I blaugrana sono alle prese con una stagione difficile, ma i problemi in campo sono nulla rispetto a quelli economici, tra un debito raddoppiato a 488 milioni di euro e i ricavi in calo di oltre 200 milioni. A fine gennaio dovrebbero tenersi le elezioni del nuovo presidente e intanto prende quota l'ipotesi di nuovi investitori. La stampa catalana però avverte: c'è il rischio insolvenza
È passato agli ottavi di Champions “soltanto” da secondo del girone e in Liga si trova costretto a inseguire le due di Madrid, Atletico e Real. Il Barcellona non sta vivendo la sua migliore stagione e a complicare il delicato momento societario (il 24 gennaio da copione andranno in scena le elezioni per la presidenza, anche se al momento sono appese a un filo per le restrizioni in atto) è arrivato anche il durissimo impatto della pandemia di coronavirus. Il debito è raddoppiato a 488 milioni di euro e i ricavi nell’ultimo anno hanno subito un calo di oltre 200 milioni. Cifre pesantissime per una società che nel tempo ci ha abituati a campagne acquisti faraoniche, basti pensare ai quasi 350 milioni sborsati tra il 2017 e il 2019 per i cartellini di Dembélé, Coutinho e Griezmann.
La mossa del Barça, per tentare di arginare la pesante crisi finanziaria, è quella di dare la caccia ad altri investitori: scorporare i propri asset digitali, le attività promozionali, il gruppo di preparazione sportiva e le accademie calcistiche in una nuova società di cui si offre una quota che oscillerebbe tra il 30% e il 49%. L’advisor (ancora non è arrivata né una conferma né una smentita) sarebbe Goldman Sachs, una delle banche d’affari più grandi al mondo che ha avuto – tra dipendenti e consulenti – anche l’ex presidente della Bce Mario Draghi e l’ex premier Mario Monti.
In Spagna, però, sono abbastanza pessimisti e informano del rischio default che starebbe correndo la società blaugrana. In poche parole: o si riducono i costi o si va in una situazione di insolvenza, a un passo dalla bancarotta. Al 30 giugno 2020, secondo quanto riportato da La Vanguardia – uno dei primi quotidiani a lanciare l’allarme – il Barça aveva un debito lordo di circa 900 milioni di euro, 480 da rimborsare a lungo termine e 420 entro dodici mesi. Ma in questa direzione non aiuterebbe neanche l’accordo del taglio stipendi di dicembre, finalizzato tra società e giocatori non senza qualche malumore: la richiesta iniziale era stata di 191 milioni, poi di 146 con forme di pagamento diverse e alla fine di 122 con possibilità di rimborso spalmata su quattro anni.
Il progetto di bilancio, approvato per la stagione in corso dal consiglio di amministrazione uscente, prevede 791 milioni di entrate. Un’ipotesi quasi irrealistica considerata la chiusura al pubblico del Camp Nou, da sempre uno degli impianti più redditizi d’Europa con ricavi che annualmente hanno raggiunto quasi i 150 milioni di euro. Anche la questione legata agli sponsor sembra tutt’altro che rosea. Gli accordi con Rakuten (azienda giapponese di commercio elettronico) e Beko (marchio turco di elettrodomestici) sono in scadenza e il loro rinnovo che dovrebbe portare nelle casse della società 75 milioni complessivi difficilmente sarà garantito a quelle cifre.
Quando si fanno in conti in tasca ai blaugrana, è impossibile non parlare di Leo Messi. Il fuoriclasse argentino è stato il protagonista indiscusso della cupa estate del Barcellona, che tra le tante cose ha incassato l’8-2 di Champions contro il Bayern Monaco e la cessione di Suarez – praticamente in regalo – all’Atletico Madrid. Tensioni e divergenze con i dirigenti (l’ex presidente Bartomeu e l’ex segretario tecnico Abidal in primis), un esonero – quello di Valverde – che non si aspettava e il possibile ritorno dell’amico Neymar mai avvenuto. E a pesare sul malcontento di Leo anche il bonus da 39 milioni di euro concordato nel rinnovo del 2017 e pagato soltanto lo scorso luglio, dopo numerosi tentativi di rinvio che sono diventati una delle principali cause della rottura. Il terremoto societario era già iniziato a febbraio, quando nell’occhio del ciclone finì il legame tra il Barcellona e l’impresa “I3 Ventures”, l’azienda di marketing che avrebbe ricevuto un milione di euro per migliorare la reputazione dell’intera giunta direttiva sui social network con la creazione di alcuni account fittizi per screditare avversari e, cosa gravissima, alcuni giocatori.
In un clima così infuocato le elezioni in programma il prossimo 24 gennaio, salvo slittamento causa Covid, porteranno alla nomina del nuovo presidente. Il favorito resta Joan Laporta, già alla guida del club dal 2003 al 2010, che ha presentato ottomila firme in più del necessario per proseguire la corsa: “Lavoreremo per recuperare la drammatica situazione economica del Barcellona, la invertiremo con fatica e lavoro. Abbiamo un piano d’emergenza dettagliato che sveleremo se vinceremo le elezioni”. I tifosi applaudono la sua eccentricità e sono andati in estasi per il maxi-cartellone con il suo faccione fatto piazzare nei pressi del Bernabeu, la casa degli eterni rivali, con su scritto: “Voglio incontrarvi di nuovo”. Nessuno dei concorrenti all’ambita poltrona però sembra avere la situazione finanziaria sotto controllo perché è troppo più grande di ogni tipo di proclama o promessa. Storicamente il Barcellona è sempre stato sul podio delle società con il fatturato più alto, ora invece per varie vicissitudini non è in grado di generare profitti e questo è sicuramente da spiegare (anche) con la gestione fallimentare dell’epoca Bartomeu.
Un po’ più defilata appare invece la figura del candidato numero due, l’uomo d’affari Victor Font. Diversi grandi annunci, tra i quali quello in pompa magna sul ritorno in società della bandiera Xavi, e un nuovo modo di concepire le strategie economiche. Valuterebbe di buon grado le opportunità offerte dall’industria dell’intrattenimento e dal mondo digitale (è già stato etichettato come il presidente futurista) e rifinanzierebbe i debiti a corto raggio per evitare di vendere le stelle della squadra al miglior offerente: “Siamo in terapia intensiva, i soci nell’elezione del nuovo capo del club dovranno pensare alle capacità imprenditoriali di chi eleggeranno”. Chiarissimo. Almeno sulla carta.