Dopo mesi di polemiche, inchieste giornalistiche e domande – ancora senza risposta – sull’effettiva preparazione dell’Italia all’eventualità di una pandemia come quella da coronavirus, il nostro Paese presto avrà un nuovo Piano pandemico nazionale. La bozza del documento – che sarà valido dal 2021 al 2023 – prevede una serie di misure organizzative e azioni per fronteggiare possibile nuove pandemie, dall’individuazione di una precisa catena di comando tra governo e Regioni alla creazione di piattaforme “per il rapido sviluppo di farmaci antivirali antiinfluenzali e vaccini pandemici contro virus influenzali aviari che si dimostrino in grado di passare all’uomo”. “L’esperienza del 2020 – si legge – ha dimostrato che si può e si deve essere in grado di mobilitare il sistema per aumentare nel giro di poco tempo sia la produzione di mascherine e dispositivi di protezione individuale a livello nazionale che i posti letto in terapia intensiva, anche per far sì che non si verifichino disservizi nella assistenza e nella cura delle persone affette da malattie ordinarie“. Nel piano si parla poi del dilemma etico dei medici, costretti a decidere chi curare prima quando mancano le risorse, e dei timori di una “improbabile” ma non impossibile “mutazione” del virus H5N1 nel futuro. Fonti del ministero della Salute precisano però all’Ansa che il documento è ancora “una bozza informale, condivisa con i soggetti interessati e destinata a raccogliere indicazioni e modifiche“. Il Piano pandemico definitivo quindi potrà quindi subire trasformazioni e ritocchi rispetto al testo odierno.
Perché l’aggiornamento del Piano – Molti di questi aspetti di fatto sono mancati nelle fasi iniziali della prima ondata del Covid-19, su cui sta indagando la procura di Bergamo. I magistrati stanno infatti cercando di accertare se il Piano pandemico di cui è attualmente dotata l’Italia sia un mero copia-incolla di quello del 2006 e se il suo mancato aggiornamento possa aver contribuito a rendere il nostro Paese uno dei più colpiti al mondo dalla pandemia in termini di decessi. Vicenda che si intreccia a quella sollevata dalla trasmissione di Rai3 Report, secondo cui il direttore aggiunto dell’Oms Ranieri Guerra fece pressioni nel maggio 2020 per far ritirare un rapporto della stessa Organizzazione 24 ore dopo la sua pubblicazione. Nel dossier, elaborato da un gruppo di ricercatori coordinati da Francesco Zambon, già ascoltato in procura a Bergamo, si denunciava proprio il mancato aggiornamento del Piano pandemico italiano. E Guerra, che dal canto suo contesta ogni accusa, era in servizio al ministero negli anni in cui doveva essere rivisto.
Il dilemma etico dei medici – Il Nuovo piano 2021-2023 punta in ogni caso ad andare oltre, facendo una summa di quanto imparato finora con il Covid. Da un lato fornisce le indicazioni necessarie per affrontare i normali virus respiratori, dall’altro tiene conto delle “attività finalizzate a rafforzare nel nostro paese la capacità di valutare rapidamente l’impatto di un virus influenzale emergente a potenziale pandemico con caratteristiche di trasmissibilità e gravità più elevate” dell’ordinario. Proprio come il Sars-Cov2. Un punto molto delicato riguarda quello delle scelte etiche per i medici: “Lo squilibrio tra necessità e risorse disponibili può rendere necessario adottare criteri per il triage nell’accesso alle terapie“, si legge. “Gli operatori sanitari sono sempre obbligati, anche durante la crisi, a fornire le cure migliori, più appropriate, ragionevolmente possibili. Tuttavia, quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità, i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne beneficio“.
Governance e comunicazione in tempi di pandemia – Per quanto riguarda la catena decisionale delle istituzioni, si legge che “nei 90 giorni successivi alla approvazione del Piano pandemico nazionale, ciascuna Regione/PA approva un piano strategico-operativo regionale attuativo di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale”, impegnandosi ad attuarlo “nei 120 giorni successivi“. Ciascun territorio dovrà elaborare dei “meccanismi di coordinamento regionale con individuazione di una chiara catena di responsabilità“, mentre il ministero della Salute “curerà il coordinamento delle attività di pianificazione contenute nei piani pandemici Regionali”. Si prevede inoltre di porre le basi “per una rete consolidata sull’intero territorio nazionale di esperti in sanità pubblica con specifici ruoli”, da affiancare ad esperti “da istituzioni chiave” come Iss, Aifa, Agenas e Inail. Di fatto una versione allargata della cabina di regia sull’andamento del Covid che abbiamo imparato a conoscere finora. Serve poi una “catena di comando della comunicazione“, per promuovere “comportamenti sani e corretti nell’ottica della prevenzione e prevenire la diffusione di informazioni scorrette“.
