Per il giudice per le indagini preliminari, pur in presenza di gravi indizi, non c'erano le altre esigenze cautelari. Il prossimo 11 gennaio è fissata l'udienza preliminare
Quando poco meno di un anno fa, l’11 febbraio 2020, la Procura generale di Bologna chiuse l‘indagine sui mandanti della strage della stazione – svelando l’ipotesi che a finanziarla fosse stato Licio Gelli – chiese anche un’ordinanza di custodia in carcere per Paolo Bellini, l’ex terrorista di Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore in concorso con i quattro estremisti neri già condannati Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e con Gilberto Cavallini, condannato in primo grado all’ergastolo il 9 gennaio 2020. Ma – e lo si scopre solo oggi grazie alla rivelazione de Il Resto del Carlino – il giudice per le indagini preliminari respinse la richiesta perché per il magistrato non c’era l’attualità del pericolo di fuga o di reiterazione del reato anche se in presenza di gravi indizi. Il 2 agosto 1980 l’esplosione che sventrò la stazione uccise 85 persone e ne ferì almeno 200.
Attualmente è in corso l’udienza preliminare per l’ex terrorista, accusato a 40 anni di distanza dai fatti di essere il ‘quinto uomo’ responsabile dell’attentato, in concorso con i Nar già condannati. La richiesta degli inquirenti – che ritengono che alla mattanza del 2 agosto 1980 contribuirono anche gli estremisti di destra di Terza Posizione e Ordine Nuovo – avevano presentato una integrazione a giugno per chiedere il carcere. Bellini è accusato, tra l’altro, per un video che ritrae una persona con i baffi sul primo binario, la mattina del 2 agosto. Un volto ritenuto compatibile con quello dell’imputato, riconosciuto anche dalla ex moglie.
Il prossimo 11 gennaio è fissata il prosieguo dell’udienza preliminare. Per l’avvocato generale Alberto Candi e i sostituti pg Umberto Palma e Nicola Proto, Bellini concorse alla strage e altri le depistarono o mentirono. Il gup dovrà valutare anche le posizioni dell’ex generale del Sisde Quintino Spella e dell’ex carabiniere Piergiorgio Segatel, per depistaggio, e Domenico Catracchia, amministratore di condominio di immobili in via Gradoli a Roma, per false informazioni al pm, al fine di sviare le indagini. Oltre ai quattro imputati, l’indagine della Procura generale si è concentrata su persone che in un’aula di tribunale non potranno più comparire, perché decedute. Cioè il capo della P2 Licio Gelli, il suo braccio destro Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato, ex direttore dell’Ufficio Affari riservati del Viminale e il giornalista Mario Tedeschi, ritenuti di essere le menti, cioè mandanti, finanziatori o organizzatori dell’attentato.