Il gruppo di lavoro, coordinato dal prof. Dooley dell’Università di Cork e reso possibile solo grazie a fondi esteri, sta analizzando decine di migliaia di documenti custoditi in circa 200 faldoni dell’Archivio di Stato di Firenze. Si tratta del più grande progetto di ricerca sui cosiddetti "avvisi", vere e proprie newsletter settimanali a pagamento che sono state inventate nel Quattrocento e che poi sono diventate la base del primo giornalismo stampato
Gli addetti ai lavori li chiamano “avvisi”, sono una sorta di antiche newsletter manoscritte semi-pubbliche settimanali o bisettimanali, inventate in pieno Rinascimento e composte da fogli solitamente anonimi, riprodotti in più copie, che poi sono diventati la base del primo giornalismo stampato. A questa sorta di quarto potere ante litteram praticamente nessuno aveva tributato le necessarie attenzioni fino all’estate 2019, quando è iniziato il “Progetto Euronews” coordinato dal docente americano Brendan Dooley dell’Università di Cork, in Irlanda, e finanziato con un milione di euro dall’Irish Research Council. Da quasi un anno e mezzo il gruppo di lavoro, composto da studiosi di diverse nazionalità, sta analizzando decine di migliaia di documenti custoditi in circa 200 faldoni dell’Archivio di Stato di Firenze, alcuni dei quali praticamente inediti.
“Il progetto prevede lo spoglio di un particolare tipo di documento – spiega il professor Dooley – che rappresenta l’alba del giornalismo nella seconda metà del Quattrocento, anche se nel fondo Mediceo del Principato, cioè in pieno XVI secolo, il loro numero diventerà assai più consistente”. Gli “avvisi” riportavano notizie relative a tutto il mondo allora conosciuto e avevano caratteristiche simili, poiché iniziavano sempre con l’indicazione del luogo dove era stato compilato e la data. Poi seguiva la notizia che poteva essere stata scritta da spie, diplomatici, ex-soldati, o persone comuni che semplicemente componevano una lista di accadimenti.
Per esempio, in un “avviso” sulla peste di Venezia del 1630, di estrema attualità, si legge: “Venezia, 26 di Ottobre 1630 – La Peste in questa Città fa progressi notabili, morendone ogni giorno circa a 500, e la maggior parte in termine di 24 ore. Il contagio però fin adesso fiocca nella gente bassa, e sebene le diligenze che si fanno sono molte, in ogni modo si dilata il male a grandissimi passi. Quelli che moiono di carboni e di simili segni pestilenziali sono assai, ma supera di gran lunga il numero di quelli che cascono di petecchie, che sono d’una qualità venenosissima, nere e grosse come una lenticchia. Provisioni non si fanno per ancora, chi può fuggir si fugge, et i poveri sono soccorsi per quanto si può. Lo spavento nel populo è grandissimo, molte botteghe si serrono, la nobiltà è tutta fuori, et ogni altra persona comoda sta rinchiusa nelle proprie case, senza voler dar pratica ad alcuno”.
Come è già accaduto nei primi anni ’90 per il “Medici Archive Project” – quando un gruppo di ricercatori mise a disposizione di tutti l’immenso epistolario mediceo che abbraccia 200 anni di Granducato solo grazie al sostegno di una fondazione americana – anche per “Euronews Project” è stato necessario l’intervento di risorse estere. In caso contrario questo immenso patrimonio culturale sarebbe rimasto fine a se stesso, conservato e non valorizzato. Evidentemente fuori dai confini nazionali, oltre a esserci una maggiore disponibilità di fondi, sta sempre più crescendo la sensibilità verso studi che uniscono diverse scienze umane, come la storia e la sociologia. L’obiettivo del progetto dell’università irlandese è infatti quello di studiare la contemporaneità come risultante della società che, proprio come accade oggi, veniva “plasmata” dalla diffusione delle notizie.
Ai nostri tempi basta un tocco sul piccolo schermo di un telefono cellulare… et voilà, l’informazione è servita. È normale informarsi in maniera rapida e privata. Ma come è nata l’informazione in Europa? Come si informava nel XV secolo la cittadinanza, gran parte della quale non sapeva leggere né scrivere? A queste e ad altre domande sta cercando di rispondere il gruppo di ricerca. “Questi avvisi di solito venivano emessi, in diverse copie, una volta alla settimana – prosegue il docente americano -, erano venduti per abbonamento e non costavano poco. Ma la gente aveva bisogno di notizie, un po’ come oggi del resto, per poi poterle commentare. E se qualcuno voleva avere notizie più segrete, doveva pagare un po’ di più. Si trattava di un genere di scrittura che non è mai stato studiato fino in fondo semplicemente perché troppo vasto. Oggi invece abbiamo strumenti diversi per leggere e trascrivere questi avvisi e quindi si è aperta la possibilità di uno studio approfondito dei documenti. La loro lettura e analisi per categorie, vera mission dell’“Euronews Project”, servono per capire il mondo delle notizie di quell’epoca e come si viveva allora – aggiunge Dooley -; anche noi oggi abbiamo la sensazione di vivere immersi nelle notizie, ma dobbiamo pensare le nostre hanno comunque degli antenati, diffuse in un periodo in cui il mondo era ancora in espansione”.
Negli “avvisi” fino a oggi studiati sono emerse news riguardanti, oltre l’Italia, praticamente tutta l’Europa: dai paesi baltici alla Spagna, alla Gran Bretagna e perfino l’Irlanda e la Russia, e poi il Medio Oriente e l’Impero Ottomano, il Nordafrica, il Nuovo Mondo, etc. A ben vedere, gran parte degli archivi storici d’Europa possiede un vasto numero di “avvisi”, ma la collezione dell’archivio fiorentino è particolare per la quantità e l’estensione dei questi materiali: “Man mano che passavano gli anni – prosegue il professor Dooley -, il Granducato di Toscana perdeva potenza in Europa, ma nonostante tutto ha proseguito la sua navigazione in acque molto agitate e il vero miracolo è stata la sua sopravvivenza, dovuta in larga parte proprio alla conoscenza di cosa stava accadendo nel mondo”.
Insomma, sin dal XVI secolo il Granducato di Toscana era inserito in – oggi si direbbe “connesso a” – un sistema integrato di informazioni che copriva tutta l’Europa: “Avere oggi a disposizione questa massa enorme di notizie e in condizioni ottimali – conclude il docente della Cork University – offre un’opportunità enorme di ricerca, che non si è fermata neanche durante i due periodi di lockdown dovuti all’emergenza sanitaria, perché siamo stati previdenti e abbiamo ottenuto migliaia di immagini dei documenti, sulle quali abbiamo proseguito a lavorare da casa, per continuare a rispondere al quesito di partenza: che funzione avevano le notizie diffuse secoli fa? Per noi oggi è fondamentale saperlo, soprattutto per comprendere sino in fondo come e perché siamo diventati quel che siamo”.
Foto tratta dal sito web di Euronews Project