Da lunedì scorso la fusione Peugeot-Fca (ex Fiat) è cosa fatta, con la nascita del quarto fabbricante mondiale di automobili. Subito si è levato un coro di entusiasti. Dal ministro Stefano Patuanelli alla triplice sindacale, sulle note evergreen della “grande occasione” (a Torino la strimpellano ogni volta; dal lontano 1976, quando il nonno degli Elkann vendeva un pezzo di Fiat a Gheddafi per fare cassa), e la Fiom osa l’inosabile in un eccesso di entusiasmo: pretendere a muso duro “subito un Piano industriale per l’Italia”. Mentre il quartier generale emigra lontano.

Insomma, “a Stellantis is born”, è nata una Stella(ntis), con John Elkann nella parte di quello a rimorchio per una certa somiglianza con Lady Gaga (ma senza averne l’espressività).

Tuttavia si potrebbe sommessamente notare che gli unici con titolo a inneggiare sono le famiglie Agnelli-Elkann, che incassano un dividendo di 2,9 miliardi di euro; soprattutto, si sono liberate della menata di interessarsi a faccende produttive, per potersi dedicare esclusivamente alle piacevolezze dei rentier straricchi.

E che il dio dei nababbi li preservi da sorprese che potrebbero costringerli – in un prevedibile futuro di svalutazioni dei capitali improduttivi – a doversi guadagnare il pane come tutti i mortali. Mentre sono soprattutto i mortali che attualmente hanno un lavoro nelle fabbriche italiane del gruppo a doversi preoccupare (e non poco) di che cosa comporti la fusione a guida francese, sede olandese e sviluppi di mercato oltreoceano.

Ma gli ilari coristi – dal ministro dello Sviluppo economico alle rappresentanze dei lavoratori – non sembrano particolarmente coinvolti psicologicamente. Eppure ci sono segnali che non promettono niente di buono, basta spostare l’attenzione dalla rumorosa dimensione metalmeccanica alla sfera asettica dell’informazione cartacea.

Arrivo al dunque: che cosa significa l’apparentemente incomprensibile scelta di investire in un business ormai ultra maturo facendo incetta di testate giornalistiche e alimentando la bulimia della Gedi? La campagna acquisti di Elkann per creare il conglomerato che mette insieme – tra l’altro – i quotidiani la Repubblica, la Stampa, il Secolo XIX, l’Espresso più una galassia di organi locali.

Il tutto accompagnato dall’imposizione di un disciplinamento – a mio avviso tipo caserma prussiana – di tutte le redazioni, sottoposte a decaloghi che calpesterebbero la tanto conclamata indipendenza di giudizio di una categoria in altri tempi assai meno ossequiosa e remissiva ai diktat dell’editore. Sotto lo sguardo minaccioso di Maurizio Molinari, guardiano del pensiero unico padronale. Normalizzazione che ha prodotto dissipazioni in apparenza insensate; come la chiusura di MicroMega, la prima rivista italiana di cultura politica.

Insomma, cosa se ne fa di tutti questi giornali il garrulo John, non certo un lord protettore del civic journalism? È legittimo il sospetto di perseguire ciò che interessa a tutti gli “editori impuri”: un’arma da guerra e uno scudo. Nel caso, per operare irresistibili pressioni sulla classe politica a fronte di indignazioni sociali montanti per le presumibili operazioni liquidatorie dell’automotive nel nostro Paese.

Questi sono i tempi, i personaggi, gli imprenditori. Il pensiero di giorni fa mentre rovistavo tra vecchie carte, trovando un articolo di Filippo Sensi, quando eravamo amici e scrivevamo sulla news dell’associazioni milanese Piero Gobetti (e lui non era ancora diventato il Cardinal Mazzarino del governo Renzi). Un ricordo commosso della famiglia Olivetti, partendo dalla lettera del padre Camillo al figlio Adriano; colui che finanziò la nascita del settimanale l’Espresso, primo anello di quella serie di organi d’informazione laico-azionisti silenziati dall’operazione Gedi-Elkann.

Scrive Sensi, il 20 febbraio 1997: “La eco del monito che l’austero Camillo rivolgeva al figlio, appena tornato dall’America degli stabilimenti Ford a River Rouge: Tu puoi fare qualunque cosa tranne licenziare qualcuno per motivo dell’introduzione dei nuovi metodi, perché la disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligga la casa operaia“.

Altri tempi, altri personaggi, altri imprenditori.

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