Dalla rubrica LoDicoAlFatto di oggi, pubblichiamo la versione integrale della testimonianza di un genitore su San Patrignano e la sua opinione su SanPa, la serie Netflix sulla comunità di Vincenzo Muccioli
di Francesco Faina
A “SanPa” è andato mio figlio quando aveva sedici anni. Avevamo visto altre comunità, sentito i pareri contrari di alcuni terapeuti, visitato altre colline, superato altre soglie.
Però San Patrignano ci sembrava la più adatta: un percorso lungo, un pezzo di vita nuova, nessuna comfort zone possibile. Nessuna vendetta per quel ragazzo magro e ladro di oggetti, di affetti e di se stesso, ma la consapevolezza che passando solo dal lavoro duro su se stessi, non per questo forzato, avrebbe potuto salvarsi. Perché quando avevo a che fare con lui, avevo a che fare con un tossico, in quel periodo. Era la sua dipendenza a ‘agirlo’ e non volevo nessuna complicità con lei.
Quando è entrato, una mattina di luglio, faceva tenerezza. Era un coglioncello perso, una gocciolina d’acqua sul vetro della finestra, una cosa in caduta libera senza gravità apparente. Ci accolsero due responsabili, facemmo due chiacchiere mantenendoci, noi, falsamente tranquilli e sicuri dei passi futuri, falsamente sereni in quel distacco, come fosse una cosa normale lasciare un figlio senza più rivederlo a breve. Vennero due ragazzi, uno di loro era “l’angelo custode”, colui che sarebbe stato incollato al culo di mio figlio h24 per i mesi a seguire. Se ne uscì con loro, lo salutammo e poi uscimmo da quell’edificio di ingresso pieno di ragazze e ragazzi indaffarati, di telefoni che squillavano, di altre persone che entravano o uscivano senza vedere o sapere come era fatto il posto in cui sarebbe vissuto lui per i giorni a venire.
Lo abbiamo rivisto dopo un anno circa. Nel frattempo frequentavamo l’Anglad, l’associazione dei genitori dei ragazzi e delle ragazze della comunità che si occupa di loro, i genitori appunto. Sì, perché se loro, i figli, fanno un percorso che li cambierà è importante che anche loro, i genitori, cambino, riflettano sul rapporto che avevano o sull’amore velenoso o avvelenato che li univa.
Quel giorno mio figlio si presentò tutto contento. Avevo lasciato un ragazzino perso e avevo davanti mio figlio, luce, sorriso, bocca, occhi, parole, pensieri riconoscibili. Piansi molto ma sorrisi molto anche. Ci portò a vedere la comunità, i settori, a farci conoscere le persone. Ad ogni settore che visitavamo, il o la responsabile ci accoglieva e ci spiegava cosa facevano: falegnameria, tessile, formaggi, pane. Mio figlio ci portò alle chimiche, il settore dove lavorava. Erano tutti molto gentili, accoglienti, chiacchieroni e disponibili allo sguardo che indaga.
Camminavamo con lui e con il suo angelo custode, un ragazzo delizioso che ora è padre.
Andammo a mangiare nel grande salone comune. Provate voi a stare con altre 1.300 persone, in silenzio, prima di sedersi a tavola. Un respiro comune, un silenzio spesso e denso, una energia incredibile. E’ il respiro di 1.300 persone che lottano tutte, chi più chi meno, per uscire dalla droga, per disabitarsi, allontanarsi da quella compagnia orribile, per recuperare se stessi. Non un se stesso preordinato, non un fantoccio pieno di idee altrui: se stessi, i propri sogni, i propri desideri.
Quando la sera uscimmo, abbracciai al cancello mio figlio. Avevamo occhi pieni di lacrime e di gratitudine, cuori che rimbalzavano nel petto e la consapevolezza che era la strada giusta, per noi, per lui. Mio figlio è uscito da SanPa dopo quattro anni. Quando è tornato a casa aveva la forza del mare e voglia di fare, non di farsi. Aveva imparato un mestiere, a SanPa, ma aveva anche imparato a stare in piedi, a camminare facendo il suo percorso, costruendolo volta per volta.
Da allora non l’ho più perso. Nonostante i miei errori e i suoi, siamo ora due persone adulte con le loro fragilità e i loro piccolissimi eroismi. Sono pieno di meraviglia e ammirazione per lui.
Quindi SanPa, la serie SanPa, e la comunità, che si dissocia.
L’ho vista la serie. E’ davvero ben fatta, costruita benissimo, sicuramente onesta negli intenti. Basati sul racconto dei protagonisti, di alcuni, sul racconto dei fatti. Di alcuni. Io non ho conosciuto Muccioli, né il padre, né il figlio. Posso quindi credere che la figura che ne esce, dalla serie, corrisponda al vero: una persona che incontra una missione ponendosi al centro e facendolo coincidere con il centro degli altri. Posso capire la lettura che ne fa Selvaggia Lucarelli, posso capire il fastidio, il mio stesso fastidio nel sentire e vedere un super-padre giocare con la matita e con l’anello, questo bisogno ossessivo di difendere la comunità e quindi se stesso da ogni sbavatura, sento la forzatura di certi suoi discorsi, vedo e intuisco le crepe e gli strappi e non giustifico i morti, le botte, la violenza e forse la complicità che permetteva quelle azioni.
Vedo però anche il contesto in cui tutto questo accadeva, conosco – per fortuna in maniera marginale – quanto possa essere disperante avere un figlio tossico in casa, la paura continua, la violenza, l’ansia e l’angoscia e quindi il bisogno lacerante di una soluzione a tutto quel dolore.
Quello che ha permesso la nascita della Comunità che ha salvato mio figlio, che ha aiutato mio figlio a salvarsi, esce dal racconto di quell’uomo così chiaroscurale, che si credeva un santone, che si comportava da padreterno, che comprava cavalli costosi, che forse è complice di un crimine, forse è gay, forse è morto di Aids. Quest’uomo così sapientemente dipinto, così funzionalmente dipinto per essere il centro di una serie che non porta il suo nome, come dovrebbe, ma il nome di ciò che ha creato e che tuttora vive ed è attiva.
Se si decide di puntare la luce su un fatto si deve essere consapevoli che la luce, per sua stessa natura, porta con sé altre ombre. L’accento su una lettera o su un’altra, l’uso di una virgola nel posto sbagliato condizionano il senso di una frase. La frase è la stessa, sono quelle le parole, ma la lettura, il senso è un altro.
Ecco, la serie SanPa ha forse questo limite, una lettura bidimensionale che fa finta di non avere priorità, che eternizza i tempi senza concluderne la prospettiva. Chi oggi conosce SanPa la vive e la giudica per quello che è riuscita negli anni a fare ed essere, anche e soprattutto grazie a Muccioli, e la gratitudine infinita che ognuno di noi ha provato e prova per la Comunità resta intatta oltre ogni ulteriore e possibile ricordo. E anche questo è vero.