I dati relativi alla pandemia Covid nel mondo, in particolare quello tristissimo del numero delle vittime, rappresentano una cartina di tornasole di importanza straordinaria per verificare la validità di un sistema sociale.

Se adottiamo questo indice oggettivo, consultando le tristi tabelle che danno atto della progressione di contagi e morti, due dati saltano subito agli occhi in modo molto evidente. Il primo è il tragico primato detenuto da due grandi Paesi, uno molto ricco e potente, l’altro meno ma pur sempre dotato di enormi risorse. Un carattere che li accomuna è l’essere guidati da una leadership (in uscita nell’un caso, che continua non si capisce bene fino a quando nell’altro) caratterizzata in modo estremo da negazionismo e sottovalutazione del pericolo mortale rappresentato dal virus da un lato e dall’assoluta dedizione ai dogmi neoliberisti dall’altro.
Mi riferisco ovviamente a Stati Uniti e Brasile.

Donald Trump e Jair Bolsonaro, una sorta di Sgarbi all’ennesima potenza investiti per disgrazia dei loro sudditi e del mondo intero della responsabilità di condurre due Stati molto importanti, rappresentano l’immagine esatta di cosa non bisogna fare per contrastare la pandemia ovvero all’inverso di cosa bisogna fare per favorire l’espansione del contagio. La cosa è particolarmente evidente nel caso di Bolsonaro, tanto è vero che la Corte penale internazionale, organismo del cui Statuto il Brasile – a differenza degli Stati Uniti – è firmatario, è stata investita di richieste di incriminazione del presidente Bolsonaro per crimini contro l’umanità commessi proprio in occasione della pandemia.

Un altro Paese che va malissimo è l’India, il cui governo è anch’esso caratterizzato da uno sfrenato neoliberismo. Anche in Europa del resto il conto è salato.

Viceversa, tra gli Stati che registrano un minor numero di vittime, sia in assoluto che in rapporto alla popolazione, troviamo Stati differenti tra di loro ma caratterizzati dall’esistenza di un sistema socialista. Mi riferisco in particolare a Repubblica popolare cinese, Cuba, Vietnam, ma anche il Venezuela e, contrariamente alle fake news diffuse da certa stampa, a uno Stato piccolo e povero, ma ben organizzato e solidale, come il Nicaragua, come ben chiarisce la corrispondenza di un giornale come il Guardian, non proprio sospettabile di simpatie preconcette per Daniel Ortega. Anche il Venezuela se la cava molto meglio degli altri Paesi dell’area latinoamericana.

I fattori che hanno determinato questi successi sono abbastanza noti e basta consultare la letteratura scientifica che se ne è occupata per ricevere conferme molto difficili da smentire. Esistenza di un sistema sanitario attento ai bisogni della popolazione e non agli indici di redditività delle “aziende” ospedaliere, spirito di disciplina e solidarietà sociale e non lotta di tutti contro tutti sotto l’egida della legge della giungla, ruolo determinante dello Stato e degli investimenti e apparati pubblici. Ciò vale per quanto riguarda sia gli aspetti sanitari che il rilancio dell’economia. Risultati tanto più notevoli se teniamo conto che, nel caso di Cuba, Nicaragua e Venezuela (dove il blocco dei fondi, come denuncia Maduro, impedisce l’acquisto dei vaccini) si tratta di Paesi oggetto da tempo (nel caso di Cuba da sessant’anni) di sanzioni devastanti.

Quello che è bene capire fino in fondo è che gli ottimi risultati raggiunti da questi Paesi sono stati ottenuti a prescindere dal vaccino, che tuttavia svolgerà un ruolo importante anche in questi contesti. Affidarsi completamente al vaccino come deus ex machina che sconfiggerà la pandemia può presentare in effetti anche qualche aspetto rischioso, specie tenendo conto del fatto che la sua produzione e somministrazione è in buona parte soggetta all’arbitrio delle grandi società chimico-farmaceutiche che fanno il bello e cattivo tempo imponendo le loro condizioni. Molto meglio sarebbe stato unire le forze e attuare al riguardo una piena ed effettiva collaborazione internazionale tra tutti gli attori pubblici e privati presenti sulla scena, conferendo un ruolo decisionale e direttivo agli Stati e all’Organizzazione mondiale della sanità, massima istituzione internazionale competente in materia.

A questo punto occorre insistere anche sulla necessità di garantire a tutti i cittadini del mondo l’accesso, oltre che a diagnosi e cure, al vaccino, oggi reso difficile se non impossibile da barriere di ordine economico o normativo, come i brevetti ed altre forme di proprietà intellettuale, e da politiche discriminatorie. Ad esempio, tutti oggi si affannano ad esaltare gli innegabili risultati positivi raggiunti da Israele colla sua campagna di vaccinazione di massa, ma ben pochi si chiedono quando sarà consentito di vaccinarsi anche ai milioni di Palestinesi che risiedono nei territori occupati, da oramai oltre cinquantaquattro anni, dall’esercito israeliano.

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