Ambiente & Veleni

Disastri naturali, 2020 da record: si dovrebbe spendere per prevenire. Altro che Ponte sullo Stretto

Munich Re ha pubblicato in questi giorni l’annuale rapporto informativo sui disastri naturali. In estrema sintesi, il pianeta ha sperimentato nel 2020:

1. Il record degli uragani – mai registrati tanti eventi nel Nord Atlantico.

2. Record degli incendi, focalizzati soprattutto negli Stati Uniti occidentali.

3. In tutto il mondo, i disastri naturali hanno prodotto perdite per 210 miliardi di dollari, di cui 82 soltanto coperti da assicurazione.

4. Le inondazioni in Cina sono state responsabili del danno più elevato a livello nazionale, 17 miliardi di dollari, di cui solo il 2 per cento era assicurato.

5. Cinque anni dopo l’accordo di Parigi sul clima, il 2020 si avvia a essere il secondo (o il primo?) anno più caldo degli ultimi due secoli.

Munich Re non è un’associazione ambientalista, ma una delle maggiori compagnie di riassicurazione del mondo, fondata 140 anni fa, che capitalizza circa 34 miliardi di euro. In fondo, 210 miliardi sono una cifra modesta, soltanto il 2,5 per mille del Pil mondiale; anche se non trascurabile per la capitalizzazione dell’insieme delle compagnie di riassicurazione. Un danno comunque trascurabile, se paragonato alla perdita economica prodotta dalla pandemia, valutata dal Fondo Monetario dell’ordine del 3 per cento del Pil, circa 2.400 miliardi.

Pongo una riflessione, magari sbagliata; forse inappropriata, se non inutile. L’ultima grave pandemia fu la Spagnola: se il mondo poteva finora temere una pandemia al secolo, doveva contabilizzare una perdita secca ogni 100 anni. Se ogni anno l’umanità dovrà piangere 200 miliardi di danni, a scala secolare l’umanità può aspettarsi un danno economico paragonabile a quello di 5 o 10 pandemie.

L’impatto di una pandemia è certamente più diffuso e capillare di quello dei disastri naturali. E, certamente, la pandemia interviene più profondamente a livello emotivo, più crudelmente per l’enorme tributo di vittime, più intensamente sul destino individuale e collettivo. A scala globale, però, i disastri naturali possono gravare sull’umanità almeno quanto una pandemia, se non più.

Misure di mitigazione dei disastri naturali e strategie di adattamento dovrebbero entrare con più forza nell’agenda di chi governa l’Europa. Al momento l’Unione pianifica un vasto impegno economico pubblico sul lungo periodo. L’anno scorso, l’Europa è stata risparmiata. Il danno è valutabile in “soli” 12 miliardi di dollari, più di un quarto coperto da assicurazione. Oltre ai terremoti croati, i disastri europei più costosi sono stati quelli registrati in Francia e Italia, soprattutto a causa dell’impatto al suolo delle tempeste mediterranee. Non sarà sempre così.

L’Europa sta contraendo un debito enorme per rinascere. È un contratto stipulato a nome e per conto delle generazioni future che lo dovranno onorare – e nessuno chiede loro se sono d’accordo. Non sarebbero soldi mal spesi quelli dedicati a ridurre la futura gabella dei disastri che colpiranno i futuri debitori.

E pazienza se gli eredi dovranno traghettare tra Messina e Reggio Calabria, e viceversa. Senza l’ebbrezza di scorrazzare sul Ponte dei desideri lûveghi che infiamma nuovamente la politica italiana (lûveghi è una parola genovese, ma non trovo termine italiano più adatto). Com’è stato possibile che la mistica del Ponte sullo Stretto sia resuscitata come l’araba fenice con la pandemia? Capirlo sarà una dura sfida per i nipoti dei nostri nipoti che si cimenteranno nella storiografia.

Se, assieme al risparmio sui disastri, i nuovi italiani potessero contare su maggiore istruzione, migliore educazione e profili culturali meno imbarazzanti dei contemporanei, sono convinto che i nostri eredi non soffrirebbero troppo per l’inquietante assenza del Ponte. Siamo il paese più ignorante dell’Ocse, che non si esime da farlo notare ogni anno nel suo rapporto.

Forse per questo l’abuso della credulità popolare da parte dei potenti non è mai stato tanto efficace quanto lo sia diventato oggi. E sono gli stessi potenti che hanno predicato la crescita senza saperla praticare con successo, condannando il paese alla decrescita infelice degli ultimi 10 anni.