Matteo Renzi come Catilina. E il premier Conte come Cicerone, strenuo difensore della Repubblica e principale artefice della cacciata del congiurato. Beppe Grillo fa un salto nel 63 a.C. per dire la sua sulla crisi di governo aperta dal leader di Italia viva. E per dettare la linea ai pentastellati in un momento di navigazione a vista come quello attuale. Con un post sul blog che come al solito non è esplicito nei termini ma lo è nei contenuti, il fondatore del Movimento spiega che “l’8 novembre del 63 a.C., anno cruciale per la storia di Roma, il Console Cicerone pronunciò in Senato un severo discorso contro Lucio Sergio Catilina”. Ne ripropone quindi un estratto, il cui incipit è passato alla storia: “Quo usque tandem (fino a che punto) approfitterai della nostra pazienza?”, disse il filosofo e politico in aula rivolgendosi direttamente al congiurato per chiedergli di lasciare la città. Grillo non commenta il testo, ma affida ai lettori il compito di intuire “la sua adattabilità nell’affrontare la realtà“.
E la realtà dello stallo in cui è caduta la maggioranza dopo i continui ultimatum di Renzi, intenzionato ad alzare sempre di più la posta piuttosto che a trovare una soluzione, sembra calzare a pennello con la fase drammatica che ha vissuto Roma nel periodo della congiura di Catilina. “Per quanto tempo ancora la tua pazzia si farà beffe di noi? A che limiti si spingerà la tua temerarietà che ha rotto i freni?”, dice Cicerone nella prima delle sue Catilinarie. “Noi dovremo continuare a sopportarti, smanioso di potere e di distruggere il mondo intero? Allo Stato non mancano né l’intelligenza né la fermezza dell’ordine”. Poi l’affondo, che oggi suona come un avvertimento al senatore di Rignano: “Hai diviso l’Italia tra i tuoi; hai stabilito la destinazione di ciascuno; hai scelto chi lasciare al Governo e chi condurre con te. Le porte sono aperte. Vattene! Porta via anche tutti i tuoi. Purifica la città! Mi sentirò più libero quando ci sarà un muro tra me e te. Non puoi più stare in mezzo a noi! Non intendo sopportarti, tollerarti”. E ancora: “Tutte le volte che hai sferrato un colpo contro di me, l’ho parato con le mie forze: ma ormai attacchi apertamente tutto lo Stato; vuoi portare alla totale distruzione il Governo e la vita di tutti i cittadini, dell’Italia intera. Se tu, come ti esorto da tempo, te ne andrai, la città si libererà dei tuoi numerosi e infami complici, fogna dello Stato che aderiscono alla tua congiura”.
Nella scelta di Grillo di citare pedissequamente il discorso in Senato di Cicerone non c’è soltanto l’intenzione di difendere “l’Elevato”, per dirla con le sue parole, dal logoramento dei renziani. Il fondatore del M5s sembra quasi immaginare che Conte possa fare la stessa mossa del console romano per sbrogliare la crisi e sminare la “congiura” di Renzi-Catilina. Presentarsi cioè in Parlamento per andare alla conta, nella speranza di sostituire Iv con chiunque voglia impedire “la rovina delle istituzioni”. D’altronde, grida sempre Cicerone al suo avversario, “al tuo arrivo questi seggi si sono svuotati. Non appena hai preso posto, gli altri hanno lasciato vuoto, deserto questo settore dei banchi. Insomma, con che animo pensi di sopportarlo?”. Secondo il filosofo, infatti, in caso di resa dei conti finale Catilina rimarrebbe isolato. Il motivo è che a “odiarlo” è la patria intera, “madre comune di tutti noi, che già da tempo ritiene che tu non mediti altro che la sua morte“. Per ottenerla, avrebbe “mentito per anni” e rinnegato “il giorno dopo” quello che aveva “detto o fatto il giorno prima“.
In coda al suo discorso, Cicerone spiega quindi ai senatori romani di aver “sopportato” finché ha potuto i tranelli del suo avversario. Una storia non troppo diversa da quella del governo giallorosso, nato nel settembre 2019 dopo la crisi del Papeete e costretto alle prime fibrillazioni dei renziani già pochi mesi dopo la sua formazione. “Ora, però, non intendo sopportare oltre!”, declama Cicerone all’assemblea, consapevole che non ci sono soluzioni alternative alla sua cacciata per evitare il rovesciamento della Repubblica. “A che servono le mie parole? A piegarti, in qualche modo? A farti ricredere? Non mi illudo. Non è il caso di chiederti di provare rimorso per la tua smania sfrenata e assurda, per le tue azioni nonostante le difficoltà in cui versa lo Stato“. Parole che sembrano quasi profetiche se lette con il filtro dell’emergenza pandemica in cui si trova oggi l’Italia. “Il popolo ti ha tolto il potere: puoi attaccare il Governo, ma non puoi sovvertirlo con tentativi scellerati da bandito“, conclude Cicerone-Conte, rivolgendosi anche a “quei pochi che hanno alimentato con la condiscendenza” le aspettative di Catilina-Renzi. “Allora dico: se ne vadano i colpevoli! Si separino dagli onesti!”.