“L’albero più bello è quello che regali alla tua città”. Lo slogan riecheggia nelle vie di Milano e la relativa campagna Forestami è solo l’ultimo tassello del nuovo corso ecologista del capoluogo lombardo. Stavolta si guarda lontano: 3 milioni di alberi entro il 2030 in tutta la (ex) provincia.
Sono stati bravi, va detto. Cambiare la narrazione di una città come Milano non è uno scherzo, al netto di qualche generoso servizio giornalistico. La capitale della finanza e della moda si tinge di verde, chi l’avrebbe detto. Milano ha fermato il consumo di suolo, ha ridotto l’indice di edificabilità, ha tagliato il traffico in centro, ha moltiplicato le piste ciclabili, e così via. E poi c’è lui, emblema di biodiversità e sostenibilità: il bosco verticale.
Sorvoliamo sulla sostenibilità di quest’ultimo, che meriterebbe una trattazione a parte, ma è l’impianto della narrazione che non quadra. Non che sia tutto marketing, anzi, campagna elettorale a parte. L’impegno della giunta è reale e molte iniziative vanno nella giusta direzione. Ma è solo una parte della realtà. Diciamo il contorno, sia pure ricco, ma i piatti forti restano altri: inquinamento, cementificazione e una speculazione edilizia come pochi.
L’aria di Milano è tra le peggiori d’Europa, al centro di una zona rossa che coinvolge l’intera pianura padana. Il 16 febbraio scorso la città era già in infrazione per avere sforato i 35 giorni annuali di superamento del limite di polveri sottili, dopo aver conquistato il secondo posto nel 2019. Nell’ultima classifica di Legambiente sulla qualità dell’aria si trova in fondo alla lista insieme a Torino e Roma, non avendo rispettato nemmeno un limite tra Pm10, Pm 2,5 e biossido di azoto nei 5 anni precedenti. E di inquinamento si muore, se i dati dell’Agenzia europea per l’ambiente (Rapporto 2020) hanno un qualche fondamento: 52.000 morti premature per le polveri ultra sottili, 10.000 per gli ossidi di azoto e 3.000 per l’ozono. Dati nazionali naturalmente, ma l’area padana è da sempre la più esposta.
E’ il prezzo pagato ad abitazioni energivore e ad attività industriali e agricole impattanti, ma anche ad una mobilità dominata dal trasporto su gomma, dentro e fuori dai confini cittadini. Difficile invertire la tendenza senza una profonda riorganizzazione del trasporto pubblico, anche su scala metropolitana, alla quale nessuna giunta ha mai messo mano.
Quanto al consumo di suolo, la battuta d’arresto nel 2019 è un fatto storico, innegabile. Con un inciso: cemento e asfalto hanno già sigillato il 58% della città e fare peggio diventa sempre più difficile, mentre nei precedenti sette anni sono stati coperti 125 ettari sugli attuali 10.500. Un suolo sigillato non assorbe più CO2, aumenta la temperatura urbana e il rischio di alluvione (e relativi costi). E guardando ai progetti sul tappeto c’è poco da stare allegri.
Quello del nuovo stadio è un esempio in grande stile, sponsorizzato da Milan e Inter. Accanto al nuovo impianto – incuranti delle proposte, autorevolissime, di ristrutturazione del vecchio Meazza – dovrebbero sorgere ben tre grattacieli, una Spa, un centro congressi, un multisala e, naturalmente, un centro commerciale. Lo stadio calerà su un’area di oltre 5 ettari di verde vero, con più di 100 alberi ad alto fusto, per lasciar posto a una decina di ettari di verde un po’ sbiadito – terrazzi inclusi – drenante solo per il 10%, oltre a 110.000 metri quadri di costruito. Altri 35 alberi sono stati abbattuti al parco Bassini per ampliare il Politecnico e nuovo cemento potrebbe arrivare anche sul parco La Goccia, 400 ettari dietro il quartiere Bovisa.
