Non è semplice parlare di “SanPa”, Luci e Tenebre di San Patrignano, la docuserie in cinque episodi uscita su Netflix, senza rischiare di farne un’ennesima recensione. Di sicuro è il risultato di un lavoro coraggioso, che ricostruisce in maniera fedele, con testimonianze e documenti (diversi gli inediti) dell’epoca, la storia della più grande comunità di recupero di tossicodipendenti d’Europa.
Un viaggio che nello stile, grazie all’ordine narrativo e al suo montaggio, evoca quello di una delle migliori docu-fiction internazionali. Si può dire che la docuserie è fatta molto bene e promette fin dall’inizio di tenere incollati allo schermo.
Quando la piaga dell’eroina divenne incontrollabile, a cavallo tra gli anni 70 e 80, lo Stato si ritrovò impreparato. In quel momento nacquero le comunità terapeutiche. La più conosciuta, San Patrignano, fondata da un tale che veniva descritto come una sorta di santone, un omone dal fare paterno, che prometteva di curare i tossici con metodi “naturali”.
Negli anni 80 ero solo un bambino e la comunità distava pochi chilometri da casa, nell’entroterra riminese. Ho ricordi nitidi dell’impatto mediatico che ebbe sull’opinione pubblica il primo caso giudiziario che coinvolse San Patrignano e il suo fondatore. Il processo delle catene, chiamato così per via dei metodi “educativi” adottati sugli ospiti in crisi di astinenza. Anche per me quella fu l’occasione per venire a conoscenza dell’esistenza della comunità.
Nel primo episodio, quello chiamato “Nascita”, scorrono sullo schermo le immagini di terre incolte, roulotte, poi container ed edifici. Inscenano l’evoluzione ambientale e umana del luogo. Così come le immagini del suo fondatore che nel susseguirsi degli episodi subisce una metamorfosi: cambia abbigliamento, più curato, la comunità si allarga e arrivano gli investimenti dei Moratti, aumenta il prestigio di Muccioli sempre più corteggiato e osannato da importanti personalità politiche e dai media nazionali. Addirittura viene segnalato quale papabile al Ministero della Salute.
Ma Sanpa, la docuserie, per la storia controversa di Muccioli e della sua comunità, non ha la pretesa di voler essere uno strumento per emettere sentenze. Gli spettatori potranno esprimere una propria opinione dopo una visione d’insieme: come è nata e come si è trasformata la comunità, quali sono i lati oscuri della gestione del fondatore e quale è stato il prezzo da pagare dei suoi protagonisti. Gli autori non danno giudizi ma si affidano alla voce degli ex ospiti e dei loro famigliari, e di chi ha gravitato attorno alla comunità per altri motivi. Toccanti le drammatiche testimonianze dei famigliari di Roberto Maranzano, ucciso da Alfio Russo (entrambi ospiti della comunità) e del gemello di Natalia Berla suicidatasi dentro San Patrignano durante il suo percorso terapeutico.
Dagli intervistati arrivano opinioni contrastanti su Vincenzo Muccioli ed è anche lì che emerge l’imparzialità dell’inchiesta: c’è chi lo descrive come un uomo carismatico e controverso, un padre padrone propenso ad usare la violenza per raddrizzare i suoi “figli” indisciplinati e, da un certo punto in poi, interessato più alla fama e al denaro dei facoltosi finanziatori che a quello che accade dentro la comunità. E poi c’è chi lo esalta, lo santifica, lo ritiene il salvatore, richiamando, quanto al metodo, la celebre frase: “il fine giustifica i mezzi”.
Tra le testimonianze più significative degli ex ospiti quella del redento Walter Delogu, con il quale ho avuto l’occasione di scrivere il romanzo Il braccio destro (Mursia, 2020), di Fabio Cantelli, apprezzatissimo scrittore, e quella di Antonio Boschini. I primi due, rispettivamente guardia del corpo e responsabile dell’ufficio stampa di Muccioli, un tempo dentro il suo “cerchio magico” (ne condivisero confidenze e segreti) sono i più critici; il secondo, medico e responsabile dell’ospedale di San Patrignano, disintossicatosi e laureatosi durante la sua permanenza in comunità, ne difende la storia.
Sanpa di Netflix è un racconto imparziale che ricostruisce un periodo storico, quello che vide il diffondersi del fenomeno della droga, sintomo di un disagio sociale diffuso, nell’indifferenza della politica, a destra come a sinistra, e che tutti oggi abbiamo il dovere di conoscere per i molti, forse troppi, interrogativi rimasti ancora senza risposta.