In un mondo capovolto accade che una meta bramata ogni anno da decine di migliaia di migranti in cerca della terra promessa si trasformi, per altri disperati, in un incubo da cui fuggire. Tutto questo succede adesso a Ceuta, una delle due enclave spagnole assieme a Melilla lungo la costa mediterranea del Marocco. Lavoratori-pendolari marocchini bloccati in territorio spagnolo dall’emergenza pandemica e dalle misure di sicurezza dalle rispettive autorità frontaliere, decisi a tutto pur di tornare a casa, anche di morire. Nell’ultimo fine settimana due uomini sono riusciti a rientrare nel Paese d’origine rischiando di morire assiderati o di annegare. Alla fine ce l’hanno fatta. Con il muro di ferro reso ormai invalicabile dal recente intervento del governo spagnolo che lo ha alzato fino a sfiorare i 10 metri, sostituendo gli spuntoni acuminati con dei cilindri di legno, l’unica soluzione resta quella via mare. E così con forte moto ondoso e una temperatura dell’acqua molto bassa, i due si sono tuffati circumnavigando le barriere di ferro nei due tratti sigillanti, a Tarajal e a Benzù (sul lato opposto di Ceuta, quello occidentale verso Tangeri). Il cuore di ferro delle barriere entra in mare per alcune decine di metri rendendo rischiosa la nuotata per bypassarle, ma i due uomini disperati sono riusciti nell’impresa senza che la polizia doganale riuscisse ad intervenire. Non sono i primi, altri casi si sono verificati nei mesi precedenti, ma con condizioni nettamente migliori, e non saranno gli ultimi.

Se fino al marzo scorso a Ceuta la partita della vita vedeva in campo i soliti due fronti, da una parte i migranti in arrivo da tutto il continente africano e dall’altra le autorità spagnole impegnate controllare l’invalicabilità del muro di ferro, ora le cose stanno cambiando. L’incubo della pandemia da Coronavirus ha stravolto il fenomeno migratorio. A Ceuta non entra più nessuno e i soli tentativi di superare le barriere artificiali a protezione del territorio comunitario avvengono al contrario. Il fenomeno riguarda migliaia di marocchini bloccati dentro l’abitato di Ceuta dal 13 marzo scorso, quando i governi di Madrid e Rabat hanno deciso di sigillare il varco frontaliero di Tarajal II. Una chiusura improvvisa quella decisa quasi dieci mesi fa che ha sorpreso i migranti per lavoro, donne in particolare residenti nelle cittadine e nei villaggi marocchini vicini alla frontiera, Fnideq, Castillejos, Belyounech ed altri. Una situazione cristallizzata dal rischio del contagio da Covid-19.

I due governi, in totale accordo, hanno aperto al rientro di una parte delle donne e dei bambini marocchini bloccati a Ceuta in tre blocchi, da maggio in avanti, ma sono ancora almeno 1.200 i nordafricani intrappolati, lontani dagli affetti e la maggioranza senza lavoro. Come accennato in precedenza, sono soprattutto donne. Prima della pandemia si recavano in maniera fissa a Ceuta per prendere servizio, specie come colf e badanti presso le famiglie dell’enclave spagnola. Spesso assunte in nero, si occupavano degli anziani o delle faccende domestiche vivendo in quelle case con la possibilità di tornare da figli e mariti una volta alla settimana o al mese a seconda del contratto stipulato su carta o sulla parola. Con l’arrivo della pandemia per loro è iniziato un vero e proprio incubo, buttate fuori di casa, il lavoro perso, isolate dentro strutture messe a disposizione dalle autorità spagnole, tra cui una nave enorme ormeggiata al porto. Per non parlare delle mujeres porteadores, le cosiddette ‘spallone’, che per reperire una fonte di guadagno trasportano carichi di merce sulle spalle attraverso la frontiera per limitare i costi di trasporto delle società. Anch’esse bloccate senza alcuna forma di reddito e lontane da casa.

Tragedie umane diverse dal dramma della migrazione verso l’Europa, tuttavia dure da accettare. Da marzo Ceuta si è trasformata in un luogo di assoluta disperazione, eppure la pandemia mescolata alle storie dei marocchini bloccati ha attivato una forma di solidarietà dal basso: “All’inizio tutti i marocchini presenti a Ceuta sono stati messi in quarantena in strutture chiuse, in particolare su una nave inutilizzata fino ad allora e allestita in fretta e furia – spiega Mj Reduan, membro dell’associazione Digmun Ceuta e segretario generale del sindacato Cgt -. Tra loro c’erano persone regolari e non, lavoratori e lavoratrici spesso impiegati a nero, ossia i più difficili da rimpatriare in quanto non inseriti nelle liste ufficiali. Al momento a bordo della nave ci sono soltanto le persone positive al Covid o soggette alla quarantena. Una volta fuori queste persone sono abbandonate al loro destino. Se non fosse stato per la parte sana della popolazione di Ceuta molti sarebbero morti e noi attivisti abbiamo cercato di stimolare proprio l’anima solidale degli abitanti di Ceuta. Generosi che hanno messo a disposizione le loro case, garage, depositi di proprietà e via discorrendo per dare a quei disperati un tetto sopra la testa. Non ci sono soltanto donne, ma anche tanti bambini, giovani e anche uomini”.

Sono appunto loro, uomini adulti, gli unici a poter riuscire nell’impresa di tentare il ritorno clandestino in Marocco. In fondo non esistono alternative dal momento in cui il governo spagnolo non ha attivato altre misure: “La frontiera tra Marocco e Spagna resta chiusa e non ci sono conferme su eventuali riaperture o misure per alleggerire la situazione dei marocchini bloccati – aggiunge l’attivista di origini marocchine ma residente a Ceuta -. Nulla di nulla, il governo spagnolo, di conseguenza le autorità locali, si conferma incompetente ed inumano. La pandemia ha aggravato i problemi economici a Ceuta, ma soprattutto nelle città marocchine vicine a causa del blocco totale e della perdita di tanti posti di lavoro. I due governi continuano a restare totalmente passivi”.

Il Covid e il muro potenziato hanno cambiato le rotte della migrazione africana. Entrare a Ceuta e Melilla è diventato difficile, ma anche inutile e addirittura pericoloso, col rischio di restare intrappolati a lungo. Meglio tentare la fortuna diretta puntando ai viaggi via mare, sempre altamente rischiosi, verso le isole atlantiche della Spagna, oppure verso la costa meridionale della penisola iberica.

Intanto il 2021 si è aperto con un passaggio, tutt’altro che sibillino, dell’intervista televisiva rilasciata dal premier marocchino Saad Eddin al-Othmani ad un canale arabo. Al-Othmani ha confermato l’intenzione di riaprire il fascicolo di un accordo tra Marocco e Spagna su Ceuta e Melilla che si perde nella storia, per “porre fine a più di cinque secoli di occupazione” e dunque riottenere il controllo delle due città sotto chiave. Secca e rapida la risposta del governo Sanchez che, attraverso il Ministero degli Esteri, ha subito convocato l’ambasciatrice marocchina a Madrid, Karima Benyaich, per ‘risentite consultazioni’.

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