Non tutti gli studi concordano nell'attribuire alle scuole un ruolo attivo nella diffusione del contagio. Ma quelli che evidenziano tassi di incidenza maggiore, soprattutto alle superiori, ci sono e parlano di errori e ritardi negli interventi. Il matematico del Consiglio nazionale per le ricerche: "La fase esponenziale della seconda ondata è collegata all'inizio delle lezioni a settembre"
Rinviata dal 7 all’11 gennaio la ripresa delle lezioni per le scuole secondarie di secondo grado. Con il contagio ancora oltre i livelli di guardia e le terapie intensive ancora in salita in 11 regioni, si è scelto di attendere i numeri delle ultime settimane e le nuove indicazioni del Comitato tecnico scientifico che si riunirà venerdì. Una decisione che non vale per Marche, Veneto e Friuli, dove gli studenti aspetteranno il primo febbraio. Ma anche la Campania terrà a casa i ragazzi delle superiori fino al 25 gennaio. Troppo presto per rimettere in moto milioni di studenti? Se dal punto di vista epidemiologico il ruolo della scuola nella diffusione del contagio è ancora da definire, non sono pochi gli elementi che invitano alla prudenza. E se gli studi sulle scuole non sono univoci, quelli che rivelano tassi di prevalenza e incidenza più alti rispetto al resto della popolazione suggeriscono una correlazione con le misure di contrasto alla diffusione e i ritardi nell’adottarle.
Secondo l’analisi dell’Istituto superiore di Sanità sul periodo tra il 24 agosto e il 27 dicembre, l’ambiente scolastico rimane un luogo “relativamente sicuro a patto che si adottino le precauzioni consolidate”. Anche se “l’impatto della chiusura e della riapertura delle scuole sulle dinamiche epidemiche rimane poco chiaro”. Le indagini condotte in merito, in Italia come all’estero, compresi alcuni studi a campione, non sono tali da offrire un’unica risposta. Ma nella necessità di prendere decisioni che rimettono in circolazione milioni di persone, qualcosa sappiamo. E non è poco, a partire da alcuni fatti che mettono in relazione la riapertura delle scuole a settembre e la seconda ondata di Covid. Giovanni Sebastiani, matematico dell’Istituto per le applicazioni del Calcolo del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), insieme al neopresidente dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), il virologo Giorgio Palù, ha pubblicato un articolo sul ruolo delle scuole nell’epidemia. “Tra la riapertura della scuola a settembre e l’inizio della fase esponenziale sono passate solo due settimane, tempo medio che intercorre tra l’infezione di un soggetto e la registrazione del caso”, si legge nel lavoro pubblicato su Viruses. E ancora: “La riapertura delle scuole è stato l’unico nuovo evento che si è verificato in Italia in quel lasso di tempo”.
Palù e Sebastiani sottolineano come il grosso della ripresa delle attività lavorative fosse iniziato già due settimane prima, con un’inalterata percentuale di lavoro a distanza e precauzioni adottate fuori e dentro gli ambienti di lavoro. “Il clima è stato straordinariamente mite, tanto da non poter influenzare la trasmissibilità, e la circolazione dei rinovirus e dell’influenza era quasi assente a settembre”, spiegano Sebastiani e Palù, che alla riapertura delle scuole attribuiscono un ruolo attivo: “A ridosso della ripresa scolastica di settembre registravamo che la gran parte dei nuovi contagi, il 75%, si spostava all’interno degli ambienti famigliari, oltre a un’inedita, bassa età media dei nuovi soggetti positivi”. Nel frattempo i risultati di uno studio sierologico condotto a fine lockdown rivelavano l’alta percentuale di asintomatici nelle fasce più giovani della popolazione. Palù e Sebastiani concordano: “Per tutti questi fatti si può supporre che gli studenti abbiano diffuso il virus tra di loro, soprattutto al di fuori delle scuole, e la maggior parte era asintomatica”.