Un giovane brillantemente avviato alla carriera universitaria nella Russia di fine Ottocento abbandonò tutto per dedicare la sua intera esistenza all’unica “necessità interiore” davvero irrinunciabile: in nome dell’arte Vasilij Kandinsky [Mosca 1866 – Neuilly-sur-Seine, 1944] rifiutò la cattedra di Dorpat per compiere un salto nel buio, da professore a studente di pittura a Monaco. Colto e progressista in un contesto in bilico tra sogno di modernità, tradizione impolverata e autocrazia zarista, Kandinsky rivoluzionò la pittura come Einstein la scienza e Schönberg la musica. Il suo Cavaliere dal mantello azzurro nel 1903 attraversò l’Europa al galoppo di un cavallo bianco: negli anni della grande esaltazione di Picasso e Marinetti, Kandinsky passò dalla forma al segno dipingendo il suo Primo acquerello astratto; era il 1910 e con lui nel vecchio continente tutti i baluardi della figurazione crollarono come un castello di carte.
Visualizza questo post su Instagram
Come in musica una dissonanza rompe ogni equilibrio tonale, così la sua arte rivoluzionaria si lasciò dominare dall’energia delle linee che interagiscono sulla superficie come campi magnetici senza spazio né tempo. Memorie lontane di chiese e campanili svaniscono nel colore, nostalgia di terre mitiche percorse da cavalieri che trionfano sul male, proprio come trionfa lo spirito sulla materia, l’astratto sul figurativo. La stessa energia che fa esplodere la rappresentazione riorganizza un’immagine all’opposto della rappresentazione naturalistica: è il regno della geometria in uno dei secoli più caotici e sanguinosi della Storia. Kandinsky spalancava così le finestre sul tutto, sulla nuova età de Lo spirituale nell’arte e nel mondo, sulla realtà liberata dal peso e dalla disperazione.
Il Guggenheim di Bilbao, in uno dei momenti più critici negli ultimi decenni, apre con fiducia le porte fino al prossimo 23 maggio 2021 per un’imperdibile monografica nella “nave d’argento” di Frank Gehry: un viaggio immaginifico nei colori che sono suoni e nei paesaggi ipnotici di Vassilij Kandinsky. In attesa dei tanto sospirati ‘tempi migliori’, la cultura non chiude ma tiene le distanze. E’ possibile scoprire la mostra attraverso i social media e il sito del museo (qui): un’immersione gratuita in un tour virtuale regolarmente aggiornato con video e contributi che approfondiscono alla portata di clic e in totale sicurezza l’esposizione, pur non riuscendo certo a sostituire in alcun modo la fruizione dal vivo.
In mostra, patrocinata dalla Fundación BBVA e curata da Megan Fontanella, attorno a prestiti capitali della Fondazione Guggenheim di New York che hanno attraversato l’oceano, gravita un universo di disegni, acquerelli, schizzi e incisioni che testimonia la complessità di genesi del percorso artistico di Kandinsky. La monografica si coagula attorno a quattro nodi, quattro città fondamentali nell’esistenza del pittore russo – Monaco, Mosca, Berlino e Parigi –, ciascuna delle quali ha saputo riflettere le proprie suggestioni poetiche e tecniche sulla sua arte rivoluzionaria. Seguendo il peregrinare dell’artista, l’esposizione passa dai paesaggi giovanili d’inizio Novecento in Europa e Nord Africa, ancora carichi di riferimenti figurativi, ai primi esperimenti astratti, senza dimenticare la Weimar e Dessau degli anni Venti, dove Kandinsky fu il perno intellettuale della Bauhaus di Walter Gropius, la scuola d’arte applicata al design in cui crollò ogni differenza tra l’artigiano e l’artista. Quando i nazisti sbarrarono i battenti della Bauhaus nel 1933, la Francia lo adottò e mise in salvo la sua “arte degenerata”: gli ultimi undici anni di vita nel paesino di Neuilly-sur-Seine videro Kandinsky spettatore ai margini, linea parallela che non si intersecò mai ma osservò con curiosità le novità del Surrealismo di Breton, l’arte di Arp e Mirò, le scienze naturali.
Nomade nella vita come nell’arte, Kandinsky riportò il mondo alla sua essenzialità, alla sua forma pura e ordinata che in natura non esiste ma nella nostra immaginazione sì. Al suo occhio quando l’angolo acuto di un triangolo incontra un cerchio ha lo stesso effetto del contatto tra il dito di Dio e quello di Adamo dipinti da Michelangelo nella Sistina; sulla sua tavolozza il bianco è il colore del silenzio primordiale, il nulla prima dell’origine, il nero è invece nulla senza alcuna possibilità. Nel mezzo si aprono le mille sfumature di una pittura di stati d’animo, forma sofisticata di musica silenziosa: i monti di Murnau trasfigurano in triangoli e il cerchio diventa pianeta di un silenzio eterno, astrazione improvvisa ma non improvvisata, non matematica ma lirica e onirica. Nelle sue tele annegò migliaia di geometrie pure per sublimare ragione e sentimento, scienza esatta e bellezza, distillati di vita vera trasformata dal colore in note che fanno vibrare l’anima.