“Ci sono stati periti in aula che hanno raccontato qual è lo stato di queste Ferrovie italiane e perché è successo il 29 giugno 2009. Da quelle carte sono emerse chiaramente una serie di responsabilità. Oggi con la parola prescrizione si cancella con un colpo di spugna tutto il lavoro di queste persone e la ricerca della verità e della giustizia. Oggi abbiamo perso. Tutto il Paese ha perso”. Marco Piagentini, l’uomo simbolo della strage di Viareggio, è un fiume in piena. La voce ferma, decisa, forte, non è mai alterata. Nemmeno quando deve commentare la sentenza della Cassazione, che oggi ha dichiarato prescritti i 32 omicidi colposi, tra cui quello dei suoi figli Lorenzo, 2 anni, e Luca, 4, e della moglie Stefania Maccioni, 39 anni, tutti e tre riconosciuti solo grazie al dna. Nessuna responsabilità sarà accertata neanche per le morti atroci degli altri 29 viareggini che si trovavano nelle loro case quando, quella sera di inizio estate del 2009, intorno alla mezzanotte, un treno carico di gpl deragliò all’altezza della stazione di Viareggio, una delle cisterne si squarciò e, dal gpl fuoriuscito, si scatenò un incendio esplosivo (il cosiddetto flash fire) che inglobò strade e abitazioni. Nessuna valutazione del rischio nel trasporto di merci pericolose e la mancanza di una tracciabilità dei carri affittati sono state alcune delle falle del sistema ferroviario emerse chiaramente nei primi due gradi di appello, sottolineate dai giudici nelle motivazioni delle due sentenze. La prescrizione si era già mangiata i reati di lesioni colpose plurime gravi e gravissime, così come l’incendio colposo. Ma con il fatto di non riconoscere l’aggravante dell’incidente sul lavoro, che teneva ancora in piedi il reato di omicidio colposo plurimo, la Cassazione ha dichiarato prescritto anche questo.
1 /9 Familiari strage di Viareggio in Cassazione (4)
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
Piagentini sottolinea che “l’incidente sul lavoro era il cuore di questo processo. Anche perché nell’incidente di Viareggio ci sono stati gli stessi macchinisti coinvolti, che hanno smesso il loro lavoro. Quindi è chiaramente un incidente sul lavoro. E’ stato dimostrato anche in primo grado e in appello con prove schiaccianti e determinate. Che questa Corte di Cassazione abbia tolto quello che è il cuore di questo processo, vuol dire appunto mandare in prescrizione l’omicidio colposo plurimo e, attraverso quello, poi, derubricare il processo a una barzelletta. Hanno praticamente preso in giro il lavoro di magistrati e di due Corti di questo Paese”. Fiducia nelle istituzioni, nello Stato? “Io direi che oggi ci vuole una seconda domanda, perché si fa fatica – dice ancora il presidente dell’associazione Il mondo che vorrei a ilfattoquotidiano.it – Difficilmente dopo quello che è avvenuto oggi si può ancora credere in quello che è un diritto, il diritto di far emergere la verità e soprattutto accertare le responsabilità. I nostri figli non ce li ridà più nessuno. Per questo Paese, che si vuole erigere a democrazia importante, mi sembra di essere tornato ai tempi del Medioevo dal punto di vista del diritto, dove i signori espongono le proprie leggi. Noi la nostra battaglia la continueremo ugualmente, perché è una battaglia di civiltà, di giustizia, quella vera, fatta dalle persone”.
Piagentini ha atteso la lettura della sentenza, insieme ad altri familiari e ai ferrovieri di Assemblea 29 giugno, nella sede della Croce Verde di Viareggio, a due passi dai binari dove si consumò l’incidente. Ha atteso in modo attivo, con una diretta online dalla mattina, in cui si è collegato con gli amici delle altre stragi italiane: Adele Chiello della tragedia del Jolly Nero di Genova, i parenti degli operai della Thyssen, le famiglie del processo Eternit, i familiari di Rigopiano, Loris Rispoli del Moby Prince, tutti collegati con Viareggio, per portare solidarietà e attendere insieme il verdetto della quarta sezione della Suprema Corte.
Quando sono arrivati i primi messaggi dagli avvocati da Roma, però, è calato il silenzio. Qualcuno, nello sconcerto collettivo, ha iniziato a urlare “vergogna”, Piagentini ha invitato alla calma. Quando ormai era chiaro l’esito, i familiari, senza parlare, hanno iniziato ad arrotolare gli striscioni, a ripiegare le 32 magliette con i volti delle vittime, stese una per sedia. Incredulo Roberto Piagentini, il nonno di Lorenzo e Luca. Alla sua età pensava di averle viste tutte. “Io ho visto una guerra, era come un bombardamento”: ripensa alle case crollate in via Ponchielli, a quelle macerie che hanno sepolto vivo per quattro ore Leonardo, allora 8 anni, l’unico sopravvissuto dei suoi nipotini. Ma soprattutto all’automobile con dentro Luca, sul sedile posteriore, carbonizzato a 4 anni. Era pronto a fuggire con la famiglia quando è deflagrato tutto. Tutto prescritto. Il vecchio Piagentini ha visto quell’alba. E ha visto questa giornata, 11 anni dopo.
Allo stesso modo è prescritta anche la morte di Mario Pucci, morto tra le fiamme a 90 anni, sdraiato nel letto dal quale non poteva muoversi, perché disabile, e della sua badante, la rumena Ana Habic, 42 anni, morta con la maniglia della porta in mano. Enzo Orlandini, il genero di Mario, è amareggiato. “A me dispiace per tutto il Paese, il Paese attendeva questa sentenza con grande fiducia, poteva essere un momento di rottura con il passato, poteva rappresentare evidentemente una svolta, c’erano gli elementi, tutti. Ad oggi siamo in attesa delle motivazioni per capire se ancora una volta la fitta rete delle questioni di diritto abbia insabbiato delle responsabilità evidenti. Questa era una tappa importante del cammino che abbiamo incominciato molti anni fa, e continueremo a percorrere perché pensiamo che questo Paese debba andare verso una svolta. L’idea di Paese che abbiamo noi è quella di un Paese in cui la giustizia funziona veramente, nelle cui aule di giustizia si possa celebrare la giustizia vera, che rispecchia la realtà dei fatti conclamati, evidenti, e che possa ridare fiducia a tutti i cittadini. Oggi c’è una distanza enorme tra la giustizia e i cittadini. Purtroppo passerà ancora una volta il messaggio che la giustizia esiste per i potenti e per chi se la può permettere, non per tutti”.