Chiariamolo subito: Peter Doshi non è un NoVax. Professore di ricerca sui servizi sanitari farmaceutici dell’Università del Maryland è semplicemente uno scettico. Ma lo è stato fin dall’inizio dei test sui vaccini anti-Covid, criticando protocolli e dichiarazioni da parte delle aziende e firmando anche un articolo sul New York Times. Ora allo scienziato non bastano due paper, 400 pagine zeppe di dati e le relazioni inviate alla Food and drug administration (FDA), l’agenzia americana che regolamenta i farmaci, per convincersi che gli innovativi vaccini anti-Covid, quello di Pfizer-BioNTech e quello di Moderna, siano la soluzione a questa pandemia. Doshi vuole maggiori dettagli e soprattutto i dati grezzi. Durante l’attesa, e mentre ormai sono sempre di più le persone che continuano a essere vaccinate contro il Covid-19, lo scienziato lancia una “bomba” e lo fa scrivendo nella sezione “opinion” del prestigioso British Medical Journal. In pratica, Doshi mette in dubbio l’efficacia dei due vaccini stimata dalle aziende intorno al 95 per cento. Una perplessità a fronte delle meticolose analisi di dati che gli enti regolatori utilizzano sempre nei confronti dei farmaci con verifiche dai lotti alle cartelle cliniche, una per una, dei volontari sottoposti a sperimentazione.
Il nodo della questione, secondo l’editor del BMJ, sono i casi Covid-19 “sospetti”. Pfizer ha riportato 170 casi di Covid-19 confermati con il tampone molecolare, suddivisi in 8 nel gruppo dei soggetti vaccinati e 162 tra coloro assegnati al placebo. Tuttavia, secondo Doshi, questi dati non tengono conto di una categoria importante del campione e cioè i “sospetti Covid-19”, cioè soggetti con i sintomi dell’infezione non confermati positivi al tampone. Secondo il rapporto della FDA sul vaccino della Pfizer, ci sono stati 3410 casi totali di ‘Covid-19 sospetti’ ma non confermati nella popolazione complessiva dello studio e di questi 1594 si sono verificati nel gruppo vaccino contro 1816 nel gruppo placebo. “Con 20 volte più casi sospetti rispetto a quelli confermati, questa categoria di malattia non può essere ignorata semplicemente perché non c’è stato un risultato positivo del test PCR”, scrive Doshi. “Anzi, questo rende ancora più urgente capire. Una stima approssimativa dell’efficacia del vaccino contro lo sviluppo di sintomi di Covid-19, con o senza un risultato positivo del test PCR, sarebbe una riduzione del rischio relativo del 19 per cento”, aggiunge. Quindi una percentuale di efficacia molto al di sotto della soglia del 50 per cento necessaria per ricevere l’autorizzazione dalle autorità. “Anche dopo la cancellazione dei casi verificatisi entro 7 giorni dalla vaccinazione (409 sul vaccino Pfizer vs 287 sul placebo), che dovrebbe includere la maggior parte dei sintomi dovuti alla reattogenicità del vaccino a breve termine, l’efficacia del vaccino rimane bassa: 29 per cento”, aggiunge Doshi. Se infatti molti o la maggior parte di questi “casi sospetti” riguardassero persone che avevano avuto un risultato falso negativo al tampone, questo ridurrebbe drasticamente l’efficacia del vaccino.
Insomma, secondo lo scienziato i dati lascerebbero aperta alla possibilità che il vaccino non sia efficace al 95 per cento come annunciato, ma solo al 29 per cento. Un’ipotesi, questa, dai toni provocatori e che non ha raccolto neanche un parere concorde da parte della comunità scientifica. Quello che chiede Doshi è chiarezza che potrebbe essere preda però delle cattive interpretazioni in un momento delicatissimo. “C’è una chiara necessità di dati per rispondere a queste domande, ma il rapporto di 92 pagine di Pfizer non menzionava i 3410 casi di ‘sospetto Covid-19’. Né la sua pubblicazione sul New England Journal of Medicine. Nemmeno nessuno dei rapporti sul vaccino di Moderna. L’unica fonte che sembra averlo segnalato è la revisione della FDA del vaccino della Pfizer”, scrive lo scienziato. Vale la pena ricordare che il test PRC – utilizzato nella sperimentazione come del resto dalle autorità sanitarie – ha una sensibilità e specificità pari al 95%, quindi ritenuto altamente affidabile.
