Era partita a fari spenti. Mercato ai minimi storici, un parametro zero più un paio di prestiti. Un allenatore in bilico ancora prima di cominciare il campionato. Nel guado del passaggio societario, praticamente nessuna ambizione. Alla fine del girone d’andata la Roma si ritrova terza in classifica, se la gioca alla pari con tutte, sogna la Champions e (non esageriamo) persino lo scudetto. Un miracolo? Forse. Oppure è solo la dimostrazione che persino nella Capitale si può fare calcio, purché non ci siano troppe pressioni. E nemmeno i tifosi.

Se ci si interroga su quale sia il segreto della Roma di Fonseca, anche ieri ottima protagonista nel 2-2 contro l’Inter, si potrebbe dire il cambio di modulo: la difesa a tre, già sperimentata dopo il lockdown ma adottata in pianta stabile quest’anno, sembra aver dato solidità e certezze alla squadra. Oppure un paio di pescate notevoli sul mercato: non solo Pedro, usato più che sicuro, ma anche Ibanez e Villar, arrivati per qualche spicciolo e nessuna referenza (il primo faceva panchina fissa all’Atalanta, il secondo giocava in Serie B spagnola) e diventati pedine preziose nello scacchiere. Ma a ben vedere, con la squadra che è praticamente la stessa che era arrivata quinta l’anno scorso e iniziava il campionato chiedendosi dopo quante giornate avrebbe cambiato allenatore, l’unica vera variabile rispetto al passato è un’altra: l’assenza di pressione e di pubblico, che a Roma spesso vanno di pari passo.

L’impatto degli stadi chiusi sul calcio giocato è dibattuto da mesi. C’è chi gli attribuisce il gran numero di gol segnati e i tanti errori difensivi, dovuti ai cali di concentrazione che aumentano nel silenzio straniante degli impianti. Di sicuro qualcuno ci ha perso: quelle squadre che erano abituate a conquistare il maggior numero di punti in casa, a partire dalla Juventus (lo Stadium era praticamente inespugnabile, quest’anno ci hanno già pareggiato due volte e persa una). Ma probabilmente c’è anche chi ci ha guadagnato: chi nei propri tifosi trova un vortice d’amore, talmente forte da diventare a volte controproducente.

Pensiamo al Milan, ad esempio, primo oltre ogni aspettativa: tanti giovani come Leao, Calabria, Bennacer, o giocatori fragili come Calhanoglu, che in passato sembravano quasi sopraffatti dal peso di San Siro e della maglia rossonera, adesso sono sbocciati. Lo stesso Pioli ha ammesso che all’inizio giocare con lo stadio vuoto è stato un vantaggio. Viene da pensare sia lo stesso per la Roma. Non c’è più quell’attesa spasmodica della vigilia. L’esaltazione dopo ogni vittoria e la depressione alla prima sconfitta. Niente cori assordanti ma neppure fischi, quei mugugni dell’Olimpico ad ogni passaggio sbagliato che fanno sbagliare ancor di più i giocatori. Certo, i tifosi possono far danni comunque, sui social (vedi gli assurdi insulti alla bandiera Pellegrini per colpa di un gol mancato) ma da lontano sono meno nocivi.

A ben guardare, oggi la Roma ha praticamente gli stessi punti dello scorso anno (l’involuzione sarebbe cominciata dopo). Ma è il clima ad essere diverso, più disteso, positivo. Non solo ovviamente per l’assenza di tifosi, che sono un patrimonio del calcio romano, sarebbe ingeneroso additarli solo come fonte di pressione, ansia, negatività, con tutta la passione che da sempre li contraddistingue. Ma è indubbio che la Roma tragga benefici dalla “bolla” asettica del pallone Covid. Gioca tranquilla, ha idee, energie e qualità, affronta con personalità le grandi (alla pari con Milan, Juve e Inter) e domina le piccole, ogni tanto scivola (Napoli, Bergamo) ma si rialza. Perché è tutto l’insieme, il contesto in cui la squadra si muove, ad essersi alleggerito: a questo gruppo nessuno chiede nulla, tutto ciò che viene è guadagnato. E fin qui non è poco. La Roma è terza con merito e domenica c’è il derby, che per una volta potrà essere giocato e non esasperato. Magari era solo Roma il problema della Roma.

Twitter: @lVendemiale

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