Ma il boccone più grosso sono gli ex scali ferroviari. Aree dismesse per 1,2 milioni di metri quadri, che ridisegneranno non solo lo skyline, ma anche la mappa del potere economico-immobiliare in città. L’indice di edificabilità ridotto al 35% è una buona notizia, sempre che nel conteggio del verde non includeranno terrazzi, fioriere e arbusti in sospensione sui piani alti. E deroghe permettendo. Chi se ne intende parla di 650.000 metri quadri di costruzioni, in gran parte in zone centrali. Una torta gigantesca su cui stanno mettendo gli occhi in molti, tra fondi immobiliari e banche.
Sullo scalo di Porta Romana (190.000 mq) sorgerà il villaggio olimpico, per ospitare 1.400 atleti su progetto di Coima (Manfredi Catella), Convivio e Prada, che hanno acquistato l’area per 180 milioni. Finite le Olimpiadi nel 2026 diventeranno alloggi per studenti con mille posti letto, oltre a uffici, servizi e parco al 50%. Lo scalo Greco-Breda (73.000 mq) è andato a Redo Sgr, fondo per metà in mano a Cariplo-Intesa e il resto a Cassa depositi e prestiti (30%) e InvestiRe (20%), che sono in trattativa anche per Rogoredo. Qui vedranno la luce 400 alloggi in housing sociale e 300 posti letto per studenti. Ma il vero terno al lotto sarà lo scalo Farini, 618.000 mq nel cuore di Milano, non ancora aggiudicato. Anche qui sono previsti 1.500 alloggi in edilizia convenzionata o sociale, accanto a uffici e servizi. Staremo a vedere.
“Risolvere il problema abitativo legato alla crescita della popolazione milanese” è uno degli obiettivi, spiegano in giunta. E’ un vecchio ritornello, che ha portato all’attuale consumo di suolo. Il cemento è un antico vizio di Milano, trainato solo in parte dal fabbisogno reale. Tuttora si aprono cantieri ovunque, scommettendo sulla rivalutazione del mercato, poi si vedrà, in una corsa per lo più sganciata dai fondamentali. E’ la storia di Milano e di tutte le metropoli, in assenza di pianificazione.
Il cemento genera cemento e asfalto, ovvero strade, svincoli, interconnessioni, sottopassi, parcheggi, centri commerciali e cubature per gli usi più disparati. Senza contare l’intera filiera del cemento e dei materiali da costruzione (estrazione, trasporto, lavorazione, …) che è tutto fuorché sostenibile, all’origine di imponenti emissioni di inquinanti. E appunto, ironie del mercato, si tratta spesso di strutture sottoutilizzate.
Se è vero che la popolazione milanese aumenta di 14.000 unità, non si contano gli appartamenti sfitti anche in quartieri nuovi di zecca. Basta andare su qualche sito di intermediazione immobiliare e fare la prova. Mentre scriviamo ci sono più di 15.000 case in vendita nei confini comunali, di cui 2.300 nuove costruzioni, e quasi 13.000 in affitto. E vista la giusta attenzione all’housing sociale, che fare delle 7.200 case popolari vuote, da sistemare o ristrutturare, quasi per metà del Comune? E ancora, che ne sarà di tanti uffici con l’avanzare dello smartworking, che difficilmente si estinguerà con il Covid?
E’ evidente che quando si parla di mercato immobiliare il buon senso ha un limite. E’ una razionalità di tipo strumentale, a corto raggio. Solo sugli scali si stimano investimenti per 2 miliardi, che ne genereranno almeno 3. Difficile per una giunta governare con queste cifre, senza una tenace e coesa volontà politica. Più semplice lasciar fare o, casomai, ridurre il danno.
Piuttosto che niente è meglio piuttosto, dicono a Milano. Ma non parliamo, per favore, di sostenibilità.