Secondo il documento pubblicato dall'associazione ambientalista circa la metà della foresta ancora in piedi "ha subito frammentazioni". L'analisi si concentra su 29 Paesi, distribuiti tra America Latina, Asia e Africa, cioè i più colpiti dalla deforestazione selvaggia. Alla base c'è l'agricoltura e risposte inadeguate, ma non solo
In 13 anni è stata cancellata un’area estesa come la California e circa due terzi della deforestazione globale, tra il 2000 e il 2018, è avvenuta in aree tropicali e sub-tropicali. È quanto emerge da uno studio pubblicato dal WWF, ‘Fronti di deforestazione: cause e risposte in un mondo che cambia’, nel quale si analizzano, appunto, i 24 principali fronti di deforestazione concentrati in 29 Paesi tra Asia, America Latina e Africa. In tutto una superficie forestale di 377 milioni di ettari (circa un quinto del totale).
Tra il 2004 e il 2017 oltre il 10% di questo patrimonio è andato perduto: si tratta di circa 43 milioni di ettari. Per avere un’idea, l’Italia è grande circa 30 milioni di ettari. E quasi la metà della foresta ancora in piedi (circa il 45%) ha comunque subito frammentazioni. Solo nel Cerrado brasiliano, che ospita il 5% delle specie animali e vegetali del pianeta, ad esempio, in tredici anni i terreni sono stati rapidamente deforestati per l’allevamento del bestiame e la produzione di soia con la conseguente perdita di un terzo (il 32,8%) della sua superficie forestale. Per ognuno dei 24 fronti analizzati, il WWF ha definito l’andamento delle cause che sono alla base della cancellazione degli ecosistemi naturali terrestri e valutato le risposte messe in campo, evidenziando come l’influenza dei diversi fattori tende a modificarsi nel tempo e a variare da una regione all’altra, soprattutto a seconda dei cambiamenti politici e della domanda del mercato.
Le cause della deforestazione – L’agricoltura rimane la prima causa di deforestazione, soprattutto in America Latina e in Asia, dove predominano – spiega lo studio – l’espansione delle coltivazioni arboree e dell’agricoltura legata sia alla domanda mondiale che ai mercati interni. Aumenta anche la pressione dei piccoli coltivatori, specialmente in Africa. L’estrazione del legname – sia in forma legale che illegale – rimane un fattore significativo, anche se in forma ridotta rispetto al passato, e spesso precede la deforestazione per altri scopi. Una causa sempre più ricorrente è la crescente espansione delle reti stradali, che collegano le zone di sfruttamento a quelle adibite all’esportazione e al rifornimento dei mercati interni. “Ma i fronti si espandono anche a causa della pressione delle operazioni minerarie non industriali e dell’aumento degli insediamenti umani all’interno degli ecosistemi naturali”, scrive il WWF. Tra le cause c’è anche l’accaparramento di terreni di proprietà pubblica, guidato dalla speculazione.
Le risposte inadeguate – Secondo lo studio le risposte arrivate da singoli territori, pur contribuendo ad arrestare la deforestazione “non hanno potuto evitare il trasferimento delle pressioni su altri ecosistemi, come savane e prateria”. Le misure che hanno riguardato la produzione di materie prime o intere filiere, invece, “non raggiungono ancora un livello di diffusione capace di modificare la situazione” soprattutto a causa della limitata partecipazione di chi è all’apice di queste filiere. Ma queste risposte, applicate singolarmente, non bastano: le soluzioni più efficaci sono quelle combinate tra loro e che spesso vedono una collaborazione tra pubblico e privato. Il report rileva anche l’importanza del ruolo dei cittadini “che non posso ignorare il rapporto tra i loro comportamenti e la deforestazione”.
Le azioni da intraprendere – Diverse le azioni urgenti da mettere in campo, come la tutela delle popolazioni indigene. Ma non solo, anche la conservazione delle aree ricche di biodiversità e un impegno più concreto da parte di aziende e istituzioni finanziarie per un obiettivo ‘zero deforestation’, sono da applicare. Il WWF chiede che il blocco della deforestazione sia riconosciuto anche come strategia per la lotta al cambiamento climatico, insieme a un nuovo patto (un New Deal for Nature and People) “che avvii la ripresa della natura e definisca il percorso per un vero sviluppo sostenibile, una società equa e un’economia che non produca arricchimento di carbonio nell’atmosfera”.