a fine anno) e un piccolo crossover che verrà assemblato in Polonia, su base tecnica PSA, nel 2022.

Il Tridente, invece, è l’unico marchio di lusso di Stellantis e mette nel mirino Porsche. La strategia par il suo rilancio è più definita e prevede un totale rinnovo della gamma, che verrà contestualmente elettrificata. Entro il 2024 il target commerciale annuale è quello delle 75 mila unità: il grosso delle vendite lo farà il suv Grecale, costruito sulla base tecnica della Stelvio e dotato di meccanica ibrida. Arriverà insieme alla sportivissima MC20, barchetta a motore centrale dai sublimi contenuti tecnici, che sarà proposta anche in edizione 100% elettrica, oltreché con carrozzeria spider.

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