Un’esplosione alle 16.26 del 20 novembre del 2019. Avviene all’interno di una fabbrica di giochi pirotecnici. Saranno 5 i morti. Più di un anno dopo sono stati disposti gli arresti domiciliari dai carabinieri di Messina per Vito Costa, titolare della ditta Costa e figli, per Corrado Bagnato e il figlio Nino Bagnato (quest’ultimo condannato a 4 anni, in appello, per il processo Gotha IV alla mafia barcellonese) titolari della ditta Bottega del Ferro, ed è stato disposto il sequestro dei compendi e dei beni delle aziende nonché l’applicazione a carico dei tre indagati della misura interdittiva dell’esercizio dell’attività imprenditoriale, per la durata di dodici mesi.

Costa aveva chiesto alla ditta dei Bagnato di realizzare delle inferriate nei depositi – chiamati caselli – dove produceva e conservava il materiale pirotecnico, gli operai stavano lavorando al casello 7 con delle saldatrici – senza le dovute misure, secondo quanto accertato – quando una scintilla ha innescato l’esplosione che ha portato alla morte di 5 persone: Giovanni Testaverde, Mohamed Tahar Mannai, Fortunato Porcino e Vito Mazzeo, tutti e quattro operai della ditta di Bagnato, e Venera Costa, moglie di Vito Costa. Questo è quanto hanno ricostruito gli inquirenti dopo più di un anno di indagini.

“Noi avevamo finito di fare il nostro lavoro, ci stavamo accingendo ad accogliere i nostri strumenti per andarcene e ad un certo punto c’è stato un boato”, aveva riferito in tv Antonino Bagnato intervistato nel letto di ospedale dopo essere rimasto ferito dall’esplosione. Ma è proprio dall’esame del suo smartphone che gli inquirenti rinvengono le prove che l’esplosione fu dovuta a “negligenza”. Un Galaxy 6j plus è uno degli elementi di prova, ritenuti schiaccianti, che hanno premesso la ricostruzione di cosa avvenne quel giorno: “La fotografia scattata dalla fotocamera dello smartphone – scrivono i pm della procura di Barcellona Pozzo di Gotto nella richiesta di misura – alle 16.19, quindi a pochi istanti dall’esplosione (avvenuta alle 16.27, ndr) dal momento che nell’immagine è ritratto uno dei lavoratori, che dalla fisionomia è da indentificarsi nel Tahar Mohamed, il quale stringe tra le mani una saldatrice con cui lavorava sulla barra superiore di scorrimento di una delle grate installate nel casello 7”.

Le indagini dei carabinieri di Barcellona – coordinati dai pm Rita Barbieri, Matteo De Micheli ed Emanuela Scali, coordinati dal capo della procura, Emanuele Crescenti – sono state incrociate con i rilievi del Ris di Messina e dei vigili del fuoco del Nucleo Investigativo Antincendio Territoriale di Palermo, che, attraverso mirati accertamenti, ha consentito di escludere che l’esplosione ed il successivo incendio fossero da attribuire a “causa elettrica”. Testimonianze, acquisizioni di immagini dalla telecamera di video sorveglianza della ditta, intercettazioni: tutto è confluito nell’ordinanza firmata dal gip Salvatore Pugliese che ha accolto la richiesta degli arresti domiciliari per i tre avanzata dalla procura.

Disastro colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni personali, nonché di violazioni concernenti le norme di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, con la mancata valutazione dei rischi specifici derivanti da atmosfere esplosive, la mancata informazione, formazione e addestramento dei lavoratori sui rischi cui erano specificamente esposti ovvero la mancata consegna dei dispositivi di protezione individuale. Una “misura cautelare è intempestiva”, secondo il difensore dei Bagnato. Che aggiunge: “A mio modo di vedere non c’era nessuna esigenza cautelare, al di là del quadro probatorio e impugneremo la misura di fronte al Riesame. Stiamo parlando di persone che in queste condizioni non sono più in grado di sostentarsi”.

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