“Nessuna ipotesi di reato” sulla scomparsa dei dispositivi con i file d’indagine sul latitante Matteo Messina Denaro, custoditi all’interno dell’ufficio del pm che gli dava la caccia. Così la Procura di Palermo ha archiviato l’indagine scaturita da una relazione di servizio a firma del finanziere Calogero Pulici, per anni applicato alla segreteria dell’allora procuratore aggiunto della Dda, Teresa Principato. Si tratta di “un computer portatile da 10 pollici” e “due pendrive da 1 giga ciascuna”, in cui erano memorizzate informative, interrogatori di collaboratori di giustizia e verbali “coperti da segreto istruttorio e attuale”. La segnalazione dell’appuntato della Guardia di Finanza risale al 2015, ma è emerso soltanto alcuni anni dopo, nel corso del processo in cui Pulici e il pm Antimafia sono stati imputati e assolti dalla corte d’Appello di Caltanissetta. “L’indagine è stata archiviata dalla Procura, che ha deciso di adoperare la formula degli atti non costituenti notizie di reato, che permette di archiviare senza passare dal gip“, dice l’avvocato Francesco Caldarella, legale del finanziere.
La scomparsa dei supporti informatici – di cui recentemente ha parlato anche Report durante la puntata speciale sulla Trattativa Stato-Mafia – si inserisce all’interno di una tempesta giudiziaria che in questi anni ha colpito l’appuntato Pulici, allontanato dalla Procura nei primi di settembre 2015 e travolto da indagini e processi poi finiti in assoluzione. Il finanziere – pochi giorni dopo l’allontanamento – chiese di poter recuperare i suoi dispositivi dall’ufficio del pm Principato e nello specifico “un computer portatile di 10 pollici di mia proprietà ed esclusivamente usato per svolgere attività istruttorie come copia di backup dei file ove sono contenuti tutti gli interrogatori effettuati da me e dalla dottoressa Principato a numerosissimi collaboratori di giustizia tra cui Tuzzolino Giuseppe, e di n.2 pendrive da 1 gb ciascuna contenenti una i file riguardanti tutte le indagini su Messina Denaro ed una contenente tutte le indagini effettuate in Italia ed all’estero sulle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia nonchè di altri miei effetti personali e di servizio utilizzati per trasferire i file tra i pc dell’ufficio (il mio e quello della Principato)”.
Nel dicembre 2015 Pulici venne autorizzato, ma durante un accertamento “alla presenza dell’assistente di nome Rita, che per adesso collabora con la dottoressa (Principato, ndr) abbiamo prelevato la scatola contenente il pc che era custodita nella libreria e dopo averla aperta ci siamo resi conto che il pc non era più conservato all’interno”, si legge in una relazione di servizio firmata l’11 dicembre da Pulici. “Dal portapenne era stato asportato un mazzo di chiavi legate con un anello metallico al quale erano ancorate anche le pendrive nelle quali erano riversati i file dal computer della dottoressa”, aggiunse nella relazione inviata al comando provinciale della Finanza. “Avvisata la dottoressa (Principato, ndr) del mancato ritrovamento di quanto sopra esposto e su suo consiglio veniva contattato il signor Francesco Petruzzella, responsabile del settore informatico della Procura” per capire se avesse prelevato pc e pendrive, “ricevendone risposta negativa”. La relazione di servizio fu poi trasmessa alla Procura di Palermo.
In questi giorni il pm Francesca Dessì, rispondendo alle richieste del legale di Pulici, ha precisato che “la relazione è stata iscritta al procedimento n. 123/2016 R.G – mod.45 di cui è stata disposta la trasmissione in archivio non essendo emersa alcuna ipotesi di reato”. Inoltre nessuna delle persone citate negli atti è stata interrogata. “Tutto ciò che era nel mio computer era anche nel computer di Pulici – disse l’aggiunto Principato ai pm di Caltanissetta il 9 ottobre 2017 – poiché io sentivo tutti i testi con lui, per le capacità dimostrate nel verbalizzare correttamente e sinteticamente il pensiero delle persone escusse”. Ma anche altri documenti riservati, come un file excel in cui erano riportate tutte le utenze telefoniche dei complici di Messina Denaro, compresi alcuni insospettabili, intercettate dal 1993 ad ora. “È singolare che un episodio così rilevante sia rimasto senza notizia di reato – conclude l’avvocato Francesco Caldarella – così come è strano che i pm non abbiamo attivato la Procura di Caltanissetta (responsabile sui magistrati del distretto palermitano, ndr) essendo l’ufficio competente in casi come questo”.
“È estremamente anomalo che un fatto così delicato e certamente costituente reato, quantomeno come furto, sia stato iscritto tra quelli privi di reato”, il commento dell’ex pm del processo Trattativa Antonio Ingroia., che si dice “stupito” per la decisione del pm. La conseguenza è infatti l’archiviazione “in via amministrativa“, senza che la vicenda possa essere sottoposta “al vaglio del gip, che avrebbe potuto rigettare la richiesta, disporre nuove indagini o una trasmissione degli atti a Caltanissetta per competenza funzionale, come è accaduto diverse volte quando ero in servizio a Palermo”. Ingroia, che oggi indossa la toga d’avvocato, ritiene che l’episodio “sia facilmente ricollegabile alla Trattativa e singolari entrature al palazzo di giustizia, perché è preoccupante pensare che qualcuno sia entrato nella stanza di quel procuratore aggiunto, che coordinava la caccia al latitante, e abbia prelevato questi supporti sensibili”.