Tutta colpa delle Regioni? La domanda riassume in quattro parole la querelle sulla scuola che in queste ore si sta consumando tra la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, sostenuta a spada tratta dal suo Movimento 5Stelle, e i governatori, che hanno dalla loro molti membri della segreteria nazionale del Partito Democratico. Il governo ha scelto la data dell’11 gennaio per far tornare in aula anche i ragazzi delle superiori, ma almeno 15 Regioni hanno deciso in modo unilaterale di posticipare tutto. Chi a metà mese, chi a inizio febbraio. In molti, quindi, si sono chiesti perché sul tema della scuola ogni territorio sia andato per conto suo indipendentemente dall’indice Rt e dall’andamento dei contagi. Come il coordinatore del Comitato tecnico scientifico, Agostino Miozzo, che sabato ha inviato una lettera molto esplicita al Corriere della Sera: “Guardando l’attuale disastrosa situazione dell’universo scolastico, le innumerevoli, diversificate ed improvvisate soluzione decise in piena autonomia dai presidenti delle Regioni (e spesso dagli stessi sindaci) viene spontaneo chiedersi per quale ragione non si mette in atto un meccanismo di decisione centralizzata che superi il potere delle autorità del territorio”. Miozzo parla di “anarchia didattica” e chiede “una centralità decisionale”.
La ministra di viale Trastevere, in una lunga intervista apparsa sempre sul Corsera, se l’è presa direttamente con i governatori: “Il 23 dicembre è stata firmata all’unanimità l’intesa con le Regioni che prevedeva il rientro il 7 gennaio. Molti di loro si sono sfilati. I presidenti hanno deciso di prorogare la chiusura delle scuole prima ancora di vedere i risultati del monitoraggio sulle fasce di rischio”. Il problema però resta sul tavolo: le decisioni prese a Roma passano in secondo piano rispetto alle scelte delle Regioni. Una questione politica ma anche costituzionale, secondo il presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli che dalle pagine del Sole24Ore ricorda: “La confusione è figlia del modo in cui è stata concepita la riforma del titolo quinto vent’anni fa, con materie concorrenti tra Stato e Regioni”. Tuttavia, aggiunge il costituzionalista, il governo avrebbe potuto sostituirsi alle Regioni “in base all’articolo 120 della Costituzione. Se non è stato fatto è per ragioni politiche”.
D’accordo con Agostino Miozzo è la senatrice dei “5Stelle”, Bianca Laura Granato, membro della Commissione istruzione a palazzo Madama: “Quando manca la chiarezza sui fattori ostativi che hanno impedito di mantenere gli impegni assunti (vedi intesa del 23 dicembre) conviene che lo Stato gestisca questi processi. Le Regioni sulla scuola hanno preso decisioni senza mai giustificare le loro scelte. Tengono in considerazione solo l’Rt, ma che cosa hanno fatto per contenerlo? Qualcuno ha aspettato a braccia conserte per poi rinviare di nuovo l’apertura delle aule”. La senatrice pentastellata ha anche una proposta: “Va fissato un numero di giornate di scuola in presenza obbligatorio per tutti i territori da svolgere nel corso dell’anno scolastico”. Granato non risparmia le critiche nemmeno nei confronti del Partito Democratico: “Non hanno avuto un atteggiamento di leale collaborazione istituzionale. Il partito è spaccato: da una parte il ministro Dario Franceschini che da sempre sostiene la chiusura delle scuola, dall’altra i miei colleghi senatori in Commissione che come noi volevano le aule aperte. Per loro dev’essere imbarazzante fare i conti con la miope visione di Franceschini”. Un’ ultima frecciata va al presidente dell’Emilia Romagna: “Stefano Bonaccini deve spiegare al presidente del Consiglio come mai ha fatto marcia indietro differendo il ritorno in presenza al 25 gennaio”.
A spiegare le posizioni del partito di Nicola Zingaretti, rispetto alla lettera di Miozzo, è la responsabile scuola Camilla Sgambato: “Il Pd è sempre stato convinto che fossero necessarie decisioni nazionali di buon senso che coinvolgessero tutta l’Italia per evitare che le regioni prendessero decisioni diverse, ma, anche a fronte di dati epidemiologici diversi regione per regione e che cambiano continuamente, soluzioni differenti sui vari territori potrebbero consentire, laddove è possibile farlo in sicurezza, il ritorno in presenza di un numero maggiore di alunni. La cosa essenziale ed urgente è avere i dati precisi, che allo stato anche l’Istituto superiore di sanità valuta ancora insufficienti, su cui costruire decisioni politiche”.
Sgambato, senza entrare in polemica con la ministra che ha detto ai suoi di sentirsi “tradita dal Pd”, sta dalla parte dei governatori: “Come bene ha affermato il segretario Zingaretti oggi è sbagliato sottovalutare la pandemia. Noi dobbiamo riportare i ragazzi in classe, ma è indispensabile farlo in sicurezza, sia per evitare di dover richiudere, sia per la salute degli studenti, dei docenti e delle loro famiglie. Chiudere le scuole è una misura dolorosissima, ma la politica deve avere l’autorevolezza di spiegare ai cittadini che, di fronte ad una curva dei contagi che sale anche significativamente, abbassare la guardia è semplicemente sbagliato. Piuttosto dovremmo seguire l’esempio della regione Lazio che ha predisposto un canale preferenziale per i tamponi agli studenti, rendendoli gratuiti e immediatamente effettuabili, senza nemmeno prescrizione medica”.
E in merito alla retromarcia fatta da alcuni presidenti, come Bonaccini, Sgambato chiarisce: “Il governo ha dato ai presidenti di Regione il compito di monitorare la situazione nei territori e adottare le misure più opportune per le loro comunità. Le regioni hanno fatto le loro valutazioni, stando sul campo, avendo ben chiare le necessità ed il polso della situazione. Hanno competenza locale a livello di gestione e prevenzione della pandemia, e dunque, così come è avvenuto negli scorsi mesi, hanno ritenuto di rinviare l’avvio delle lezioni”.