Da ragazzino tenevo in una scatola delle scarpe una lavagnetta, un gesso bianco e una spugnetta. Mi servivano per i pronostici di ogni vigilia calcistica del Milan, la squadra per cui tifavo. Scrivevo i risultati ed esponevo la lavagnetta sulla scrivania. Se li sbagliavo, li cancellavo. Poi riflettevo con mio fratello (interista) sulla bellezza del calcio. Entrambi discutevamo sul perché fosse così appassionante e alla fine capimmo che lo era proprio per la fragilità dei suoi pronostici. C’era sempre la possibilità della sorpresa. Il successo di Davide su Golia. L’impresa dell’ultima che per una volta si è sentita prima. Insomma, era l’incertezza dei risultati a far crescere l’interesse, domenica dopo domenica, via via che la classifica della serie A si definiva e le squadre più forti si contendevano il primato.
Poi, arrivava sempre il momento della verità. Le partite che non offrivano solo un risultato ma anche una sentenza: che ti facevano capire se c’erano più certezze che speranze, oppure se bisognava rassegnarsi. Le partite-chiave del campionato. Quelle che scremavano la classifica. O che la ricompattavano. Quelle che trasformavano i pronostici in una sorta di auspicio. Realismo contro illusione. Le previsioni del cuore, più che della ragione. In fondo, mi dicevo, il gioco del calcio non è soltanto un gioco, è una cosa seria…
A prescindere dal posto occupato in classifica dalle squadre, per me (e mio fratello e i compagni di scuola) vigeva una gerarchia imprescindibile:
1) il derby stracittadino Milan-Inter;
2) Milan-Juventus;
3) Inter-Juventus che Gianni Brera battezzò faziosamente “derby d’Italia”, fingendo di non sapere che quel titolo lo meritava invece la sfida Milan-Juventus, perché metteva una contro l’altra le due squadre più titolate, con la maggiore tradizione calcistica italiana. La vera “classica” opponeva il Diavolo e la Madama. La prima volta che in campionato Milan e Juve si incontrarono fu quasi 120 anni fa, il 28 aprile 1901. Si giocò a Milano. Finì 3 a 2 per il Milan.
L’ultima si è consumata poche ore fa, in una serata dell’Epifania 2021 molestata da freddo e tanta umidità, triste y solitaria per colpa della pandemia, dentro San Siro. Spalti deserti. All’ombra dei tamponi che hanno escluso due giocatori milanisti e due juventini. Ma quelli del Milan assai più cruciali, perché già sostituti dei titolari infortunati. Oggettivamente, uno scontro impari: i rossoneri in piena emergenza, i bianconeri con una panchina gremita di campioni, una rosa ampia e rassicurante. Valutando freddamente la situazione, il pronostico non poteva che prevedere un successo juventino, salvo aggrapparsi all’irrazionalità e sperare nella continuità dei risultati utili consecutivi racimolati in serie A (una striscia che alla vigilia di Milan-Juve durava da 27 partite, di cui 20 vittorie e 7 pareggi). Così avevo previsto un pareggio: 2 a 2 (l’ultimo incontro era finito 4 a 2 per il Milan…). Ho sbagliato.
O meglio: hanno sbagliato, pardòn, hanno deluso alcuni giocatori del Milan, quando sarebbe stato necessario disputare la Partita Perfetta. Che non si è vista, se non a tratti. Sintomi di crisi? Stefano Pioli, l’allenatore, da buon pragmatico ha detto che prima o poi una sconfitta doveva arrivare. Meglio sia avvenuto con la Juve che non con il Crotone. O lo Spezia che ieri ha sconfitto il Napoli a Napoli. Il risultato è stato eccessivamente severo, comunque. Colpa di una difesa pasticciona: 3 gol bianconeri, uno solo rossonero, del terzino Calabria piazzato a centrocampo e spesso spaesato in quel ruolo per lui inedito. La sua è stata la rete dell’illusione, il provvisorio pareggio.
