Non ho un buon rapporto con Vasco Rossi. Cioè, a me piace molto, ma nel 2012 scrissi un libro di critica musicale su di lui e non la prese benissimo. Detto questo, credo che negli ultimi anni sia tornato a scrivere canzoni molto belle.
Grandissimo, praticamente il migliore negli anni Ottanta, dalla metà dei Novanta e per una quindicina d’anni la sua vena è stata un po’ appannata. Credo che negli ultimi sia felicemente tornata l’ispirazione, e che ci sia una precisa canzone che sancisca la rinascita definitiva del miglior Vasco Rossi: Come nelle favole, del marzo del 2017.
Non è solo una bella canzone, è una prova di aderenza tra l’arte e la vita, uno slancio di autenticità di un uomo maturo, che fa svettare la credibilità della voce, come in Siamo solo noi o Vivere, che identificavano una comunità di persone negli anni Ottanta o il grido di Stupendo di metà anni Novanta. Come nelle favole è il brano che ci ricorda che quando Vasco riesce a intercettare i momenti giusti di vita – sua e di tutti – da sublimare in canzone, non ce n’è per nessuno.
È da quel brano che nasce Una canzone d’amore buttata via, la protagonista di #canzonidellanno di oggi. Ne è la naturale prosecuzione, un approdo felice, una delle più belle canzoni del terzo millennio. Declina, in versi sempre più scarni, quell’amore maturo che non può giovarsi dello slancio dei vent’anni e della follia scapigliata dell’innamoramento.
Dice bene uno dei principali conoscitori dell’universo di Vasco, Michele Monina, quando afferma che in questa canzone il cantautore espone “la sua volontà di essere al fianco della sua donna nonostante errori e scuse, e soprattutto nonostante la presa di coscienza, molto attuale, di non essere in grado di difenderla e proteggerla”. È il Vasco che rintraccia la vita nel filo sottile della sua scarna essenza, delle colpe e delle assoluzioni, ma mettendo sempre tutto sul piatto, senza l’ipocrisia del velo pesante di troppo pop sdolcinato.
Basterebbe concentrarsi sui due verbi intorno ai quali ruotano le prime strofe, “difendermi” e “proteggerti”: parole che Vasco scandisce nelle sillabe, e che poi evolvono in “nascondermi” e “riconoscermi”. Vasco dedica a questi termini una nicchia armonica sulla relativa minore, in cui la voce indugia, si appoggia e dentro la quale la musica sprigiona tutta la loro forza semantica.
Partiamo da “proteggerti”. Questo 2020 in tutti noi ha evidenziato uno degli aspetti più importanti dell’amore, cioè l’istinto protettivo verso le persone che amiamo. La sensazione di non riuscire a proteggerle è stata ed è ancora forte, prepotente, straziante.
Vengono fuori in poche parole tutte le difficoltà in cui rispecchiarsi di questo periodo: le convivenze forzate, i problemi economici, le insicurezze che di certo non fortificano i rapporti di coppia. Vasco canta la forza di resistere a questa precarietà, perché ne valga la pena. Come sempre, Vasco è più facile comprenderlo che spiegarlo, è questa la sua forza. Ecco perché per certi versi è il migliore.
Poi c’è il verbo “difendermi”, per parlare del quale chiudo con un accostamento. Questa canzone mi fa pensare a Piero Ciampi. Non so se sia un artista amato da Vasco; assieme a Jannacci, però, forse è il cantautore storico a cui è, per certi e determinati aspetti, più vicino. Perché? Perché uno dei punti forti della poetica di Vasco, che lo renderanno sempre credibile, è il fatto di assumersi le proprie responsabilità.
Lo spiego con una storia, in cui c’è di mezzo il Premio Tenco. No, non quello che recentemente – e finalmente – Vasco ha ricevuto nel 2020. Parlo dell’edizione del 1976. Ciampi è sul palco ed esegue un monologo in stato evidentemente alterato dall’alcol; dalla platea si alza una voce di scherno nei suoi confronti. Lui, quasi immediatamente, risponde: “Taci! Se tu vuoi parlare vieni qua. Io rischio, tu no”.
È la forza dei tre puntini di sospensione del titolo Nessun pericolo… per te. È l’atteggiamento a garanzia dell’autenticità, ed è presente anche in Una canzone d’amore buttata via. Come Ciampi, Vasco ha il coraggio di raccontare la vita ai minimi termini, compresi gli sbagli di cui si assume la responsabilità. Sbagli che sono di tutti. Bene, ora però quest’ultima canzone fa un passo in più.
Siccome quegli sbagli sono di tutti, negli anni le canzoni e i concerti di Vasco sembravano vere e proprie (auto)assoluzioni dispensate dal palco. Anche in questo risiede il suo successo. Non lo dico io per primo, basterebbe rileggere alcune pagine illuminanti di Edmondo Berselli.
La maturità di Una canzone d’amore buttata via sta nel fatto che all’assunzione di responsabilità è contestuale una richiesta di perdono: matura, umana, empatica, disgraziatamente commovente. È certamente intima, rivolta forse verso l’unica persona che merita uno sforzo simile, verso qualcuno che davvero non si vuole perdere. Ma, così com’è, dopo Come nelle favole del 2017, è anche qualcosa di coerente, potente e direi – con questa pienezza – anche inedita nella sua poetica.
Bentornato Vasco, il 2021 non poteva iniziare meglio musicalmente.