Nel primo semestre 2020, quello del lockdown, i redditi privati hanno registrato la contrazione più forte degli ultimi 20 anni. Solo in parte contrastata dalle misure di aiuto. Lo rileva Bankitalia nel rapporto I conti economici e finanziari durante la crisi sanitaria del Covid-19. I redditi da lavoro dipendente sono scesi dell’8,7% per effetto del calo dei redditi unitari (-7%) e dell’occupazione alle dipendenze (-1,7%). La flessione del reddito disponibile lordo pro capite è stata molto meno intensa (-3,8%) e sostanzialmente analoga a quelle registrate nelle crisi precedenti, grazie alla “eccezionale crescita dei trasferimenti sociali netti“. Nel frattempo il valore aggiunto delle imprese italiane è diminuito del 15% rispetto allo stesso periodo del 2019, un calo quasi doppio rispetto a quello, “già eccezionale”, registrato nel primo semestre del 2009 (pari a -7,8 per cento), al culmine della crisi finanziaria. Nello stesso semestre, specifica Via Nazionale, i profitti delle imprese si sono ridotti del 18%.
La pandemia peraltro ha anche spostato gli equilibri tra consumi e risparmio: i consumi degli italiani sono crollati nella prima metà 2020 dando origine a “un risparmio netto di 51,6 miliardi“, con il tasso di risparmio più che triplicato rispetto alla fine del 2019 (da 2,8 a 9,2%) contrariamente a quanto era accaduto durante le due precedenti crisi. Questo sia per “l’impossibilità di realizzare alcune spese per effetto delle misure restrittive in vigore” sia per “un atteggiamento di spesa più cauto da parte delle famiglie a fronte dei rischi di caduta dei redditi e di quelli di contagio connessi con alcune attività di consumo”. E’ stata inoltre registrata una riduzione degli investimenti reali netti (-6,6 miliardi nel primo semestre del 2020, il valore più basso dal 1999) che ha riflesso sia il calo degli acquisti di abitazioni residenziali di nuova costruzione, sia la riduzione di patrimonio non residenziale e altri beni di capitale fisso.
Risultato: il circolante e i depositi “sono aumentati nel semestre, rispettivamente di 11,3 e 35,4 miliardi, registrando gli aumenti più forti dall’avvio della moneta unica per il primo e dal 2012 per i secondi”. Ma l’andamento dei depositi non è stato uniforme: la crescita di quelli compresi tra 12,5 e 50mila euro è stata significativa, mentre si è registrato un lieve calo tra i depositi superiori ai 500mila euro, cosa che suggerisce “una differente preferenza per la liquidità tra le classi durante la pandemia”. E dopo oltre un anno di disinvestimenti in titoli pubblici (-23,6 miliardi nel 2019), nella prima metà del 2020 le famiglie sono tornate ad acquistarne per 5,1 miliardi, mentre sono state registrate vendite di altri titoli per 11,6 miliardi. Gli acquisti si sono concentrati nel secondo trimestre, quando le famiglie hanno assorbito titoli per 9,9 miliardi, pari a circa il 9% delle emissioni nette, più che compensando le vendite per 4,8 miliardi registrate nel primo trimestre.
Il sistema bancario non ha però usato i maggiori depositi per aumentare i prestiti: ha speso quasi 60 miliardi nell’acquisto di titoli di Stato, “impegnando sostanzialmente per intero le maggiori passività (4,7% rispetto a giugno 2019) derivanti dalla raccolta di depositi (6,5%) soprattutto da famiglie e società non finanziarie”. Lo stock di titoli di Stato italiani in portafoglio “ha raggiunto l’11% del totale delle attività finanziarie del sistema bancario, il valore più elevato degli ultimi venti anni”.