Subito dopo la cosiddetta indipendenza concessa dalla corona nel 1962, la Giamaica – in realtà ancora oggi un protettorato inglese – scivola gradualmente sotto il controllo degli imprenditori stranieri. Uno di questi – l’inglese Butch Stewart deceduto lunedì 4 gennaio – partito dagli impianti di aria condizionata, diventerà poi il leader del settore turistico fondando la catena hoteliera Sandals. Mentre alcuni si muovono all’interno del perimetro del business, altri invece si buttano in politica: il potere li attrae più del denaro fine a se stesso.
Edward Seaga, ex produttore musicale libanese nato a Boston, camuffandosi da filantropo entra nelle baraccopoli di Kingston, la capitale, e inaugura un paio di scuole elementari, iniziando così a tessere – coadiuvato dagli Area Don delle gang criminali che hanno potere di vita e morte sui residenti – la sottile trama che lo porterà a diventare Primo Ministro ininterrottamente dal 1980 al 1989, nonché capo del suo partito, Jamaica Labour Party, dal 1974 al 2005.
Con il “nobile” pretesto di offrire ai poveracci delle abitazioni più consone, rade al suolo Back-o-Wall, la baraccopoli abitata dalla comunità rasta e dagli elettori del partito nemico (People’s National Party) per costruire sulle ceneri di codesta file di scatoloni di cemento, dove piazza i suoi uomini e le loro famiglie, che gli assicurano negli anni a venire voti e potere.
Nascita della Garrison – Il presidio
Ovviamente gli sfrattati non ci stanno – Back-o-Wall era capture land, cioè terra di nessuno – e protestano incessantemente: a quel punto, i boss scatenano le loro truppe, che cominciano a pestare ed uccidere i rivoltosi, coadiuvati da una polizia prezzolata che tra l’altro non ha mai potuto soffrire il movimento Rastafari, arrestando regolarmente i suoi affiliati, e giustificando tali azioni con l’intento di perseguire il consumo di ganja (marijuana) che i rasta considerano erba sacra.
Alcuni vengono ammazzati sul posto perché sorpresi all’interno delle loro coltivazioni, e i raccolti bruciati. In realtà la droga che va di moda tra i seguaci di Seaga (principale fonte dei loro profitti) è la cocaina. Egli stesso, da Primo Ministro, avrebbe stretto un’alleanza di ferro con il dittatore di Panama Manuel Noriega, allora pupillo del partito Repubblicano Usa, nonché informatore della Cia e principale esportatore a livello regionale della bamba.
Ma torniamo al 1966: quando le ruspe finiscono di spianare gli slums, il cemento inizia a colare copioso. Una volta ultimati i lavori, quei casermoni sotto il sole battente vengono battezzati Denham Town e Tivoli Gardens: i nuovi feudi di Sua Eccellenza Seaga. Sul lato opposto della strada troneggiano stabilimenti puzzolenti e il nuovo porto. Claudie Massop, leader della gang più potente Shower Posse, verrà premiato con appartamenti di lusso per lui e i suoi parenti, oltre a corridoi preferenziali all’interno del porto per i suoi affari.
Le altre gang, alleate e rivali, che rappresentano i quartieri limitrofi, fanno lo stesso: Black Roses Crew (Jungle e Tel Aviv) supporta il partito rivale Pnp, mentre Action Pak (Rema) con Shower Posse formano i presidi armati di Seaga e del Jlp. Si afferma così la cultura dei Garrison, gli avamposti che i due partiti in guerra stabiliscono nei rispettivi quartieri. Bob Marley stigmatizzerà questa piaga con la sua celebre canzone Concrete Jungle (Giungla di Cemento).
Si beccherà così due pallottole nella coscia, durante la guerra civile che sfocerà nelle elezioni del 1980, vinte da Seaga sull’ex premier Michael Manley, leader del Pnp. Il sabotaggio di Ronald Reagan che aveva bloccato le derrate alimentari in partenza per la Giamaica durante il governo di Manley fu decisivo: l’isola venne letteralmente espugnata per fame.
L’avvento di PJ e il massacro di Tivoli
Tre anni dopo, Seaga ripagò il debito di riconoscenza con Reagan appoggiando l’invasione statunitense della piccola isola caraibica di Grenada con reparti dell’esercito. Per giustificare il loro intervento, i due compari addussero il pretesto dei tumulti che si erano scatenati dopo l’assassinio del presidente marxista Maurice Bishop, fatto fuori dai rivali interni al suo partito, tarpando così le ali all’alleanza con Cuba che avrebbe potuto contagiare le isole limitrofe.
