Persino – guarda caso… – nella maggioranza di cui fa parte, tutti applaudono al siluramento di Giulio Gallera, il surreale assessore berlusconiano alla Sanità (e a molto altro) in Lombardia: gli sono state addossate tutte le responsabilità per la disastrosa gestione dell’emergenza pandemica. È vero che Gallera è – per usare un eufemismo – poco difendibile. Oltretutto, non contento delle tantissime e importati deleghe dell’assessorato al Welfare (servizio sanitario regionale; programmazione sanitaria; prevenzione sanitaria; servizi socio-sanitari; volontariato; associazionismo e terzo settore in ambito socio-sanitario; veterinaria), aveva preteso pure quelle alle gaffe e all’improvvisazione: non c’è uno dei settori citati in cui non abbia preso cantonate; non sono pervenute proteste solo da quello veterinario, forse perché gli animali lombardi non hanno ancora imparato a parlare.

Non resta che tirare un sospiro di sollievo e dirgli “Ciao ciao, Gallera”? No no. Anzi, è ora di accorrere in suo soccorso. È troppo facile dare tutta la colpa a lui, lasciando che i mandanti si autoassolvano. Perché il presidente salviniano della Giunta, Attilio Fontana, fino all’altro ieri aveva condiviso ogni decisione, pubblicamente, col suo assessore. E soprattutto perché le radici del ko lombardo di fronte all’emergenza sanitaria sono profonde: appaiono legate a precise scelte politiche destinate a smantellare la sanità pubblica favorendo quella privata. Inoltre, sono alla base della linea attuata non solo dalla Giunta Fontana, ma anche da tutte quelle precedenti: a partire dalla prima, varata dal ciellino-berlusconiano Roberto Formigoni nel 1995 (super fan della sanità privatizzata, travolto proprio da una sentenza definitiva per mazzette ospedaliere), passando per quella presieduta tra 2013 e 2018 dal leghista Roberto Maroni, autore della cosiddetta riforma del 2015 (guarda caso, è entrato pochi mesi fa in uno dei consigli di amministrazione della maggiore impresa sanitaria privata, il gruppo San Donato).

Insomma, Gallera, di fronte a un quarto di secolo di smantellamento della sanità pubblica, è solo una comparsa. Certamente le sue ultime tragicomiche dichiarazioni (esibite per giustificare i ritardi clamorosi nella somministrazione del vaccino anti-Covid) hanno dato il pretesto alla maggioranza per togliergli l’incarico. È stato fatto con l’intenzione di ridare una verginità alla coalizione, visto che nel 2021 si voterà per il Comune di Milano, nel 2023 per la stessa Regione. È però evidente che tutta la Giunta della Lombardia, con il presidente Fontana in testa, non ha saputo organizzare le vaccinazioni anti-Covid; così come ha fallito per quel che riguarda quelle anti-influenzali: per mesi pressoché introvabili nelle strutture pubbliche e nelle farmacie, mentre erano miracolosamente disponibili – con prezzi esorbitanti (tra 60 e 80 euro a vaccino) – in quelle private convenzionate. Per non parlare del modo sadomaso in cui è stato affrontato il drammatico boom di contagi nelle prime settimane della pandemia, ora al centro di varie inchieste giudiziarie di cui si aspetta l’esito.

C’è da scommettere che d’ora in poi la nuova assessora alla Sanità e nuova vicepresidente regionale, Letizia Moratti – berlusconiana di lungo corso – farà il possibile per attribuirsi ogni eventuale miglioramento nella gestione della pandemia e per imputare all’eredità “galleriana” i nuovi insuccessi. D’altra parte, è già la candidata ufficiosa alla presidenza della Regione per il 2023, con uno scambio di favori che permetterà a Matteo Salvini di scegliere il candidato sindaco per Milano. Inoltre la giunta Fontana ha bisogno di stare “tranquilla” in modo da varare una nuova riforma del sistema sanitario, che prosegue sulla strada intrapresa finora.

Di certo però, come ho già scritto qui alcune settimane fa, non può più sfuggire il modo in cui è stata organizzata la sanità lombarda, con le ricadute sulla gestione dell’epidemia e anche sul prossimo futuro. Né basta prendersela esclusivamente con il “povero” Gallera, scelto come capro espiatorio dai suoi stessi compagni di coalizione.

Anche le inefficienze dell’ultimo anno sono state prodotte soprattutto da un’organizzazione della sanità pubblica sempre meno pubblica: man mano è stata spogliata di quei servizi di base – nel campo della prevenzione, dell’epidemiologia, della medicina di medicina di famiglia e via elencando – che avrebbero potuto limitare anche la diffusione del virus, per poi entrare in gioco sul fronte delle vaccinazioni.

Ciò è accaduto – sia chiaro – nonostante il grandissimo impegno profuso da coloro che sono impegnati in prima linea contro il Covid nelle strutture sanitarie di ogni tipo: stanno pagando un prezzo pesante, mettendo a rischio le loro stesse vite. Il fatto è che in Lombardia non mancano, anzi abbondano, le strutture di eccellenza – pubbliche o private, convenzionate con la Regione – in vari campi della medicina. Però il sistema sanitario spicca in Italia anche per l’eccezionale livello di privatizzazione che è stato raggiunto, grazie all’enorme quota di potere pubblico ceduta alle imprese del settore.

Che cosa succederà? Ormai, a giudicare dai commenti che si ascoltano per strada o si leggono sui social, moltissimi cittadini forse hanno capito che cosa significhi non essere al centro del Servizio sanitario regionale. Si spera che, almeno dopo un anno così drammatico, la propaganda messa in campo dalla Giunta lombarda non riesca più a nascondere l’evidente fragilità del sistema, segnato da una netta frattura tra chi gestisce politicamente la sanità e coloro che ci lavorano sul serio. Proprio per rimediare alla disaffezione, il sacrificio pubblico di Gallera dovrebbe, secondo gli strateghi della destra, restituire la verginità alla loro coalizione, traghettandola verso le elezioni regionali del 2023.

Bisogna fare tutto il possibile per impedire il successo di questa operazione di chirurgia estetica. Il rischio? Nel giro di due anni l’attuale coalizione potrebbe riuscire a illudere ancora una volta i lombardi di essere nel paradiso della sanità planetaria, nonostante un terzo delle decine di migliaia di vittime italiane del Covid siano morte proprio in Lombardia. Per raggiungere lo scopo, hanno rimesso in campo Letizia Moratti, ex broker assicurativa, ex ministra, ex presidente della Rai, ex sindaca di Milano, ex banchiera: così insensibile al fascino delle privatizzazioni che – quando era presidente della Rai – sentenziò che l’ente pubblico poteva essere “complementare” alla Fininvest, azienda privata berlusconiana.

L’augurio è che tantissimi elettori siano oggi vaccinati almeno contro la propaganda. Se poi i partiti di minoranza, sul fronte dei programmi elettorali in vista del 2023, si ponessero esplicitamente l’obiettivo di restituire alla sanità pubblica lombarda il suo ruolo indispensabile, sarebbe pure meglio. Perché parte di quello che è accaduto in questo campo è successo anche a causa della scarsa vigilanza, se non – in alcuni casi – col silenzio-assenso, di una parte dell’opposizione.

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