Provocano al limite dell’insulto, anzi in certi casi anche oltre. Con l’obiettivo di prendere ancora tempo e tenere per un altro po’ l’esecutivo sotto pressione. Chi pensava che le oltre tre ore e mezza di vertice a Palazzo Chigi potessero essere risolutive per appianare i dissidi tra la maggioranza e Italia viva rimarrà probabilmente deluso. Alle minacce dei renziani, ai continui tentativi di alzare la posta in gioco e prendere tempo, Giuseppe Conte e il resto della maggioranza reagiscono con una vera e propria contromossa per uscire dall’impasse e spingere sull’acceleratore. “Il Paese non può permettersi un ritardo sul Recovery“, perché in quel caso sarebbe “imperdonabile” aver messo a rischio la ripresa, avverte il premier. I renziani chiedono il Mes e il ponte di Messina? Conte spiega che quei temi non c’entrano niente col Recovery, che d’altra parte “non è lo strumento per definire tutte le questioni poste sui tavoli di confronto della maggioranza“. Per questo il presidente del consiglio ha assicurato i partiti che nei prossimi giorni avrebbe previsto un “confronto per concordare una lista di priorità per la restante parte della legislatura”. Adesso, però, è il momento di correre: per stanare i renziani e fare presto la maggioranza punta ad approvare il Recovery in consiglio dei ministri all’inizio della prossima settimana (si parla di martedì), per poi discuterlo e votarlo in Parlamento. Il testo completo, è l’accordo, sarà girato a tutti i partiti 24 ore prima della riunione del governo. “Tutte le forze della maggioranza hanno deciso di approvare la prossima settimana la proposta di Recovery. Credo sia una decisione giusta e responsabile. Evitiamo che le divisioni politiche pesino su questo strumento fondamentale per il futuro del Paese”, twitta a fine vertice il vicesegretario del Pd Andrea Orlando. “Esprimiamo soddisfazione per l’esito del vertice tenuto questa sera a Palazzo Chigi sul Recovery Plan, rispetto al quale abbiamo realizzato significativi passi in avanti“, è la nota dei 5 stelle. Stesso tenore della dichiarazione di Federico Fornaro, capogruppo di Leu: “Abbiamo raggiunto un accordo su un punto: la maggioranza avrà a disposizione il testo del Recovery ventiquattro ore prima del Consiglio dei ministri”.
Il bluff di Italia viva: chiedono tempo mentre Renzi chiede di fare presto – Manca, invece, una nota ufficiale dei renziani. Teresa Bellanova si limita a scrivere su facebook: “Il documento sul Recovery Plan non c’è: c’è una sintesi di 13 pagine e una tabella. Finché non c’è questo è inutile che mi convochino in riunioni che di fatto si trasformano in un Truman Show“. Che vuol dire? Che i renziani non intendono approvare il piano del Recovery in Cdm? Anche se, come da accordi, quel testo gli sarà recapitato 24 ore prima della riunione dell’esecutivo? Di sicuro c’è solo che quello di Palazzo Chigi è stato un vertice dai toni indandescenti. “Si è perso sin troppo tempo. Abbiamo chiesto di iniziare a lavorare a luglio e vi siete svegliati a dicembre. Dal 7 dicembre ci avete riconvocato il 22 dicembre. Noi abbiamo lavorato sempre, anche a Natale. Ora vogliamo il documento finale e su quello diamo valutazione in 24 ore. Non si perda altro tempo”, sono alcune delle frasi pronunciate dai renziani durante l’incontro. Virgolettati che fanno capire con quale obiettivo siano entrati a Palazzo Chigi i tre esponenti del partito di Matteo Renzi: la ministra Teresa Bellanova e i capigruppo Maria Elena Boschi e Davide Faraone. Il senatore di Firenze, invece, è rimasto fuori dal vertice e ha preferito farsi intervistare da Barbara Palombelli su Rete4 per dire che “se devo stare in maggioranza per non fare niente, preferisco stare all’opposizione” e “ancora oggi non ci hanno dato il piano di Recovery, ci hanno dato una sintesi. Gli italiani non ne possono più. Al governo dico: prendete una decisione, quella che sia, ma prendetela”.
