La ricostruzione del gruppo di ricerca "#iosono141" guidato da Gabriele Bardazza
Due chiatte nel teatro degli eventi dove si consumò la strage del Moby Prince, il disastro navale che nel mare davanti a Livorno provocò 140 morti, i passeggeri e i membri dell’equipaggio del traghetto diretto ad Olbia la sera del 10 aprile 1991. E’ la ricostruzione che emerge da un’analisi del gruppo di ricerca “#iosono141” coordinato da Gabriele Bardazza, consulente tecnico di alcuni familiari delle vittime, sui registri dell’Avvisatore Marittimo, luogo di osservazione su ingressi e uscite dal porto. Secondo questa ricostruzione si tratta di due chiatte annotate dall’Avvisatore il giorno della tragedia: “In uscita alle 10.15 piene” con destinazione “Cape Flattery”, una nave sotto il comando militare statunitense (era appena finita la guerra del Golfo e a 20 chilometri c’è la base Nato di Camp Darby). Secondo gli stessi registri non c’è traccia del rientro in porto delle due imbarcazioni dopo l’incidente. Il loro traffico diurno di armamenti (autorizzato e regolare) fu raccontato in due occasioni ai magistrati che hanno indagato sull’incidente da un testimone oculare, l’allora tenente della Guardia di Finanza Cesare Gentile, impegnato quella notte anche nei soccorsi in mare. Ilfattoquotidiano.it ha provato a interpellare l’armatore delle due imbarcazioni, Neri Group, senza al momento ricevere riscontro. Qualora le due imbarcazioni fossero davvero rimaste in rada la notte del 10 aprile 1991 tale permanenza di servizio sarebbe stata illegale, stando alle normative al regolamento vigente all’epoca, poiché di notte nella rada del porto non era autorizzata alcuna attività di trasbordo merci.
La presenza di una chiatta nello scenario dell’incidente è stata citata da testimoni, più volte. Ma è stato un punto trascurato finora dalle inchieste giudiziarie, la prima dopo il disastro e la seconda archiviata nel 2010.
Questa scoperta del Gruppo ricerca “#iosono141” completa una porzione delle ricostruzioni raccontate da ilfattoquotidiano.it in merito al ruolo da accertare di una imbarcazione “fantasma” dalla quale, pochi minuti dopo la collisione, qualcuno sollecita con preoccupazione il comandante della nave Gallant 2 (un’altra militarizzata Usa) del fatto che dall’Agip Abruzzo stiano dando “la posizione della nave” (in inglese “bearing vessel position”). La nave fantasma si definisce infatti sul canale radio “America Cargo Vessel” e potrebbe essere proprio una di quelle chiatte (definite anche pontoni quando sono dotate di gru) usate come cargo dagli statunitensi per trasferire armamenti ad altre imbarcazioni. La definizione “vessel” è compatibile con le chiatte o i pontoni. E chi parla dalla “America Cargo Vessel”, pur dialogando in inglese col comandante della Gallant 2, compie un errore “italianizzante” sul verbo receive, trasformato in “riciev“. Molto simile all’italiano “ricevere“. Per contro mentre la Gallant 2 – carica di esplosivi – lascia la scena il suo capitano Mikail Theodossiou dice alla nave “fantasma” di avere cura (“take care ok?“) del fatto che l’Agip Abruzzo sta segnalando la propria posizione ai soccorritori.
Da tempo ci si interroga su una collisione, o una turbativa della navigazione, del Moby Prince precedente a quella con la petroliera Agip Abruzzo che causò l’enorme incendio a bordo del traghetto. E’ la spiegazione data alla dinamica dell’incidente anche dalla commissione d’inchiesta del Senato che però non è stata in grado di mettere meglio a fuoco questa “turbativa”.
L’ipotesi è che una prima collisione sarebbe avvenuta con un natante basso dotato di una gru capace di produrre i due segni sul Moby Prince, le cui cause sono rimaste sempre finora senza spiegazione. Sia la “strisciata” sotto il bottazzo di sinistra del Moby, sia la evidente deformazione delle gruette del ponte imbarcazioni di sinistra potrebbero essere compatibili con una pre-collisione avvenuta tra il traghetto della compagnia Navarma (oggi Moby, sempre di proprietà di Vincenzo Onorato), e un “America Cargo Vessel”, un pontone più o meno prossimo alla petroliera Agip Abruzzo, intento ad attività tutte da capire, ma comunque irregolari perché effettuate di notte e senza la scorta della Guardia di Finanza.
Ma c’è un’altra scoperta dell’équipe coordinata da Bardazza che aggiunge un tassello sulla scena del disastro. Riguarda una seconda nave, anch’essa rimasta non identificata finora nell’ascolto del canale radio 16, usato per le emergenze di quella notte. Di questa nave si sa che lascia la rada di Livorno alle 18 del 10 aprile, cioè poco più di 4 ore prima della collisione tra il Moby Prince e la Agip Abruzzo. Oggi quella nave ha un nome. E’ un’altra petroliera, è la Silver Energy: il suo call sign cioè l’indicativo di chiamata usato nelle comunicazioni radio commerciali è 9HAS3. La petroliera chiede di effettuare una telefonata tramite ponte radio proprio nei minuti più concitati del post collisione tra Moby Prince e Agip Abruzzo. E nel definirsi si qualifica solo col proprio call sign, finora trascritto “9HASX“. Con la corretta identificazione dell’ultima lettera (3 al posto di x) si può ricostruire la presenza effettiva in porto fino alle ore 18 di questa petroliera ormeggiata alla Darsena Petroli, ufficialmente partita e non tornata da quell’ora del 10 aprile 1991. Come è possibile che a 4 ore dalla partenza la Silver Energy sia ancora in rada o in zona per quella chiamata a Livorno Radio è l’ennesimo punto interrogativo di una vicenda comunque sempre più chiara nei suoi elementi di scenario. “La nostra ricerca – commenta Bardazza – è già stata di aiuto per gli accertamenti della commissione d’inchiesta le cui risultanze hanno confermato diversi aspetti tecnici sui quali per anni non era stata fatta chiarezza. Abbiamo continuato a lavorare dalla fine di quel percorso parlamentare e ci auguriamo che quanto prima anche la Procura di Livorno possa trovare utili riscontri alle proprie indagini”.