In attacco, il talento Leao alternava momenti di gloria a disordinate pause. Al posto del covidico Rebic, attaccante solido e furbo, il 21enne norvegese Hauge correva a vuoto. Solo il turco Chalanoglu si dannava per scardinare la difesa imperfetta bianconera. L’equilibrio era precario. Quando Andrea Pirlo ha effettuato i cambi, abbiamo capito che i sogni rossoneri si impiccavano alle balaustre vuote degli anelli di San Siro. Non c’era più confronto. Ma affronto. Statisticamente parlando, i numeri confermano il predominio della squadra torinese: in 203 partite di campionato, le vittorie targate Juventus sono 80, quelle Milan 60 e i pareggi 63. Dicono che la storia del calcio italiano passi da questi incroci. Come il suo futuro.
E tuttavia, non è stato un funerale: il Milan ha perso una battaglia, non la guerra. Perché il temuto sorpasso dei cugini nerazzurri non c’è stato. L’Inter ha perso a Genova battuta dalla Sampdoria del sornione Claudio Ranieri. Il Milan resta in vetta alla classifica da solo. L’Inter era a un punto e a un punto rimane. Al prossimo compito in classe. Il Milan ha preso un brutto voto. Il campionato è lungo. Alla pagella finale mancano ancora venti partite. Tutto e il contrario di tutto può accadere. La Juve è a sette punti (con una partita in meno, quella col Napoli). La Roma, terza, è a meno quattro. L’obiettivo della Juve era quello di vincere. Se avesse perso, avrebbe detto addio allo scudetto.
Ora, l’autostima bianconera è cresciuta. Il successo di San Siro ripristina i valori di mercato e ridimensiona la romantica narrazione rossonera della Squadra Famiglia e del Calcio Semplice (il senso del gioco dove tutti fanno tutto contro la ricchezza della multinazionale e dei fuoriclasse egocentrici). Pirlo, l’allenatore bianconero, può immaginare una favolosa rimonta, un déjà-vu in casa Juve. Mentre il Milan può cercare immediata (e probabile) rivincita. Il calendario è infatti favorevole ai rossoneri: sabato 9 gennaio ospitano il Torino, terzultimo. L’Inter trova la Roma in trasferta, domenica 10: seconda contro terza, mica uno scherzo. La Juve (quarta) se la vede col rampante Sassuolo, quinto in classifica, che la segue ad appena un punto.
La verità è che questa sconfitta può aver ferito l’amor proprio di Pioli, ed è comprensibile. Ma non cancella il fatto che i resti di un Milan decimato e “leggero” (per età, per esperienza, per caratura) hanno tenuto a bada un’ora e passa l’armata bianconera.
Dunque, tanto rumore per nulla. A dimezzare il Visconte di Calvino era stata una palla di cannone. A dimezzare il Milan un cocktail di scarogna, infortuni, Covid ed inesperienza: troppi ragazzini in campo, senza Ibrahimovic a spronarli, a far da regista, a segnare gol. Dovrebbe rientrare col Cagliari, il 17 gennaio. Se appunto un Milan di acerbi ma generosi giocatori, con un pessimo Theo Hernandez (idolatrato terzino mezzofondista) in scandalosa serata no e un Alessio Romagnoli agile come un paracarro in difesa, ha resistito alle star juventine, significa che il Milan mantiene intatte le sue chances (obiettivo primario, essere tra le prime quattro per partecipare alla Champions): il suo ragionevole modello di calcio è altrettanto valido e assai più sostenibile del lussuoso e vorace modello bianconero, dove Ronaldo è l’uomo del gol in più (ma quanto costano le sue reti?).
Comunque, contro il Milan, Ronaldo è stato l’uomo del gol in meno. Per fortuna della Juve, con una formidabile e travolgente doppietta, Chiesa ha fatto il… Cristiano.