I timori per una mutazione dell’aviaria – Il Piano fornisce poi dettagli sul fabbisogno nazionale di posti letto in ospedale in base alla contagiosità dei diversi virus influenzali che potrebbero diffondersi nel Paese (compresa la normale influenza). Si parla di garantire “la funzionalità dei servizi sanitari” in ogni circostanza, per garantire i servizi soprattutto ai “gruppi vulnerabili come i bambini, le donne in gravidanza, gli anziani, le persone con malattie croniche e oncologiche, le persone con disabilità”. Poi il riferimento ai rischi futuri: “Alla luce della recente esperienza pandemica con virus diversi dall’influenza, si ritiene peraltro prudente non escludere dalle ipotesi programmatorie la possibilità, per quanto improbabile, che possano emergere virus influenzali caratterizzati da una elevata trasmissibilità e alta patogenicità (ad esempio determinata da future mutazioni di H5N1)”. Cioè l’aviaria.
Attenzione agli aerei per le nuove pandemie – Il principale veicolo di un eventuale agente patogeno, si legge, è il trasporto aereo. “Il settore impone una riflessione specifica per il volume di passeggeri interessati, la capacità di connettere in poche ore paesi molto distanti tra loro, e lo specifico ambiente chiuso degli aeromobili che facilità la trasmissione dei virus influenzali attraverso il contatto diretto da persona a persona o da superfici contaminate”. Il Piano torna indietro nel tempo, citando sia la pandemia da aviaria del 2009, sia quella da Sars-Cov2, in cui “gli spostamenti aerei sono stati sicuramente uno dei principali modi con cui il nuovo virus si è introdotto in paesi non ancora colpiti, e sicuramente gli aerei potranno essere un vettore importante anche per le prossime pandemie“. Da qui la necessità, in caso di esposizione in volo a una persona contagiosa, di riconoscere in modo precoce “la malattia” e di coordinarsi “tra le autorità nei paesi di partenza e di destinazione per avviare un’adeguata risposta di sanità pubblica senza interrompere il traffico aereo”. Decisivi quindi il contact tracing dei passeggeri e dell’equipaggio.
Il nodo vaccini – Di fronte a una nuova pandemia, inoltre, i Paesi devono valutare “la loro capacità di approvvigionamento di un vaccino contro l’influenza pandemica”. Il Piano avverte che la produzione di un farmaco “per un nuovo ceppo di influenza pandemica potrebbe richiedere circa 4-6 mesi e la capacità di produzione globale sarebbe limitata”. Perciò è necessario appoggiarsi all’accordo europeo per garantire a tutti gli Stati membri di avere “un accesso equo ai vaccini e antivirali“. L’accordo assicurerebbe all’Italia, e agli altri Paesi, “la fornitura di adeguate quantità di vaccino pandemico a condizioni contrattuali vantaggiose”. Il capitolo si chiude con una frase sibillina: “Per mancanza di finanziamenti, attualmente l’Italia non ha potuto aderire ad uno specifico approvvigionamento della CE”.
Campagne di sensibilizzazione nelle scuole e formazione – In tempi normali, invece, il ministero raccomanda di sensibilizzare la popolazione su tutte le misure di cui disponiamo per combattere eventuali agenti patogeni, a partire dagli “interventi non farmacologici”: cioè igiene delle mani, distanziamento sociale, uso dei Dpi. Attività che va fatta in “scuole, luoghi di lavoro e incontri pubblici”. “È inoltre sempre opportuno – si legge – valutare le basi giuridiche ed etiche di ogni intervento non farmaceutico, in particolare quelli che impongono limitazioni alle libertà personali“. Altro capitolo decisivo è quello della formazione, sia per le istituzioni che per gli operatori sanitari. A partire dal 2021 verrà istituita una “rete dei referenti nominati dalle Regioni/PPAA coordinata dal Ministero della Salute con presenza di esperti da istituzioni chiave“. In sostanza si punta a creare una squadra di “formatori” per fare in modo che tutte le Regioni d’ora in poi siano pronte allo stesso modo per le gestire le future emergenze sanitarie.