Anche in Giamaica tale alleanza propugnata da Michael Manley fu stroncata dall’ascesa al potere di Seaga. Il governo laburista dopo Grenada si trascinò stancamente fino al 1989, quando il Pnp vinse le elezioni e Michael Manley tornò al potere per poi cedere il timone per raggiunti limiti di età a P.J. Patterson – PJ per tutti – che divenne il Premier giamaicano più longevo, governando ininterrottamente dal 1992 al 2006.
Con lui il governo in carica tornò al welfare, rinforzando la tutela sociale, investendo sulla sanità e l’istruzione, dopo aver incorporato istituti privati per farne scuole pubbliche, riducendo così i costi della working class. Vennero riprese anche le relazioni con Cuba.
PJ ebbe poi il merito di avviare la modernizzazione delle infrastrutture, cominciando dalla rete stradale in condizioni disastrose, fino alla joint venture con la Cina che sfociò nel progetto Highway 2000, favorendo così lo sviluppo del turismo. Il suo merito maggiore è stato quello di liberare la Giamaica dal cappio dei prestiti giugulatori di Fmi, gli strozzini made in Usa. Il suo percorso si fermò quando osò perorare l’emancipazione dalla corona britannica, caldeggiando l’avvento della prima repubblica nei Caraibi anglofoni.
Un passo che nessuno ha osato più ricalcare, fino a Mia Mottley, premier delle Barbados, la quale ha rimosso la Regina a settembre 2020. Dopo PJ, il governo tornò nelle mani del Jlp di Seaga e del Fmi.
Il nuovo premier Bruce Golding era probabilmente ancora più invischiato del suo padrino con le gang della cocaina, che nel 2009 sottostavano alla leadership dello spietato Christopher “Dudus” Coke (nomen omen). Costui esagerò con i suoi traffici negli Usa, attirando sulla Giamaica l’ira di Barack Obama che intimò a Golding di consegnarlo alla Dea. Solo la minaccia di tagliare i fondi Fmi scosse il premier, che avrebbe avuto un debito con Dudus di voti e protezione.
Fu così che due battaglioni dell’esercito comandati dal generale Stewart Saunders, e 300 agenti sotto le direttive del capo della polizia Owen Ellington (coordinati via aerea da Janet Napolitano, capo della Sicurezza Nazionale Usa), attaccarono il 23 maggio 2010 il ghetto di Tivoli Gardens, dove 500 scagnozzi di Dudus, appoggiati dai civili residenti, difendevano il boss, che intanto se l’era già squagliata, per essere arrestato solo alla fine delle ostilità.
La resistenza fu talmente agguerrita che quella che doveva essere una faccenda di pochi giorni si protrasse per oltre un mese, mentre il conflitto si estendeva lungo la capitale e la periferia, con tre stazioni di polizia incendiate e diversi agenti fatti fuori. Alla fine fu una carneficina: un centinaio di civili furono trucidati da colpi di mortaio e bombardamenti dagli elicotteri, oltre che da esecuzioni sommarie, mentre le salme si ammucchiavano insepolte alle soglie del cimitero di May Pen.
Malgrado una commissione d’inchiesta abbia poi accertato gli abusi delle forze dell’ordine, nessuno dei vertici coinvolti è stato rimosso dal proprio incarico.
Oggi, 11 anni dopo quel bagno di sangue, gli avamposti storici del partito di Seaga sono ridotti alla miseria più totale: oltretutto la gente è lasciata alla mercé del Covid, priva di assistenza sanitaria pubblica, poiché l’élite dei medici privati – che insieme al ceto alto di Uptown costituisce lo zoccolo duro dei grandi elettori Jlp – nelle proprie cliniche accoglie solo chi paga profumatamente.
Il resto della popolazione si accalca in file senza speranza davanti ai modesti consultori delle congregazioni religiose. D’altra parte un Pcr costa 150 dollari e oltretutto anche quelli che si rassegnano a pagare questa somma oscena sono costretti ad aspettare 3 o 4 ore sotto il sole cocente prima di accedere al prelievo: 400 persone al giorno di media, un business per le cliniche private mostruoso. Lo stesso avverrà per il vaccino, accetto scommesse a riguardo.
Testi e foto © F.Bacchetta