La strategia di M5s, Pd e Leu: “Portare il piano in Parlamento” – Un bluff che le forze di maggioranza sono andate a vedere. “Mentre Renzi chiede in uno studio televisivo di fare presto il suo partito al tavolo di maggioranza chiede il rinvio del Recovery“, dicono i partiti maggiori che sostengono Conte. “Italia viva sta ostacolando e prendendo in ostaggio il Recovery plan. Per M5S,Leu e Pd si registrano ottimi passi avanti sulle linee, ora bisogna andare avanti in Consiglio dei ministri e poi inviare il piano in Parlamento. Non perdere più tempo“. Una dichiarazione che certifica come l’atteggiamento dei renziani abbia finito per ricompattare gli altri partiti. Dem, 5 stelle e Leu ora seguono un’unica strategia per stanare Italia viva: approvare la nuova bozza del Recovery in consiglio dei ministri (si ipotizza una convocazione per martedì) per poi andarla a discutere in Parlamento. Una cosa infatti è cercare in Aula i numeri per tenere in piedi il governo, un’altra – molto diversa – trovare il sostegno per approvare il fondamentale piano di rilancio del Paese. “Far saltare il Recovery plan sarebbe da pazzi, portiamolo in Consiglio dei ministri il prima possibile e diamo al Parlamento la possibilità di lavorarci in maniera collegiale. Il recovery è un patrimonio ottenuto per il Paese, non per un singolo partito”, dice infatti Alfonso Bonafede, guardasigilli e capodelegazione del M5s. “Il tema non è approvare un testo definitivo, in Cdm andrà una bozza che sarà discussa con le parti sociali e in Parlamento. E c’è l’impegno a fornire il testo ai ministri 24 ore prima del Cdm. Ma ripeto non sarà un testo chiuso, ma una bozza, non è che oggi o domani si chiude anche perchè comunque alla fine ci dovrà anche essere l’approvazione dell’Ue. Ma ora il prossimo passo è il Cdm”, spiega Fornaro di Leu. Sulla stessa linea l’intervento dei dem, con Orlando che a un certo punto dice: “A questo punto la crisi non è esclusa quindi va messo in sicurezza il Recovery”. La crisi sembra volteggiare sul cielo sopra Palazzo Chigi. A fine incontro, però, sarà sempre Orlando a commentare un tweet di Faraone, che lamentava di essere stato accusato di tenere in ostaggio il Recovery, con queste parole: “Non ho particolare dimestichezza. Comunque contano i fatti e posso dire che questa sera, dopo una tensione iniziale, il vostro contributo è stato costruttivo e si è fatto un passo avanti. Il Recovery non può essere ostaggio (non vostro) ma delle divisioni”. Tentativi timidi di dialogo.
Conte: “Mes e Ponte non c’entrano col Recovery” – Che non sarebbe stato un vertice dai toni pacifici si intuiva già dalle dichiarazioni pomeridiane della capodelegazione renziana. “Per me esperienza al capolinea”, diceva Bellanova. I virgolettati della serata sono ancora più perentori. Per provocare il resto della maggioranza, infatti, i renziani hanno chiesto l’attivazione del Mes e sono arrivati a tirare fuori addirittura il ponte sullo Stretto. Una richiesta che ha cominciato ad alzare il livello dello scontro. Il presidente del consiglio ha chiesto responsabilità: “Il Paese non può permettersi un ritardo sul Recovery plan perché questo comprometterebbe la nostra ripresa e sarebbe imperdonabile rispetto ai cittadini. Tutti i contributi delle varie forze politiche – ha detto Conte – sono serviti a migliorare l’attuale bozza di lavoro del Recovery Plan. Non abbiamo potuto accogliere tutte le richieste di ciascuna forza politica, dobbiamo sempre tener conto dell’equilibrio complessivo. Ma ciascuna forza può riconoscere l’incidenza delle proprie proposte nella nuova bozza e apprezzare i significativi passi avanti compiuti”. E visto che i renziani hanno messo sul tavolo Mes e ponte sullo Stretto, Conte ha spiegato che “il Recovery non è lo strumento per definire tutte le questioni poste sui tavoli di confronto della maggioranza. Anche perché vi sono interventi che non possono essere finanziati con il Recovery Fund. Nei prossimi giorni vi inviterò al confronto per concordare una lista di priorità per la restante parte della legislatura”.
I renziani chiedono il Mes e il Ponte. Faraone offende: ” – Parole che Italia viva non ha probabilmente ascoltato. Dopo gli interventi di Conte e Roberto Gualtieri, il primo a parlare è stato Faraone, che si è lamentato per le bozze ricevute (considerate non abbastanza dettagliate) chiedendo di attivare il Mes e appunto recuperando il Ponte sullo Stretto (mentre Renzi in tv diceva che il ponte non si può mettere nel Recovery). Il capogruppo dei renziani al Senato ha attaccato il ministro dell’Economia, accusandolo di aver lanciato elle “provocazioni politiche“. Quali? Aver spostato da una parte all’altra i fondi, ovvero le poste del Recovery, cancellando anche progetti targati Iv. “Una provocazione bella e buona“, l’ha definita Faraone, puntando il dito contro il responsabile del Mef. Un passaggio che ha provocato “forte irritazione” in Orlando. Gualtieri ha replicato, spiegando che non si poteva presentare al vertice con il Piano di 130 pagine scritto senza prima aver concordato con i partiti le linee strategiche e aver capito se erano d’accordo o no con le modifiche già apportate dal suo ministero su richiesta dei partiti: se l’avesse fatto Italia viva l’avrebbe attaccato per questo. Quindi, il titolare di via XX settembre ha rassicurato tutti, garantendo che le schede di dettaglio del Recovery plan arriveranno prima del Consiglio dei ministri. Non è bastato. Il ministro del Tesoro è finito nel mirino anche delle critiche della Boschi. L’esponente del Pd ha quindi accusato il partito renziano di “un lavoro sommario e non di dettaglio”, sulla base del quale Italia viva porterebbe avanti le sue dure critiche all’operato del governo. La capogruppo dei renziani alla Camera ha replicato: “Il giudizio al Pnrr lo daremo dopo aver visto i dettagli e risponderemo per iscritto, perché altrimenti interpretate male“. Il livello dello scontro ha continuato ad alzarsi fino a quando Faraone si è scagliato contro il premier e il resto dei presenti: “Sono parecchio indignato da questa riunione, siete bugiardi e ipocriti. Avete creato le condizioni per una rottura“. Se davvero sarà quella definitiva è tutto da vedere.