Un altro motivo per cui, secondo Doshi, abbiamo bisogno di più dati è per analizzare un dettaglio inspiegabile trovato in una tabella della revisione della FDA del vaccino P371 individui esclusi dall’analisi di efficacia per “importanti deviazioni del protocollo entro o prima di 7 giorni dopo la dose 2”fizer: . “Ciò che preoccupa è lo squilibrio tra i gruppi randomizzati nel numero di questi individui esclusi: 311 dal gruppo del vaccino contro 60 del placebo”, evidenzia Doshi. “Quali erano queste deviazioni dal protocollo nello studio di Pfizer e perché c’erano cinque volte più partecipanti esclusi nel gruppo del vaccino?”, chiede lo scienziato. “Il rapporto della FDA non lo dice, e queste esclusioni sono difficili da individuare anche nel rapporto e nella pubblicazione della rivista”, aggiunge.
Altro dubbio riguarda l’assunzione di farmaci contro dolore e febbre che potrebbero aver “mascherato” i sintomi di Covid-19. D’altro canto gli stessi farmaci potrebbero esser stati assunti per tenere a bada i classici disturbi provocati dalla vaccinazione, come febbre e mal di testa. Così come sono stati disegnati gli studi è difficile discernere i reali motivi di utilizzo dei farmaci. Allo stesso modo sono stati messi in dubbio i processi dei comitati di aggiudicazione dell’evento primario che hanno contato i casi Covid-19. “Sono rimasti all’oscuro dei dati sugli anticorpi – si chiede Doshi – e delle informazioni sui sintomi dei pazienti nella prima settimana dopo la vaccinazione? Quali criteri hanno utilizzato e perché, con un evento primario costituito da un esito riferito dal paziente (sintomi Covid-19) e dal risultato del test PCR, era addirittura necessario un tale comitato? È anche importante capire chi faceva parte di questi comitati. Sebbene Moderna abbia nominato il suo comitato di aggiudicazione composto da quattro membri, tutti medici affiliati all’università, il protocollo di Pfizer afferma che tre dipendenti Pfizer hanno svolto il lavoro. Sì, membri dello staff Pfizer”.
Altro nodo da sciogliere è l’efficacia del vaccino in persone che avevano già il Covid-19. Gli individui con una storia nota di infezione da SARS-CoV-2 o una precedente diagnosi di Covid-19 sono stati esclusi dagli studi di Moderna e Pfizer. Ma Doshi si chiede se quei 1125 (3 per cento) e 675 (2,2 per cento) partecipanti rispettivamente agli studi di Pfizer e Moderna sono stati considerati positivi per SARS-CoV-2 al basale, ovvero al momento iniziale del trial. “La sicurezza e l’efficacia dei vaccini in questi destinatari non ha ricevuto molta attenzione, ma poiché porzioni sempre più grandi della popolazione di molti paesi possono essere ‘post-Covid’, questi dati sembrano importanti, e tanto più perché il CDC statunitense raccomanda di offrire il vaccino ‘indipendentemente dalla storia di precedente infezione da SARS-CoV-2 sintomatica o asintomatica’”, scrive Doshi. “Secondo il mio conteggio, la Pfizer ha riportato 8 casi di Covid-19 sintomatico confermato in persone positive per SARS-CoV-2 al basale (1 nel gruppo vaccino, 7 nel gruppo placebo) e Moderna, 1 caso (gruppo placebo). Ma con solo da quattro a 31 reinfezioni documentate a livello globale – si chiede – come potrebbero esserci nove casi confermati di Covid-19 tra quelli con infezione da SARS-CoV-2 al basale in studi su decine di migliaia, con un follow-up mediano di due mesi? Questo è rappresentativo di un’efficacia significativa del vaccino, come sembra aver approvato il CDC? O potrebbe essere qualcos’altro, come la prevenzione dei sintomi del Covid-19, possibilmente con il vaccino o con l’uso di medicinali che sopprimono i sintomi, e niente a che fare con la reinfezione?”.
Per rispondere a tutte queste domande e per sciogliere i dubbi, secondo lo scienziato, bisognerebbe avere accesso ai dati grezzi dello studio. E qui nascerebbe un nuovo sospetto: “Nessuna azienda sembra aver condiviso i dati con terze parti”, scrive Doshi. Pfizer afferma che sta rendendo disponibili i dati “su richiesta e soggetti a revisione”. “Ciò impedisce di rendere i dati pubblicamente disponibili, ma almeno lascia la porta aperta”, scrive Doshi. “Quanto sia aperto non è chiaro, dal momento che il protocollo dello studio dice che Pfizer inizierà a rendere disponibili i dati solo 24 mesi dopo il completamento dello studio”, aggiunge. La dichiarazione sulla condivisione dei dati di Moderna afferma che i dati “potrebbero essere disponibili su richiesta una volta completato lo studio”. “Ciò si traduce in un periodo compreso tra la metà e la fine del 2022, poiché il follow-up è previsto per 2 anni” spiega Doshi. Forse l’Agenzia europea per i medicinali e quella l’agenzia canadese, potrebbero condividere i dati per qualsiasi vaccino autorizzato molto prima. L’Ema si è già impegnata a pubblicare i dati presentati da Pfizer sul suo sito web “a tempo debito”, così come Health Canada.