Non solo turni massacranti e il rischio di contagio che accompagna da mesi le giornate lavorative. Una parte dei medici italiani ricorderà il 2020 come l’anno delle discriminazioni. Si tratta dei quasi 10mila medici della sanità privata esclusi dal rinnovo del contratto firmato in ottobre alla presenza del Ministro della Salute Roberto Speranza. Quell’accordo ha coperto gli addetti non medici del settore privato. Ma se gli ospedali religiosi, riuniti nell’associazione Aris, hanno ratificato l’accordo per tutte le categorie, quelli laici dell’Aiop non hanno firmato la parte che riguarda i medici. Per le aziende il problema è puramente economico: nonostante l’aiuto delle Regioni, che copriranno il 50% della spesa sostenuta per l’aumento degli stipendi dei non medici (in media 154 euro al mese), l’Aipo dice di non avere risorse sufficienti anche per i medici. “Quando ho ricordato il disagio sopportato in questi mesi e la morte di tanti colleghi nell’emergenza Covid, mi è stato risposto che il danno lo hanno avuto le aziende e non i medici”, racconta Carmela De Rango, segretaria nazionale del Cimop, la Confederazione italiana dei medici dell’ospedalità privata. “Sono rimasta senza fiato. Hanno messo il profitto al di sopra della vita umana, è una vergogna”.
Nella sanità privata lavorano oltre 9mila medici dipendenti. Circa il 70% è impiegato nelle 550 strutture rappresentate da Aiop e ora si trova escluso da questo rinnovo. Una discriminazione all’interno della categoria, quando il contratto mirava proprio a colmare il gap con i colleghi della sanità pubblica. Innanzitutto per quanto riguarda il reddito: “Tra pubblico e privato la differenza di retribuzione arriva fino al 50%”, spiega De Rango. “Un medico al primo ingresso nella sanità privata guadagna meno di 40mila euro contro i 62mila del pubblico, dove tra l’altro lo stipendio è integrato da diverse indennità. Per le posizioni di vertice si passa dai 60mila euro del privato ai quasi 100mila del pubblico”.
La mediazione con le associazioni aveva permesso di ridurre di un terzo questa differenza, anche grazie all’impegno delle Regioni che hanno aumentato la quota di spesa per il personale degli ospedali privati. Un intervento da 150 milioni di euro che coprirà metà dell’aumento per i non medici. Per i medici le Regioni non hanno stanziato risorse e Aiop non ha ratificato quella parte dell’accordo: “Il loro problema è economico, vogliono risorse aggiuntive per coprire anche il nostro contratto. Noi chiediamo alle Regioni di intervenire con forza, senza escludere la revoca dell’accreditamento a chi si rifiuta di rinnovare contratti vecchi di 15 anni. Le istituzioni hanno il dovere di vigilare sulla sanità privata che riceve soldi pubblici”.
Per convincere Aiop a sottoscrivere il contratto la Cimop ha proclamato uno sciopero per il 28 gennaio. Quel giorno, Covid permettendo, i medici manifesteranno a Roma anche per chiedere una totale equiparazione rispetto ai colleghi della sanità pubblica, non solo per quanto riguarda gli stipendi. “La maggior parte delle aziende private sono accreditate con il Servizio sanitario nazionale e l’emergenza Covid ha dimostrato che la nostra operatività è di fatto la stessa, come compiti e responsabilità professionale”, spiega De Rango. “Facciamo le stesse cose, ma dal punto di vista dell’inquadramento e dei titoli il trattamento è completamente diverso. La gran parte dei medici del privato non può accedere ai concorsi per le posizioni apicali del pubblico perché i titoli non sono equiparati. E’ possibile farlo per i concorsi di prima fascia, ma in questo caso l‘attività svolta in un ospedale privato viene calcolata solamente per un venticinquesimo”. Per l’equiparazione di titoli e carriere serve un intervento legislativo: “Lo Stato ci utilizza per curare i pazienti Covid ma poi non ci garantisce lo stesso riconoscimento su titoli e retribuzione. Non ci stiamo a essere trattati come medici di serie B”.