Secondo gli investigatori della procura di Palermo, il gruppo offriva anche "sostegno elettorale ad un inconsapevole onorevole eletto all’Assemblea regionale Siciliana con l'aspettativa di ricevere favori". Le richieste riguardavano soprattutto le assunzioni
I carabinieri del comando provinciale di Agrigento hanno eseguito 35 provvedimenti cautelari, di cui 11 arresti in carcere e uno ai domiciliari per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso. L’operazione, denominata Oro bianco, è coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Guido, e dei sostituti Calogero Ferrara, Pierangelo Padova, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo. Fra gli arrestati Rosario Pace, considerato il capo, e il consigliere comunale di Palma di Montechiaro Salvatore Montalto. Tra i tentativi di estorsione svelati dall’indagine dei carabinieri ci sarebbe quello ai danni del gruppo di imprese che si è aggiudicato un appalto da due milioni e trecento mila euro nell’ambito del “Contratto di quartiere”.
In manette sono finiti anche fiancheggiatori del boss Giovanni Brusca, appartenenti alla famiglia Stiddara che uccise il giudice Rosario Livatino. Le indagini sono state condotte dal Reparto Operativo del Comando provinciale Carabinieri di Agrigento. Il gip ha emesso 12 misure cautelari, 11 in carcere e una agli arresti domiciliari, e 23 avvisi di garanzia. Nel corso delle perquisizioni inoltre sono stati sequestrati 70mila euro.
Il centro dell’indagine è Palma di Montechiaro. Secondo gli inquirenti al vertice del clan c’era Rosario Pace, 60 anni, il cui cugino, Domenico, è responsabile dell’omicidio del giudice Livatino commesso nel 1990. Tornano anche nomi collegati ai gruppi storici di Calafato e Benvenuto. Appalti e politica negli interessi del gruppo criminale, ma anche droga, rapine e estorsioni. “Vedi cosa devi fare, ora c’è la festa e festeggiamo tutti- si ascolta in un’intercettazione – Gli vado a dare fuoco, gli puoi anche far cadere i denti”. Gli interessi del gruppo si estendevano anche sui servizi funebri, gestiti proprio da due appartenenti al sodalizio con il ruolo di soldati. In alcuni casi persone sono state obbligate ad assegnare a due ditte diverse lo stesso funerale.
Nel corso dell’indagine, a Favara, ha assunto un ruolo cardine Giuseppe Blando, 57 anni, anello di raccordo tra Cosa Nostra palermitana e gli stiddari di Palma di Montechiaro, colpito da misura per la sua capacità di intermediare per grosse quantità di cocaina, eroina e hashish, interagendo con i palermitani e i calabresi. Giuseppe è fratello del più noto Domenico, arrestato nel maggio del 1996 assieme alla moglie, entrambi favoreggiatori della latitanza di Brusca.
Al centro dell’inchiesta non ci sono anche i legami con la politica. Sia a livello locale, con l’elezione di un consigliere comunale, ma anche a livello regionale. Il clan ha eletto Salvatore Montalto al consiglio comunale di Palma di Montichiaro. Elezione che per i pm è stata possibile “grazie all’apporto determinante degli altri membri del parraco”. “Si vota fino alle 11 e poi contiamo; – si sente nelle intercettazioni – porta un normografo per un’analfabeta; minimo 450 voti deve prendere; alla sezione X siamo avanti;tutti li devo tagliare quelli che non rispondono”, si sente tra le intercettazioni.
Secondo gli investigatori, il gruppo offriva anche “sostegno elettorale ad un inconsapevole onorevole eletto all’Assemblea regionale Siciliana con l’aspettativa di ricevere favori”. Le richieste riguardavano soprattutto le assunzioni. “Hanno telefonato per confermare nome e cognome – è il contenuto di un’intercettazione – Fai arrivare il curriculum“. Le segnalazioni giungevano quindi “a influenti rappresentanti della politica e delle istituzioni locali ottenendo rapidamente le risposte desiderate”.