L'ex segretario del Pd, oggi in Leu, sostiene che "chi lavora per rottamare ha in testa qualcosa d’altro. È lecito, ma non in una situazione del genere". Specie in vista delle sfide che attendono l'esecutivo, dai ristori al blocco dei licenziamenti. La caduta dell'esecutivo, avverte, "vuol dire una cosa semplice: un paio di mesi in cui non si può decidere niente"
Per Pier Luigi Bersani, che di crisi di governo ne ha viste e vissute tante durante la sua esperienza in politica, la diatriba tra Renzi e la maggioranza che oggi potrebbe arrivare all’epilogo è un “teatro dell’assurdo in una situazione drammatica, sia per la pandemia che per l’economia”. L’ex segretario del Pd, oggi in Liberi e uguali, intervistato a Oggi è un altro giorno su Rai1 si chiede: “La crisi era sul Recovery plan? Ora dicono che lo approvano, ma fanno anche la crisi” puntando “una pistola alla tempia del governo”. La crisi allora “su che cos’é?”. Siamo a “livelli di irresponsabilità molto, molto seri”, commenta, per poi prendersela direttamente con il leader di Iv. “L’unica spiegazione è che questa manovra risponda a interessi di un ceto, che esiste, quelli sempre a galla, quelli che qualsiasi cosa sono sempre a galla. Quelli che invece sono con l’acqua qui, di sinistra, destra, centro, non la vogliono una crisi”.
Bersani ammette che Conte “non le azzecca tutte”, ma “chi lavora per rottamare ha in testa qualcosa d’altro. È lecito, ma non in una situazione del genere”. Soprattutto perché, aggiunge, innescare la caduta dell’esecutivo “vuol dire una cosa semplice: un paio di mesi in cui non si può decidere niente“. Eppure le sfide che aspettano il Paese nelle prossime settimane non permettono ritardi: non solo il Recovery, ci sono anche “lo scostamento di bilancio, i ristori, il blocco dei licenziamenti”, le vaccinazioni. “Ne abbiamo viste tante“, chiosa l’ex segretario, “ma una crisi senza aggettivi come questa non l’abbiamo mai vista”.
Alla domanda su quali scenari potrebbero aprirsi in caso di frattura tra Iv e il resto della maggioranza, Bersani ha le idee chiare: “Dopo Conte ci può essere Conte. Non perché sono contiano, ma perché è un punto di equilibrio nel palazzo e nel Paese e non vedo che via lui ci possa essere una soluzione”, dice su Rai1, ricalcando la linea dei colleghi della sinistra, del Pd e pure del Movimento 5 stelle. “Se fossi Conte”, ragiona, “in caso di dimissioni” delle ministre renziane in Cdm, “andrei in Parlamento con il Recovery, non mettendo la fiducia, sulle cose da fare per gli italiani”. E durante il discorso in Aula “Renzi non lo citerei nemmeno”. Sul tavolo, conclude, non c’è alcuna ipotesi di governissimo. “Abbiamo una destra che ha scelto una strada diversa. O torna Conte o si va a votare, che è un disastro. Trovo demenziale immaginare 3-4 mesi di stallo per avvicinarsi alle elezioni”.