Con voto praticamente unanime (99,8% e 99,1%), gli shareholders delle due aziende hanno approvato la fusione che porterà alla nascita del nuovo player dell'auto mondiale. Il futuro amministratore delegato Carlos Tavares ha parlato di "momento storico", mentre il presidente John Elkann di "unione di partner con la stessa mentalità". Ecco le criticità che il nuovo gruppo dovrà affrontare dopo il matrimonio, che arriverà a metà mese
“Il momento è storico, insieme siamo più forti e pronti a investire. Prevediamo che Stellantis possa diventare il terzo costruttore mondiale in termini di fatturato”. Non senza una certa emozione, il futuro amministratore delegato del sodalizio italo-americano-francese Carlos Tavares ha accolto il voto pressoché unanime (99,8%) degli azionisti Psa alla fusione con Fca, arrivato in mattinata.
Gli ha fatto eco qualche ora dopo John Elkann sul fronte Fca, i cui azionisti si sono anch’essi espressi per il si al matrimonio con i francesi con 1.278.573.554 voti positivi (99,15%): “Vogliamo avere un ruolo di primo piano nel prossimo decennio, che ridefinirà la mobilità. La fusione con Groupe Psa è un ulteriore coraggioso passo avanti nel nostro viaggio, Stellantis rappresenta l’unione di due partner che condividono la stessa mentalità“.
Una comunione di intenti che ha fatto sì che il closing dell’operazione avvenga ben prima di quanto previsto: la fusione vera e propria verrà infatti perfezionata il 16 gennaio, mentre la negoziazione delle azioni ordinarie di Stellantis inizierà lunedì 18 gennaio a Milano e Parigi, martedì 19 a New York.
Il quarto gruppo automobilistico mondiale per volumi stando ai dati del 2019 (il sesto stando a quelli previsti del 2020), con 8,1 milioni di veicoli, 400 mila dipendenti e un fatturato da oltre 180 miliardi di euro, è dunque pronto a emettere il suo primo vagito. E a portare con sè, grazie a sinergie su piattaforme, tecnologie e acquisti, risparmi per 5 miliardi (numero che descrive solo in parte le dinamiche di questa storica fusione, secondo Elkann) di euro all’anno, di cui l’80% a partire dal 2024. Almeno questo dicono i conti che le task force dei due costruttori hanno fatto negli ultimi tre anni, in cui si sono prodigati in trattative e sforzi di avvicinamento, culminati nel semaforo verde dell’Antitrust europea e nelle correzioni dell’ultim’ora (causa pandemia) sugli equilibri economici (quote, dividendi per gli shareholder) e di potere, in modo da raggiungere il miglior accordo possibile per tutti. A proposito di dividendi, il cda di Fca ha previsto un dividendo straordinario condizionato di 1,84 euro per azione ordinaria corrispondente ad una distribuzione complessiva di circa 2,9 miliardi di euro, per il 15 gennaio 2021.
Non v’è dubbio che Stellantis avrà diverse criticità da affrontare. Mettere insieme, armonizzandoli, 15 marchi (“complementari”, secondo Mike Manley) dall’alterno stato di salute non è opera semplice. Nè lo sarà salvaguardare i livelli occupazionali, soprattutto quelli degli stabilimenti italiani, su cui sindacati e istituzioni hanno il dovere di vigilare nei mesi a venire. Se infatti la politica francese ha da sempre ritenuto strategico il comparto automotive domestico, spingendo lo Stato a possedere quote sia di Renault che di Psa, non altrettanto può dirsi di quella nostrana.
Il nemico numero uno è nondimeno l’eccesso di capacità produttiva degli stabilimenti europei, soprattutto quelli di Fca: la percentuale di utilizzazione dei suoi impianti è inferiore al 50%, mentre quelli della concorrenza viaggiano tra il 60 e l’80 per cento, secondo quanto scrive il sito specializzato Autonews.com. Una delle questioni urgenti a cui Tavares dovrà mettere mano.
Così come su anni di non investimenti su un marchio come Fiat, che lo hanno esposto ad una carenza di nuove tecnologie (leggi piattaforme elettrificate) e modelli, che tuttavia l’abbondanza di know-how nel gruppo Psa proprio nel comparto cruciale dei modelli compatti, dovrebbe poter colmare. Consentendone la ripresa dopo il milione di vendite perso dal 2009 ad oggi, nel complesso.
Urgono anche piani di rilancio per DS, Alfa Romeo e Maserati, e sarebbe utile conoscere il futuro di un marchio storico come Lancia, che sembra abbandonato al suo destino. Senza dimenticare che in Europa incombono regole sempre più stringenti sulle emissioni, che potrebbero diventare un grosso problema per tutto il gruppo, nonostante l’accordo per la cessione dei crediti di carbonio siglato lo scorso anno con Tesla da Fca.
Dal canto suo, Psa deve fare i conti con il fallimento della politica di internazionalizzazione del gruppo, ancora troppo Europa-centrico. I tre quarti dei suoi profitti vengono dal vecchio continente, il che significa poca diversificazione del rischio. Per ovviare alla situazione, Tavares aveva schedulato il ritorno di Opel in Russia e l’ingresso di Citroen nel mercato low cost indiano, così come lo sbarco negli Usa di Peugeot. Un piano che potrebbe subire cambiamenti, anche perché la situazione del prossimo “coniuge” è paradossalmente opposta: Fca macina la maggior parte dei profitti in America, soprattutto coi marchi Jeep e Ram. Un “buon bilanciamento geografico”, per dirla Manley, da cui potrebbero trarre benefici entrambi.
Ciò a cui si deve mettere mano con altrettanta solerzia, è la politica di espansione sul mercato cinese. Dove entrambe i player faticano da tempo, complici posizionamenti troppo ambiziosi e joint venture non sempre azzeccate: circa 100.000 pezzi all’anno venduti da ciascun gruppo non suonano proprio come una conquista. Ma, anche in questo caso, Stellantis potrebbe essere l’occasione per un nuovo e più convincente aproccio al business nel Paese della Grande Muraglia.